2 giugno: la Festa della Repubblica tra passato e presente

festa della repubblicaDal 2000 il 2 giugno è la Festa della Repubblica Italiana, un’occasione che dovrebbe indurci a riflettere e ad approfondire la nostra storia recente per capire il significato di questa ricorrenza. Come per il 25 aprile, quando si commemora la liberazione dell’Italia dai nazi-fascisti, anche il 2 giugno rappresenta una svolta per il nostro Paese, martoriato dai bombardamenti e da una guerra logorante che aveva privato gli italiani di viveri, di case e anche degli affetti; le vittime del Secondo Conflitto Mondiale in Italia furono 443mila. Romano Bracalini nel libro “Paisà. Vita quotidiana nell’Italia liberata dagli alleati” (Mondadori, euro 19) scrive: «(…) Ecco il volto dell’Italia devastata: 1.878.510 vani di abitazioni distrutti; 190.200 edifici pubblici distrutti o danneggiati; 10.200 cinema, teatri, alberghi distrutti; 41.100 chilometri di strade distrutti o danneggiati (…)». E l’elenco continua. I danni della guerra oscillavano tra gli 8mila e i 9mila miliardi di Lire dell’epoca. Ma, nonostante tutto, il popolo italiano trovò la spinta e il coraggio di rialzarsi. Aiutato dagli angloamericani, seppe voltare pagina, costruendo a poco a poco le premesse per il boom economico degli anni Cinquanta e Sessanta. Il processo fu lungo e difficile. Il 2 giugno 1946, insieme al 25 aprile, si misero i primi mattoncini per la ricostruzione.repubblica Gli italiani, per la prima volta anche le donne, furono chiamati a scegliere tra Repubblica e Monarchia. Vinse la Repubblica con 12.718.641 preferenze. Per la Monarchia votarono 10.718.502 di cittadini; voti ottenuti soprattutto al Sud. Con il Referendum del 2 e 3 giugno 1946, l’Italia dimostrò di essere ancora spaccata in due. Le basi comunque per la crescita furono poste, ma bisognava ancora finire di “seppellire i morti e sfamare i vivi”. Ricordare questi fatti significa quindi capire dove eravamo e chi eravamo, per ritrovare nel passato più buio la forza di rialzarci ancora. Le sofferenze ci fortificarono e per qualche decennio ci spronarono a osare e a credere in noi stessi. Poi, dagli anni Settanta a oggi, svanita la motivazione, ci siamo avviati verso un lento declino che stenta ad arrestarsi. A dare prestigio a una Nazione non sono i governanti, bensì i singoli cittadini che con onestà intellettuale scelgono i loro rappresentanti attraverso libere elezioni. Gli italiani, a differenza di quanto affermò Massimo D’Azeglio – che aveva però compreso appieno le caratteristiche del Paese reale, all’indomani dell’Unità d’Italia – non “vanno fatti”. L’italiano si deve invece fare da sé, un passo per volta, perché la nostra coscienza civica purtroppo (in particolare in alcune aree geografiche) è ancora ferma a 150 fa. E, anziché trovare il potere in noi stessi, affidiamo a connazionali, spesso incompetenti, il destino della nostra splendida Nazione, ignorando che ciascuno di noi è invece artefice della propria vita e di conseguenza anche di quella di un intero Paese. Lavarcene le mani non conviene, non più.

Maria Ianniciello

 

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