Roma ricorda Gioacchino Belli con i sonetti in romanesco

Statua a Giuseppe Gioachino Belli in piazza Belli 1913. Roma, Trastevere realizzata da Michele Tripisciano
Statua a Giuseppe Gioachino Belli in piazza Belli 1913. Roma, Trastevere realizzata da Michele Tripisciano

Sono passati 150 anni dalla morte del poeta Giuseppe Gioacchino Belli e Roma lo ricorderà  in un ciclo di celebrazioni, presso il cortile di Palazzo Braschi, che inizierà sabato 7 settembre 2013 alle 17.30. Un omaggio voluto fortemente dal Centro Studi Giuseppe Gioacchino Belli e da Roma Capitale nella figura della Soprintendenza ai beni culturali.

In memoria del poeta – L’attività di Belli, dal 1791 al 1863, ha portato al compimento di oltre duemila sonetti. Tutti scritti in perfetto dialetto romanesco. Un modo questo che illustra quanto la poesia e Roma abbia partecipato alla formazione culturale italiana. Un tesoro multiplo per svariate materie. La poesia di Belli abbraccia l’antropologia culturale, la letteratura, la geografia umana, la storia, fino alla linguistica. Un progetto che coinvolge tre dei più prestigiosi atenei romani: L’Università di Tor Vergata, Roma Tre e L’Università di Roma. Tra settembre e dicembre 2013, saranno otto gli incontri messi in calendario. Sabato 19 ottobre 2013 la Zecca dello Stato e l’Istituto Poligrafico, provvederanno all’emissione sul territorio nazionale di un nuovo francobollo. Mercoledì 27 novembre e mercoledì 11 dicembre 2013 sono previsti due incontri al Teatro Argentina. Inoltre, lunedì 2 dicembre 2013, sarà inaugurata una lapide commemorativa a Palazzo Poli, luogo in cui Belli condusse i suoi studi e stese le sue scritture. Infine, dal 3 dicembre fino al 3 febbraio 2014 una mostra al Museo di Roma.

Museo di Roma
Museo di Roma

Scriveva in vernacolo della sua Roma, la Roma del popolo. Tra i suoi versi la vita quotidiana della gente di periferia. Parole semplici e per tutti. Espone le questioni di tutti i giorni, la mentalità della Roma ottocentesca. Secondo gli studiosi di filologia, quella di Belli è la raccolta più corposa di tutto l’Ottocento. Oltre al realismo, si avverte, nei suoi scritti una tendenza alla satira velenosa. Temi leggeri, portano la sua opera nelle classifiche della letteratura scandalistica. Nessun limite, nessuna censura d’altronde come lui stesso scriveva… «Non casta, non pia talvolta, sebbene devota e superstiziosa, apparirà la materia e la forma: ma il popolo è questo e questo io ricopio».

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