Conversano (Bari): Giorgio de Chirico in mostra

Quale location migliore e suggestiva per ospitare alcune opere di Giorgio De Chirico è stato scelto il Castello di Conversano (Bari), d’origine normanna e ampliato dagli Acquaviva d’Aragona. Nulla, però si fa a caso, “Ritorno al Castello” è, infatti, uno dei titoli più suggestivi che l’artista conferisce ad alcuni quadri “neobarocchi” e a tele della neometafisica. Questa sintonia ha dato come titolo della mostra, curata da Mariastella Margozzi, Katherine Robinson e Fondazione Giorgio e Isa de Chirico, Giorgio de Chirico – Ritorno al Castello. Se si volesse essere un po’ sentimentali, verrebbe quasi spontaneo dire che è un ritorno alle origini, a quel mestiere antico che De Chirico ha dipinto e raccontato in tante opere del periodo che ha segnato persino con gli scritti (dagli interventi sulla rivista “Valori plastici” a “L’illustrazione italiana” per citarne due). Quest’ultimo è un aspetto che non va trascurato e che nell’allestimento viene messo in risalto. Dopo aver salito diverse scale ed essersi addentrati idealmente (e non) nei meandri del castello, si varca la soglia per un viaggio nel tempo e in un’arte che merita di essere approfondita. Per farlo è lo stesso artista a guidarci con le riflessioni tratte da saggi e suoi scritti compresa l’introduzione alla mostra personale presso la Galleria Rotta di Genova nel 1938. Cinque sale con le volte alte si susseguono, attraversando i diversi momenti di passaggio e le fasi che De Chirico ha avuto. «L’opera d’arte metafisica è quanto all’aspetto serena; dà però l’impressione che qualcosa di nuovo debba accadere in quella stessa serenità e che altri segni, oltre quelli già palesi debbano subentrare al quadrato della tela» ed è così che, entrati nella prima stanza, ci appaiono “Le muse del pomeriggio” (1970) e “Il trovatore” (1969), senza, però, dimenticare “L’autoritratto” (1972) e alcuni dei soggetti più cari, dagli archeologi a figure mitologiche, senza dimenticare i cavalieri – vedi “Antichi cavalieri e villa” (1954). Molti dei dipinti scelti ad hoc per questo progetto sono quelli che rileggono i poemi cavallereschi, in cui il cavaliere errava – Ariosto docet – partendo da un punto per poi ritornarvi. Il castello, forse, oggi potrebbe apparire un luogo lontano, meramente artistico, invece rappresenta proprio questa “erranza” umana, metafora ancora molto attuale.

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Personalmente l’area più coinvolgente della mostra è quella legata al Dipingere, probabilmente per via anche delle parole poetiche che introducono lo spettatore: «Dipingere è il disco nebuloso della luna fuggente dietro il funebre sipario squarciato d’un cielo sconvolto nella notte fonda». Queste frasi si concretizzano in “Battaglia con cavalli e cavalieri” (1939) o nel “Paesaggio con fortezza” (1954). Le opere esposte sono molte (cinquanta). Il bello di queste occasioni sta proprio nel porsi vis à vis con l’arte facendosi travolgere dalle vibrazioni che emana e affascinare dalla pennellata. Purtroppo talvolta il vetro protettivo davanti a qualche dipinto penalizza la visione perché provoca il riflesso, ma per la maggior parte dei quadri, delle sculture e delle litografie esposte la sensazione è quella quasi di tangibilità. Potrebbe apparire un paradosso vista la potenza anche straniante che de Chirico infondeva ad alcune sue immagini pittoriche (vedi “Il Trovatore” del 1968). Il disincanto è una cifra stilistica di questo artista-poeta creatore.

Leopardi scriveva «io nel pensier mi fingo», anche de Chirico lo fa, a suo modo, con quello spirito colto e l’humor sottile che permea, in dosi diverse, tutto ciò che vediamo in Giorgio de Chirico – Ritorno al Castello. A Bari ogni sala, tranne la quinta e conclusiva in cui viene proiettata l’ultima intervista e sono ubicate delle litografie, segue lo schema dei pannelli descrittivi in entrata (il più delle volte con citazioni sue), sulle pareti i dipinti scelti e al centro una scultura in bronzo. Non ci sono orpelli o particolari soluzioni. L’impressione che si ha è che si voglia lasciar quasi parlare il castello che ospita la mostra, rendendolo co-protagonista, con le pietre nude che esaltano indirettamente il dipinto. Tutti coloro che pensano a de Chirico hanno subito in mente (e forse soltanto) la metafisica, questa mostra la tratta e ne dà lustro (anche nelle riprese), ma ha il merito di dare spazio pure a cosa ci sia dietro. In questo è utilissima la seconda sala: D’après dai grandi maestri, da Tiziano a Rubens, laddove cita il pittore fiammingo in diversi oli su tela e su cartone telato, vedi ad esempio la “Scena mitologica” del 1960. De Chirico voleva leggere (e mostrare) la natura profonda e celata del mondo, andando al di là della fisica (di qui il termine “metafisica”) persino nelle nature morte, da lui dette «vite silenti», e questo non sfugge all’occhio umano. Passo dopo passo si giunge alla conclusione di un iter in cui i cavalli, pur mutando nella pennellata e nelle linee ondulate, continuano ad essere assidui compagni di viaggio. In queste opere c’è tutto l’arrestarsi del tempo e la sospensione che de Chirico sapeva maneggiare. Queste esposizioni, in fondo, sono una possibilità non solo per vedere dal vivo le opere che più sono presenti nella nostra memoria, ma anche per scoprirne di altre meno celebri, ma ugualmente o forse più suggestive. Non resta che scegliere voi di errare per provare un gusto del fantastico e dell’onirico molto personale. Vi aggiungiamo una chicca, ovviamente gli stili sono diversi, ma qualora vogliate arricchire il percorso legato ai poemi cavallereschi nella Pinacoteca, al piano inferiore sempre del Castello di Conversano, potete ammirare le tele seicentesche, di forte influenza caravaggesca, realizzate nel Seicento da Paolo Finoglio sulla “Gerusalemme Liberata” del Tasso. La mostra Giorgio de Chirico – Ritorno al Castello è visitabile  fino al primo novembre 2016.
Per maggiori informazioni: www.dechiricoconversano.com/it/

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Maria Lucia Tangorra

Nata a Conversano (Ba) nel 1987, da alcuni anni si è trasferita a Milano per coltivare la passione per cinema, teatro e giornalismo col desiderio di farne un lavoro. Free-lance, critico e corrispondente dai festival per web magazine di cinema e teatro; ha realizzato anche reportage e approfondimenti di spettacoli tra cui “Invidiatemi come io ho invidiato voi” di T. Granata e “Un giorno torneranno” ideato e interpretato da S. Pernarella. Si è appassionata al cinema e al teatro vedendo recitare gli attori forgiati dal maestro Orazio Costa Giovangigli e da lì ha cercato di conoscere i diversi modi di fare e vivere il teatro e il cinema (senza assolutamente disdegnare alcuni lavori televisivi di qualità). Quando ha sentito sul palco queste parole: «Sai cosa vuol dire vivere in un sogno? Ciò che tu non sei, sei: e, ogni notte, lo frequenti» (dal testo teatrale “Orgia” di P. P. Pasolini) ha pensato che questo accade quando ci si immerge nel buio della scatola magica e della sala cinematografica. Grazie a questo lavoro fatto anche di incontri umani, non solo professionali, pensa che senza il teatro e il cinema il respiro sulla vita sarebbe diverso perciò, nonostante tutto e tutti, crede che di cultura e arte si possa vivere e che le passioni possano trasformarsi in una professione.

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