Alberto Giacometti. Le opere dell’artista tra Milano e Nuoro

Come scrive Jean Soldini nel suo saggio “La somiglianza introvabile” pubblicato agli inizi degli anni Novanta, l’ennesimo studio su Alberto Giacometti (Borgonovo di Stampa, 1901 – Coira, 1966) rischia di mostrarsi immotivato, data la moltitudine di pubblicazioni che lo riguardano, nonché per via della sua notorietà.

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Alberto Giacometti nel suo studio, nel 1965. Photo Brassaï

Eppure, lo storico dell’arte spiega che, nonostante l’argomento sembrerebbe chiuso a qualsiasi analisi di tipo inedito – sia in una chiave d’insieme che su alcuni dettagli della sua produzione – si avverte la necessità di indirizzarsi verso la ricerca dell’artista svizzero, tenendo sì conto dell’approccio fenomenologico della realtà e dei medesimi intenti espressi vent’anni prima dalla monografia di Reinhold Hohl, ma con l’auspicio di cercare (e rivelare) nella totalità della realtà e nella figura della madre, le premesse per un riesame dell’opera dell’autore, con riflessioni sull’estetica del suo linguaggio a proposito della realtà artistica contemporanea.

Era, dunque, il 1991 e Jean Soldini rifletteva su una felice moltitudine di possibilità per definire la natura e le caratteristiche di un tipo di visione della realtà che tutt’oggi ci risulta impenetrabile.
E, a oggi, dopo ulteriori vent’anni, la figura dell’artista continua a suscitare studi, confronti, rapporti attraverso analisi, esposizioni e pubblicazioni, poiché si considera quanto mai necessario sviluppare connessioni o attinenze col passato, per non parlare delle pertinenze tra la sua opera e la quotidianità del nostro tempo.

Solo in questo anno che volge al termine, il nostro Paese ha visto inaugurare differenti esposizioni che analizzano il lavoro di Alberto Giacometti con una pluralità di linguaggi che, se a volte ci appare di natura antologica, altre volte ci propone incontri inesplorati o relativi, per esempio, al fascino che la statuaria antica esercitò sull’artista.
A tal proposito, il nostro interesse è rivolto verso due mostre differenti che in questo periodo si stanno svolgendo rispettivamente alla GAM Galleria d’Arte Moderna di Milano e al MAN Museo d’Arte della Provincia di Nuoro. Due mostre distanti sotto il profilo geografico, e alternative sotto quello culturale per l’offerta museale delle due Istituzioni.

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Alberto Giacometti in rue Hippolyte-Maindron nel 1958. Photo Robert Doisneau

Alla GAM di Milano, fino al primo febbraio del 2015, sarà visitabile la mostra dal titolo “Alberto Giacometti”, curata da Catherine Grenier, direttrice della Fondation Alberto et Annette Giacometti. Qui una selezione accurata di sessantatré lavori provenienti proprio dalla Fondazione, ripercorre l’evoluzione della ricerca dell’artista, dai primi tentativi in Svizzera, negli anni Venti, fino alla sua età matura, tra Borgonovo di Stampa e lo studio parigino al civico 46 di rue Hippolyte-Maindron. Una sequenza temporale divisa per sezioni (cinque, per l’esattezza), nelle quali scorgere il fascino della figura attraverso bronzi, gessi, marmi, disegni e dipinti e avvicinarsi alla quotidianità della sua opera e ai suoi spazi più intimi attraverso le foto di Brassaï.

Lo spazio espositivo della GAM apre il suo ciclo di mostre dedicate alle arti plastiche con un artista che sin dall’inizio indaga la figura umana, la testa, lo sguardo, con un occhio all’antico, e con il medesimo intento che lo accompagnerà per tutta la vita e che lo spinge, a soli 13 anni, a scolpire la prima Testa di Diego. E, a proposito di questo primissimo tentativo, in una conversazione con André Parinaud, Giacometti diceva: “[…] possiedo ancora quel piccolo busto. Cinquant’anni dopo non ci sono ancora riuscito! È curioso confessarle che da due giorni cerco di fare ancora quella testa, come nel 1914.”

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Boule Suspendue,1931 (versione del 1965), gesso e metallo. Collezione Fondation Alberto et Annette Giacometti, Parigi.

Tornando alla mostra alla GAM, la testa è uno dei suoi elementi cardine, come si evince dalla prima sala nella quale vi sono i ritratti dei membri della sua famiglia: il padre Giovanni, pittore impressionista; il fratello Diego, artista anche lui; ma anche Annette, sua moglie. E poi la figura umana e il ritratto con il modello che abbandonerà nella fase Surrealista per lavorare a memoria. Proprio nelle sale successive, l’incrocio con le Avanguardie Novecentesche è evidente e chiarisce la coincidenza della sua evoluzione artistica con il suo trasferimento a Parigi. Sono gli anni Venti e Alberto subisce il fascino della geometria del Cubismo e la stilizzazione delle forme del Surrealismo fino ad arrivare ad una simbologia che spingerà André Breton a considerare Boule Suspendue come l’opera simbolo della sua Avanguardia.

L’esposizione illustra queste influenze emotive e artistiche, per poi definire la visione più autentica dell’autore attraverso un percorso che conduce ai “dettagli” della scultura: uno su tutti, lo sguardo. E ancora, la fragile condizione umana che l’artista rileverà attraverso la struttura formale di figure filiformi in contrasto con i robusti basamenti; ma anche le masse che, nel loro intento di render conto autenticamente, si perdono in esili e minute dimensioni che dipendono dalle sue necessità emozionali.Fino ad arrivare al fascino che Giacometti subisce nel “copiare” l’apparente stilizzazione dell’arte antica e, nella fattispecie egizia, che considera la più somigliante alla realtà, a differenza dell’arte rinascimentale, più superficiale e voluta.

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Quattro donne su un piedistallo, 1950, bronzo. Collezione Fondation Alberto et Annette Giacometti, Parigi

Ed è proprio l’arte antica, lo snodo della mostra del MAN di Nuoro che sarà aperta fino al 25 gennaio prossimo, e che già dal titolo – “A un passo dal tempo. Giacometti e l’arcaico” ci spiega gli intenti espositivi.

La mostra, curata da Pietro Bellasi e Chiara Gatti, è costituita di circa settanta pezzi, strutturata per temi e iconografie e realizzata con una fitta rete di collaborazioni: dalla Kunsthaus di Zurigo e la Collezione Peggy Guggenheim di Venezia (per quel che riguarda le opere dell’artista svizzero), fino al Museo Civico Archeologico di Bologna, il Museo Archeologico Nazionale di Cagliari, il Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia e il Museo Civico di Palazzo Farnese a Piacenza (per le opere arcaiche).

L’interesse dell’autore per i capolavori egizi, etruschi, nuragici, africani, si precisa in un’esposizione che pone a confronto le opere dell’artista con quelle dell’arte antica, rendendone note le ispirazioni e la vicinanza formale.

Un incrocio di capolavori messi a confronto in un contesto quanto mai contemporaneo che si astrae dalla linearità del tempo, in una dimensione eterna fatta di un lessico atavico che raccorda somiglianze assolute, allo stesso tempo apparenti e solenni.

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Femme qui marche I, 1932-36, bronzo. Collezione Peggy Guggenheim, Venezia (Fondazione Solomon R. Guggenheim, New York)

Anche qui le sculture longilinee che sembrano emergere dagli scavi archeologici delle sue emozioni, ci palesano un autore che traccia i segni di una quadro emotivo legato a doppio filo con lo scorrere impetuoso delle impressioni visive. Impressioni che, attraverso gli studi condotti dal comitato scientifico, porta a definire in maniera puntuale i punti di contatto tra l’artista e le varie culture esposte in mostra: manufatti dell’età del bronzo, l’arte greca, la scultura africana e, per accennare all’idea della portata storica presente all’interno dell’esposizione, menzioniamo le figure ieratiche egizie, gli Aruspici di Villa Giulia, i bronzi nuragici e le Korai che ci ricordano le sue donne immobili, esili e delicatissime.
Un’esposizione, quella del MAN che rimarca la ricerca espressiva dei corpi giacomettiani che, nell’apparente fuggevolezza del risultato d’insieme, permettono l’estrazione di quelle figure dal flusso della vita, per divenire immagini vive ed ancestrali in un attimo fuori dal tempo, con la stessa risolutezza dei capolavori archeologici.

L’idea che Giacometti, a circa cinquant’anni dalla sua morte ispiri pensatori, filosofi, storici, teorici dell’arte, ci fa riflettere sulla dimensione sacrificale del suo lavoro e ci riporta idealmente a Jean Soldini che lo considera tra i primi capaci di rendere palese, anche solo attraverso la resa di uno sguardo, la difficoltà del rapporto tra l’artista e il visibile.

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Annette assise, 1956, bronzo

Una ricerca che nasce dal bisogno di annientare quella distinzione tra realtà interiore e realtà esteriore, per riuscire a visionarne i rapporti insiti, e rendersi conto che “La grande avventura consiste nel veder sorgere qualcosa di ignoto ogni giorno, nello stesso volto: un’avventura più grande di qualsiasi viaggio intorno al mondo”.

 

Libri citati e di riferimento

Jean Soldini, Alberto Giacometti. La somiglianza introvabile. Jaca Book, Milano, 1998.
Alberto Giacometti. Scritti. Abscondita. Milano, 2001.

Per info

www.mostragiacometti.it; www.museoman.it/it/mostre/mostra/Alberto-Giacometti/

 

Livia Paola Di Chiara

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