Roma, Matisse. Arabesque: recensione della mostra

 

Un ideale di equilibrio nel segno della semplicità: questo e molto altro è Matisse. Arabesque, la mostra allestita a Roma presso le Scuderie del Quirinale fino al 21 giugno 2015

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Matisse
Matisse

La scoperta attraverso gli occhi di un artista. L’esplorazione silente di mondi concretamente lontani e così autentici, nella loro spiritualità. Il Giappone, il Marocco, la Turchia, la Siria, l’Iran e più genericamente l’Africa, la Russia, l’Oriente. Si chiama Matisse. Arabesque e apre la stagione primaverile delle mostre alle Scuderie del Quirinale. Dal 5 marzo al 21 giugno a Roma un’esposizione di novanta pezzi del maestro francese scelti nell’arco di tempo di una vita, illustrano e tentano di definire le origini più intime fino alle evoluzioni più ultime di un percorso artistico multiforme la cui genesi non è propriamente definibile, piuttosto rintracciabile in un ritmo di avvenimenti susseguitisi lungo la sua esistenza.

L'italiana, 1916, olio su tela, New York, Solomon R. Guggenheim Museum
L’italiana, 1916, olio su tela, New York, Solomon R. Guggenheim Museum

La mostra, curata da Ester Coen insieme al comitato scientifico composto da John Elderfield, Remi Labrusse e Olivier Berggruen, racconta una storia di influenze che si succedono dapprima per caso e poi per quel desiderio di conoscenza che lo condurrà ad una pittura straordinariamente contemporanea. La vita di Henri Matisse (1869-1954), infatti, sembra scritta sulla linea di un destino segnato in quella direzione: la tradizione tessile famigliare, gli influssi esotici all’École des Beaux Arts, l’Esposizione Universale di Parigi, le visite al Louvre e al museo etnografico del Trocadéro, i viaggi sempre più frequenti verso l’Oriente, gli incontri più disparati, come quello casuale con la scultura africana che avvenne a Parigi, mentre andava a casa di Gertrude Stein: lì, passando per un negozietto d’antiquariato vide una piccola testa africana che lo portò a riflettere sulla dimensione universale di quel profilo e sulla similitudine con la cultura egizia, nonostante le due civiltà fossero l’una estranea all’altra. L’esposizione è un racconto dialogico ben pianificato che pone a confronto pezzi di varie epoche con la ricerca dell’artista: ceramiche, stoffe, maschere, stampe e manufatti provenienti da molti prestigiosi musei americani, europei e russi che si confrontano e comprovano le rispondenze di quelle culture con il fascino evocativo delle opere dell’artista.

I pesci rossi, 1911, olio su tela, Mosca, The State “A. S. Pushkin” Museum of Fine Arts
I pesci rossi, 1911, olio su tela, Mosca, The State “A. S. Pushkin” Museum of Fine Arts

Tra le sale, colpisce la seconda, dove tessuti malesi, maschere ivoriane, pagne congolesi rispondono, tra gli altri, alle suggestioni di Nudo disteso, tessuto di rafia africano del 1935, o Ritratto di Yvonne Landsberg del 1914; oppure la quinta sala, dove le illustrazioni dei paesaggisti giapponesi Kanu Tzunenobu e Utagawa Hiroshige replicano alla sottile assonanza di linee e forme dei Quattro studi per il poema di Mallarmé L’Après-midi d’un faune del 1932 insieme allo Studio per l’Ulisse di Joyce: Itaca del 1940; o ancora, al secondo piano, i costumi del balletto Le Chant du rossignol del 1920, comparati con tessuti cinesi dell’epoca, cinture Obi giapponesi e una maschera (Wan-niaka Mossi) del XX secolo proveniente dal Burkina Faso. Ogni sala è corredata da stralci d’interviste o conversazioni che lo stesso Matisse aveva intrattenuto con poeti, scrittori, artisti e amici. Una scelta interessante sotto il profilo emotivo, per accompagnare il fruitore lungo il percorso espositivo.

Ritratto di Yvonne Landsberg. 1914, olio su tela, Philadelphia Museum of Art. The Louise and Walter Arensberg Collection, 1950
Ritratto di Yvonne Landsberg. 1914, olio su tela, Philadelphia Museum of Art. The Louise and Walter Arensberg Collection, 1950

Punto dopo punto, infatti, si ha la chiara percezione di come Matisse maturi delle considerazioni così innovative che necessitano di un’assidua sperimentazione, ma anche di quella lentezza utile a scoprire la purezza della sua arte. Flora e fauna regnano in un’idea di spazio esotica e si contaminano nelle forme e nei colori, si disperdono nelle prime per riordinarsi attraverso la relazione tra i toni; mentre un’odalisca restituisce armonia agli arabeschi, valicando le apparenze decorative in virtù di un misticismo trasposto solo per mezzo dell’indagine e della scoperta della pittura. Se il suo sguardo occidentale si orienta, è proprio il caso di dirlo, nel senso più etimologico del termine, verso altre culture, le sue doti di disegnatore, nonché notevole colorista, intraprendono strade sconosciute, allontanandosi dalle avanguardie storiche di inizio secolo, e creando una linearismo e un’armonia del colore impareggiabili che danno vita a un’arte di equilibrio, concordanza, tranquillità.

Zorah sulla terrazza. 1912 – 1913, olio su tela, Mosca, The State “A. S. Pushkin” Museum of Fine Arts
Zorah sulla terrazza. 1912 – 1913, olio su tela, Mosca, The State “A. S. Pushkin” Museum of Fine Arts

E il suo ideale di equilibrio lo porterà anche a scelte radicali, proprie di un visionario che, nei contrasti, cercherà l’armonia e nelle linee della composizione troverà il giusto bilanciamento dinamico, alla ricerca dell’essenza. Il percorso si chiude con I pesci rossi – capolavoro che domina l’immagine dell’evento – e con un insieme di disegni che fanno da eco sullo studio e sull’intento riuscito, da parte di Matisse, d’introdurre dei segni plastici nuovi all’interno del linguaggio comune: segni indagati in un sentimento autentico, fatto d’intuizioni visive e costruito su un lavoro incessante, nell’interesse di trovare il coraggio di rivelarne la pienezza, nell’estrema semplicità. La mostra è promossa dal ministero dei Beni e delle Attività Culturali, Roma Capitale, Azienda speciale Palaexpo e Mondomostre.

Livia Paola Di Chiara

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