Daniela Morozzi: Un sogno? Che si risani la politica di questo Paese

Daniela_Morozzi

Daniela Morozzi è diventata famosa interpretando il personaggio di Vittoria Guerra, nella fiction Distretto di polizia, ma l’attrice ha cominciato a muovere i primi passi in Teatro, dove oggi continua a dare il meglio di sé. Daniela, che sognava anche di fare la giornalista, è mamma e donna impegnata nel sociale. Dell’Italia dice nella seguente intervista: «Quello che oggi manca è un pensiero politico che andrebbe costruito anche attraverso la televisione».

Daniela-Morozzi-223x300Daniela, innanzitutto grazie per aver sottratto tempo alle prove in teatro per questa intervista! Sono curioso di conoscere qualcosa di te prima dell’inizio della popolarità che arrivò con Distretto di polizia. So che facevi tanto teatro, quali erano tuoi sogni, i tuoi progetti?

Dunque…io faccio parte di quella cerchia di persone che sin da piccoline volevano fare questa professione. Ero combattuta tra l’amore per il teatro e il giornalismo, avrei potuto essere vostro collega, pensa! Ho sempre letto di tutto e penso che la scrittura giornalistica sia meravigliosa, tanto che ci ho fatto uno spettacolo (Articolo femminile, ndr). Frequentavo l’università e una scuola di teatro quadriennale, a Firenze, che si chiama Laboratorio 9. Provengo dal teatro di ricerca, finché ebbi l’opportunità di seguire un seminario d’improvvisazione teatrale tenuto da un regista francese straordinario. Lì decisi: voglio fare questo! Mollai tutto, università, lavoro, fondammo una Compagnia, quasi tutti eravamo giovanissimi, intorno ai vent’anni. Cominciammo a crescere prima con i match d’improvvisazione, poi con la long form (un’improvvisazione più lunga); lavoravamo in tutta Italia e anche all’estero, perché era uno spettacolo che si teneva in tutti i Paesi francofoni. Squattrinati ma felici. Eravamo una novità assoluta. Quindi, tutto partì in questo modo. Una volta a Milano, alla scuola d’improvvisazione di Zelig quando questo era famoso solo tra chi seguiva il cabaret e non altrove, dove buona parte della comicità italiana era lì non ancora nota al grande pubblico, penso ad Aldo Giovanni e Giacomo per esempio, ecco quella fu una grande vetrina in cui si lavorava tutti insieme, era un posto magico, aggregante. Passò il mio amico Dario Ballantini, un giorno a Zelig, e mi disse che la sua agente cercava una come me, cioè sostanzialmente serviva un’attrice prosperosa. Feci il provino per Virzì e mi presero per il film Ovosodo, in un piccolo ruolo, quasi una citazione felliniana. Inaspettatamente mi prese anche per il film successivo, Baci e abbracci, per un ruolo da coprotagonista. Da quel momento parte la televisione.

Daniela MarozziNon hai fatto moltissimo Cinema.

No, perché quasi contemporaneamente ho avuto la fortuna di girare un film come Baci e abbracci e subito sono stata scelta per Distretto di polizia. Più che altro la cosiddetta sfortuna me la sono cercata, diciamo che è stata una mia scelta. Nessuno pensava che Distretto diventasse poi quel cult che divenne negli anni! Sono quei momenti in cui devi scegliere che indirizzo dare alla tua carriera.

Quanto ti hanno dato e quanto ti hanno tolto (se ti han tolto) dieci anni di fiction in tv? Hanno sottratto spazio al Teatro, non hai potuto realizzare cose che avevi in mente?

Mi ha dato tantissimo in termini di visibilità. Distretto di polizia, all’inizio soprattutto, è stato qualcosa di irriverente in televisione, è entrato a gamba tesa, una grande scommessa. Una fiction con degli attori stranissimi, diversi, quasi tutti provenienti dal teatro, sconosciuti. La produzione ha rischiato tantissimo! Nacque una famiglia bellissima, in cui ho imparato tanto… tu capisci, 12 ore al giorno sul set, alla fine eravamo delle macchine da guerra! Il problema è che mi impegnava nove mesi all’anno. I primi anni furono straordinari, un grande investimento della produzione su tutti noi, tanta popolarità, economicamente dignitoso. Riuscivo a fare un po’ le mie cose, i miei progetti teatrali, ma poi non avevo il tempo materiale di svilupparli, di portarli in giro. Alla settima serie pensai di smettere, e contemporaneamente rimasi incinta. Allora stipulammo un contratto triennale con la Novafilm in cui mi garantivano una serie di agevolazioni, delle garanzie per poter gestire al meglio la nascita del mio bimbo e allora rimasi fino alla decima edizione. Feci bene perché ebbi la possibilità di restare serena economicamente in un momento complicato. In questo mestiere se decidi di smettere rischi sulla pelle tua. Con un bambino avevo bisogno di garanzie che mi furono date. Ecco, forse gli ultimi anni mi hanno tolto, ma solo nel senso che davvero non ce la facevo più. La fine di Distretto è stata faticosa per come io l’ho affrontata, ma tutti sono stati generosi con me.

la vita non si sa mai 5Una curiosità su una cosa che mi ha fatto sorridere: hai ancora paura che la gente ti riconosca per strada? Cambiasti il colore dei capelli per non farti riconoscere!

(ride, ndr) Ma chi te l’ha detto?! Sì sì, fu una cosa tremenda! Adesso no, anche se ancora mi imbarazza tanto, però ti assicuro che i primi tempi era una sensazione sconvolgente! Ero giovane e poi i primi anni eravamo visti da 11/12 milioni di spettatori a puntata. Mi ricordo che una volta, a una fiera dell’antiquariato, col mio compagno ci dovemmo nascondere dietro un camion per mangiare un panino in pace. Io neanche mi rendevo conto, allora, di cosa voleva dire andare in televisione, ero travolta dagli eventi! Poi mi riconoscevano dalla voce e allora tornai bionda.

terapiaterapiaHo scoperto da poco l’improvvisazione teatrale e sono rimasto stupefatto, è divertentissima. Quanto c’è di fantasia e quanto di tecnica in questa forma di teatro?

L’improvvisazione è tecnica sopraffina! Noi utilizziamo una serie di tecniche per arrivare non alla costruzione di un personaggio, ma per far sì che l’improvvisazione stessa sia lo spettacolo! La tecnica mi permette di improvvisare, il concetto è totalmente ribaltato rispetto alla norma. Mi permette di improvvisare in scena, senza niente, usando la relazione con gli altri attori, in un lavoro incessante di ascolto reciproco per cui si arriva a costruire mattone dopo mattone, ognuno aggiunge un pezzo al lavoro dell’altro. Secondo me, è uno dei migliori lavori di insegnamento per un aspirante attore. Si improvvisa non da soli, bisogna ascoltare gli altri per poter costruire una storia. Manca la parte, diciamo così, che raffina il tutto. Non puoi improvvisare in scena e scrivere il testo del secolo, non hai proprio tempo. Ma a uno spettacolo di improvvisazione non si chiede di raffinare, ma di stupire con l’idea, la fantasia che arriva in quell’istante e questo è travolgente, soprattutto i primi anni. Poi sai, dopo quindici anni che la fai, se mi viene voglia di scrivere per il teatro, di fare altro, mi sento pronta proprio in virtù di tutto quel lavoro alle spalle. Un bagaglio completo.

Perché non si riesce a inserire, in un cartellone teatrale, uno spettacolo di improvvisazione che non sia una serata unica?

Spesso sono eventi unici. E’ difficile che si possa replicare tutte le sere in un teatro. Tu vivi a Roma, non ti rendi conto. Ma all’infuori di Roma e Milano, dove sosta uno spettacolo per un tempo lungo? Due tre giorni e a casa. Il teatro ufficiale non ci ha mai sostenuto! Venivano a vederci, si divertivano, ma poi finiva lì. Un po’ come succedeva nel ‘500 a Firenze con la commedia dell’arte. C’è un teatrino, dietro gli Uffizi, che si chiama il Teatro della Baldracca dove i comici dell’arte facevano spettacoli seguitissimi. I signori dell’epoca, le personalità, non potevano dire che andavano a veder le stesse cose del popolino. Avevano dei passaggi segreti in quel teatro, dai quali accedevano a dei palchi nascosti in cui nessuno li poteva scorgere. Poi andavano a vedere il teatro “nobile” e si annoiavano. Questo è quanto è successo con l’improvvisazione! Noi, qui a Roma, facevamo spettacoli con 1200 persone a sera! Ho fatto spettacoli a Parigi con quasi 7000 persone! Ho partecipato ai mondiali di improvvisazione, quindi ti parlo di livelli altissimi. Con sette sedi in tutta Italia, con dei numeri pazzeschi di allievi, senza alcuna sovvenzione, facemmo la domanda al ministero per la Scuola ufficiale, ci risposero che non avevamo i requisiti, capito? Dove vogliamo andare…

morozziTu lavori con tanti giovani. Ti ho visto in alcuni video mentre insegni. Ti confesso che mi addolora sapere che tanti giovani attori bravissimi non riescano a uscir fuori dal limbo e che poi abbandonano il sogno. Come la vedi questa situazione, con la tua esperienza?

Ma guarda Paolo, io penso che questa crisi ci tolga tanto ma ci dia anche tanto. Vedo tante persone che si sono rimesse in moto dopo essersi adagiate. Rispetto ai giovani, sinceramente, ti dico che secondo me questo lavoro è complicato da sempre, non solo ora. Ci vuole il talento, ma anche la capacità di sapersi organizzare la vita in vista dell’obiettivo. Vedo tanti giovani dal talento straordinario, ma senza alcuna resistenza alle avversità. Ma non credo che sia un problema di adesso. Sono pochi quelli che arrivano a livelli alti. Tanti talentuosissimi ora fanno tutt’altro, tanti altri con meno talento sono invece andati avanti. Ci vuole anche la testa, saper progettare, inventarsi il mestiere, avere idee proprie. Io credo nella progettualità individuale, non puoi aspettare che ti chiamino, bisogna aggregarsi, trovare con chi fare le cose. Quando insegno, cerco di incentivare i ragazzi a coltivare e sviluppare un proprio pensiero. I giovani allievi qui al teatro Golden, aldilà della riuscita della serata conclusiva, sono riusciti a formare un gruppo volitivo, disposto anche a fare le prove in mezzo alla strada! Per me questo è già metà del risultato! La voglia di sperimentare, di uscire. La scuola non è il mondo, non è lì che succede tutto.

Veniamo a te. Da qualche stagione sei tornata a recitare in teatro con grande riscontro di pubblico. Prima “Articolo femminile”, poi “Terapia terapia” con Gianni Ferreri e Vittorio Nobile (reduci di Distretto), “Se non ci fossi io”, adesso stai per debuttare con un’altra commedia “Chiamalo ancora amore”, sempre in coppia con Ferreri e con l’enfant prodige Emanuele Propizio, e a maggio con un tuo lavoro “Mangiare bere dormire”. Ti sei scatenata! Ma voglio provocarti… il binomio con Ferreri funziona benissimo da anni, ma non temi che questo ti possa ingabbiare, in qualche modo?

Ma guarda, finito Distretto sono stata un anno sul divano. Non scherzo eh! Attacchi di panico, sono stata male. Volevo smettere, poi mi sono detta che era il caso di riappropriarmi di quel che avevo sempre avuto dentro e mi sono rimessa a studiare tanto. Ho deciso di non fare televisione per un lungo periodo e di tornare al teatro. Ho incontrato il Golden sulla mia strada, che ha un programma delizioso di commedie e mi ha dato la possibilità di lavorare insieme a Ferreri e Nobile. Due attori che stimo professionalmente e a cui voglio molto bene. Questo mi ha dato la carica, con lo staff eccezionale che c’è qui, con una struttura che sostiene la drammaturgia contemporanea brillante, delicata, intelligente, che ha un suo senso. Ho ricominciato a scegliere io cosa fare e con chi. Era quello che volevo. E soprattutto, la cosa importante, è che dopo cinque anni dalla fine di Distretto, mi hanno ricominciato a chiamare Daniela Morozzi e non più Vittoria Guerra (il personaggio che interpretava nella fiction, ndr). Dovevo riaffermare una mia identità. E mi sono riappropriata della mia vita…fare la mamma innanzitutto, che è il top, ma anche tornare a far politica, attività nel sociale e altre cose. “Articolo femminile” fu l’inizio di questo processo, il primo spettacolo ideato da me. Quindi ho corso il rischio di restare ingabbiata come dici tu, ma ce l’ho fatta. Penso di aver ripreso a fare bene il mio mestiere.

Foto-Morozzi-webMi piacque molto una tua vecchia affermazione parlando dei reality: «In questo Paese, invece della resistenza fisica, si dovrebbe mettere alla prova la resistenza del pensiero, che se ne sta andando…»

Assolutamente! Quello che manca oggi e che secondo me andrebbe ricostruito, è un pensiero politico. Lascia stare le questioni dello sperpero, delle auto blu, tutto quello di cui si parla ogni giorno. Il pensiero politico è anche il pensiero culturale e negli ultimi venti anni è stato oltraggiato. La televisione ha largamente contribuito al dissolvimento del pensiero, ma anche la sinistra e te lo dice una donna che è sempre stata di sinistra, quella dura, ha avuto per anni un atteggiamento snob nei confronti della televisione, abbandonandola, senza pensare che quello è uno strumento che crea pensiero. Una cosa che mi metteva una pressione enorme mentre facevo Distretto di polizia, era accorgermi che la gente mi ripeteva le frasi che diceva il mio personaggio… è una responsabilità enorme e io la sentivo. Mi leggevo tutto, ogni singola frase che poi avrei recitato. Ogni parola arriva a milioni di telespettatori.

L’ultima domanda è quella che faccio a tutti. C’è un sogno alto nella tua vita? Anche qualcosa di apparentemente impossibile se vuoi. Spara altro sennò non vale.

Ah sì guarda…che si risani la politica di questo Paese. Che si risani la politica culturale e che si possa tornare a concepirla come servizio alla società. Vorrei che il Paese fosse guidato da menti illuminate, capaci di una progettualità tesa al benessere dei cittadini. Qualcosa di personale invece…vorrei avere la possibilità di tornare indietro nel tempo per avere un altro figlio, ma ormai non si può.

Grazie Daniela, anche oggi Cultura & Culture ha avuto il piacere di un bell’incontro.

Sono io che ringrazio il vostro giornale, un abbraccio alla redazione e a tutti i lettori!

Paolo Leone

 

* Un ringraziamento particolare all’ufficio stampa del Teatro Golden di Roma, diretto da Daria Delfino

 

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