Vinicio Capossela, ecco Il paese dei coppoloni

vinicio-capossela-il-paese-dei-coppoloniC’era una volta il paese dei coppoloni, villaggio luminoso come una stella polare, posto sulla sommità della vallata d’Ofanto. Nel suo ultimo romanzo (Il paese dei coppoloni, Feltrinelli) Vinicio Capossela racconta questa terra, apparentemente immaginaria, prendendo ispirazione dai luoghi della sua infanzia: dall’Italia del Sud, dall’Irpinia. Nomi fantastici, dunque, corrispondono a luoghi reali e lasciano presagire l’esistenza nell’intero romanzo di un indissolubile intreccio tra sacro e profano, esistente e immaginato, passato e presente. Lo scrittore accompagna per mano il lettore in un viaggio lungo 347 pagine che ha come protagonista un “Aggirapaesi”, unico, nell’affollatissima miriade di personaggi che popolano l’opera, a non avere sin dall’esordio della narrazione uno “stortonome”. Uomini e donne sono infatti caratterizzati da nomignoli che riassumono la loro indole, le vicende personali o quelle familiari: Scatozza, Mandarino, Galluccio Ardicasazza e Testadiuccello sono solo alcuni tra i numerosi esempi di “stortinomi”. Riappropriarsi delle proprie radici conquistando finalmente lo “stortonome” di Guarramon rappresenta uno degli obiettivi della continua recherche che anima il protagonista. L’iniziale ricerca dei Siensi (“senni dell’intelletto, fonte della saggezza, che fanno conoscere come si è fatti e come è fatto il mondo” come precisa lo stesso Capossela in una definizione presente nel glossario finale del libro), lascia spazio a quella di un’identità e infine della musica e dei musicanti, fondamentali in tutto il plot, oramai quasi scomparsi da quelle terre così intrise di tradizione. Il viaggio è fatto di strade soleggiate, di selve oscure, di salite e dirupi; il viaggio è arioso ma anche ostile al lettore, soprattutto nella fase iniziale del libro in cui si fatica a comprendere lo spazio, il tempo e il luogo di riferimento. Superato però lo scoglio del primo approccio alla lettura, l’ambientazione rapisce e il linguaggio di Vinicio Capossela fatto di onomatopee, neologismi, arcaismi ed espressioni iperboliche diventa familiare e perfetto per esprimere un universo così terreno ma nello stesso tempo celeste poiché intriso di lavoro, sudore e irremovibile fede. Un irruente conatus porta l’autore a descrivere meticolosamente e senza freni, ogni singola sfumatura, qualsiasi dettaglio che appartenga alle umanità e ai luoghi in cui ci si imbatte durante il cammino. Visioni e ricordi del protagonista si fondono alle singole storie dei personaggi incontrati ai quali spesso si dedica un intero capitolo: come nell’Antologia di Spoon River dell’americano Edgar Lee Masters, i riflettori, spesso puntati sulle singole vite, illuminano l’intera anima di una terra, il suo folklore e la sua Storia. Tante le voci, come quella di un autista che trasporta i morti al paese dell’Eco e non li piange, ma studia la loro storia affinché possa raccontargliela durante l’ultimo viaggio, come quella dell’emigrato che “per tutta la vita si era portato quella zolla d’origine attaccata alle scarpe” e “niente vive e tutto s’immagina”, oppure come la voce dell’uomo che si occupa di “radunare la Storia” mandando a tutti i paesani dispersi per il mondo un giornale che non gli faccia dimenticare le proprie origini, e infine come quella di una vecchietta che immobile resiste nella mezza casa rimastale dopo il famoso terremoto che nel 1980 distrusse l’Irpinia: “Niente è rimasto al suo posto, ma io qui rimango, nella mia casa divisa a metà. Una per quel che si è presa la frana, una per quel che ho preso alla vita”. La terra trema e il Tempo esce dalla Storia, diventa immobile, mitologico, scevro di ogni possibile riscatto. Il Tempo è quello dell’orologio con le lancette ferme, ritratto dopo l’evento sismico da Rocco Briuolo, nel dipinto che è stato scelto come copertina del romanzo. Ne Il paese dei coppoloni di Vinicio Capossela oltre al Tempo si avverte la forte presenza della Natura talvolta matrigna, “si era lasciata passare addosso la Storia e ogni tanto se l’era scrollata a forza, infastidita, con tremamenti feroci, con pestilenze, a ricordare all’uomo la sua vanità”, proprio come la Natura che dialoga con l’Islandese nelle Operette Morali di Leopardi. L’universo naturale è composto anche da animali esistenti (malogna = tasso, fucetola = piccolo uccello) e immaginari, come la chimerica scalogna, dalla malinconica luna sulla quale Guarramon, come l’ariostesco Astolfo, si trova nel finale del libro, dalle nuvole che “bianche, fioccose, di manna” formano “enormi bestie nel cielo” e dai luoghi oscuri, come il sentiero della Cupa abitato da creature sospese tra il regno dei vivi e quello dei morti. Perché dedicare l’intero libro proprio al paese dei coppoloni? Perché sono coloro che dall’alto scrutano l’intera vallata o perché il villaggio, posto più in alto degli altri, rappresenta una bussola certa per i viandanti di quei luoghi? Chissà, resta il fatto che ne Il paese dei coppoloni Vinicio Capossela esplora geografie nuove, seppur esistenti, creando nell’immaginario del lettore una dimensione inedita che pur estraendolo dal quotidiano lo immerge offrendogli un nuovo antidoto per vivere in pienezza.

“Coloro che non hanno radici, si avviano alla morte della passione e dell’umano: per non essere provinciali occorre possedere un villaggio vivente nella memoria, a cui l’immagine e il cuore tornano sempre di nuovo.”  Ernesto De Martino

Voto: [usr 3.5]

 

Elisabetta Severino

 

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