C’era una volta…a Hollywood, il Rick Dalton di Tarantino e la fine di un’epoca: recensione

C’è una scena di C’era una volta a… Hollywood che ha preso di più la mia attenzione: la macchina da presa inquadra dal basso un Rick Dalton (Leonardo DiCaprio) in lacrime mentre una bambina, che si atteggia a grande attrice, cerca di consolarlo.

Quentin Tarantino ci offre un punto di vista inedito di uno dei personaggi principali di C’era una volta a… Hollywood, mostrandocelo in tutta la sua fragilità. Ma non provo pena per lui. Piuttosto mi fa ridere, perché è macchiettisto, a tratti fuori luogo. E, proprio come Riggan Thomson di Birdman, Dalton è sul viale del tramonto.

C’era una volta a... Hollywood
Quentin Tarantino, Leonardo DiCaprio and Brad Pitt sul set di C’era una volta a Hollywood

Ci si chiede, pertanto, se il Cinema abbia ancora bisogno di un certo tipo di attori che, interpretando sempre il ruolo del cattivo, restano incastrati in quei panni. Lo ricorda Marvin Shawz (guarda caso ha il volto di Al Pacino) ad un perplesso Rick Dalton che si rifiuta di recitare negli Spaghetti Western perché «chi se li guarda».

Rick è emotivo, fragile, viscerale… lontano dai deliri di onnipotenza di Jordan Belfort o dallo sguardo vendicativo di Hugh Glass. Si tratta di un uomo complessato che cerca la propria dimensione in un mondo di cartapesta, al quale il regista di Pulp Fiction rende continuamente omaggio.

A fare da alter ego a Dalton è lo stuntman Cliff Booth (Brad Pitt), un uomo cinico, disilluso, sopra le righe che sembra essere impassibile a tutto tanto da fare a botte con Bruce Lee senza mostrare alcuna reazione di sudditanza.

C’era una volta a... Hollywood
Brad Pitt and Leonardo DiCaprio star in Columbia Pictures “C’era una volta a… Hollywood”

E poi in questo film c’è la Hollywood degli anni Sessanta (tutto si svolge nel 1969), quando ogni cosa sembrava possibile perché il Cinema americano stava attraversando un nuovo Rinascimento grazie a registi come Martin Scorsese, Francis Ford Coppola, Brian De Palma…Woody Allen… e lo stesso Roman Polanski.

La presenza di Sharon Tate (Margot Robbie), personaggio non marginale nel film e nella realtà barbaramente uccisa da un seguace della famiglia Manson, è emblema di quell’epoca che diede una nuova connotazione agli attori – i quali cominciarono a vestire i panni di uomini problematici – e alle attrici che iniziarono a dare le sembianze a donne forti ed indipendenti.

E mentre Sharon Tate in una sala cinematografica si emoziona guardando un suo film, Dalton piange perché la sua carriera è in una fase di stallo. O ci rinnova, andando in Europa, o si finisce nell’oblio. A Rick la scelta!

Come avrete capito C’era una volta a… Hollywood è un omaggio alla Settima Arte (e un po’ anche alla Tv degli anni Sessanta), che qui si autocelebra, e ad una realtà che non esiste più. La fiction entra nella fiction con una nota di realismo rappresentata da Sharon Tate e dal marito Polanski.

Per ovvie ragioni il film non ha la magia di La La Land ma è pervaso da una vena di malinconia che mi spiazza.

Il regista rinuncia – anche se non del tutto – a sangue e follia (almeno sino alle ultime sequenze quando si verifica il solito duello finale) per raccontare più storie collocate su diversi piani paralleli, che si intersecano, con una voce fuori campo di alleniana memoria che si sente ogni tanto per svelarci così qualche bugia.

Signori e Signore, C’era una volta a… Hollywood è un film alla vecchia maniera (avete visto la grafica dei titoli di cosa?) che somiglia solo a se stesso e che, per me, merita davvero. Su via! Ammettiamolo… Quentin è tra i pochi che riesce a tenerci incollati al grande schermo per tre ore di fila. E scusate se non è molto!

Curiosità? Nel cast c’è anche Luke Perry, il Dylan di Beverly Hills 90910, scomparso quest’anno. Luke nel film è Wayne Maunder.

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