La Femmina Nuda, il libro di Elena Stancanelli: recensione

Il romanzo di Elena Stancanelli, La femmina nuda (La Nave di Teseo), è come un pugno allo stomaco, si legge tutto d’un fiato e il fiato, in verità, ti manca più e più volte. Leggendo questo libro devi fare dei respiri profondi, lo lasci e poi lo riprendi perché questa storia per una donna e forse non solo è tanto semplice, anche banale se vogliamo, quanto avvincente e brutale. La femmina nuda non è un libro per benpensanti, per moralisti, per figli di papà. In realtà più che un romanzo è una lettera (redatta in prima persona) che la protagonista scrive alla sua (migliore?) amica Valentina per confidarle ciò che è accaduto nel periodo più lugubre e sicuramente più ricco di significati della sua vita. Anna. Questo il nome del personaggio principale, che mi suona alla mente ormai da molti mesi, perché ultimamente incontro Anna ovunque, ai bordi di periferia, in un’aula di un corso qualunque in una città europea, in montagna e al mare, va a spasso col cane e fa la spesa al supermercato. Anna è ovunque. Anche nella sala di un cinema. Sì, ogni donna può essere Anna. Molte vivono (non è una regola) la fine di un rapporto come fosse una tragedia di Shakespeare, tra pianti e urla disperate. Ognuna di noi, forse, nel proprio intimo affronta la separazione come un lutto. E, infatti, un po’ lo è.

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Anna de La Femmina nuda è la madre di quel femminile cattolico-cristiano che ci ha fatto diventare docili e mansuete, figlie modello, mogli e mamme eccellenti, donne tutto fare, serve e professioniste, sguattere e operaie, insegnanti e nullafacenti. Sempre in balia dell’ultima Moda, attaccate all’iPhone, vittime dei social, siamo in realtà ancor più fragili delle nostre nonne e sempre ad un passo dal baratro. Eternamente insoddisfatte, masochiste, apparentemente vigliacche, abbiamo però coraggio da vendere e, se qualcuno o qualcosa ci sfida, possiamo realizzare l’impossibile, anche alzare un’automobile se necessario. Cose così, insomma. La Anna di Elena Stancanelli è talmente normale da fare quasi tenerezza, così come lo è la Olga di un’altra Elena (Ferrante; il libro è I giorni dell’abbandono).

Nonostante sia un affermato architetto (dettaglio che si scopre verso la fine del romanzo), la voce narrante de La femmina nuda (il libro di Elena Stancanelli è entrato nella cinquina del Premio Strega 2016) è stremata dalla separazione dal suo compagno Davide – un donnaiolo senza alcun pudore né vergogna -, tanto da commettere una serie di azioni ai limiti della legalità, rischiando di essere denunciata per stalking. Non mangia. Non si cura. Non si lava. Dimagrisce. Diventa uno zombie. E sarà proprio il corpo a guarirla, a riportarla dal buio alla luce, perché il corpo “(…) scarta. Si ammala, ti molla in mezzo alla strada, ti stordisce. Ma a volte senza che tu te ne accorga, ti porta in salvo, lontanissimo (…)”. La femmina nuda non è tuttavia un libro innovativo sia per stile e sia per contenuto, ma è realistico e contemporaneo; questo conta molto perché la Stancanelli con il suo stile asciutto crea una sorta di empatia tra Anna e il lettore/lettrice. Nessuno giudica la protagonista, ne sono sicura. Le siamo vicini, proviamo il suo dolore, capiamo le sue ossessioni. E scusatemi se è poco!

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