Oggi incontriamo Angela Di Maso, polistrumentalista, drammaturga e regista teatrale. Premiata col prestigioso Franco Enriquez per la migliore drammaturgia italiana, ha raccolto dieci dei suoi testi teatrali nel libro Teatro (Guida editori). Nella seguente intervista Angela Di Maso parla del teatro ai tempi del Covid, della sua carriera e di tanto altro ancora.
Come si è accostata al teatro?
In maniera molto naturale. Io sono musicista. Durante un concerto in cui stavo eseguendo canti gregoriani, la partitura mi apparve come un testo scritto, i suoni cioè erano transcodificati in parole. C’era una storia da raccontare e inscenare nella neumatica. Non avevo però gli strumenti idonei per meglio comprendere quello che era accaduto e da studentessa di musica, molto severa e rigorosa, compresi che avevo bisogno di capire cosa stava succedendo e perché d’improvviso scrivevo sugli spartiti dialoghi tra personaggi, anche con una certa facilità. Mi iscrissi così ad una scuola di teatro a Milano di stampo russa, così come russa era stata la mia formazione musicale. Il corso di scrittura, regia, direzione attoriale ma anche scenotecnica, disegno luci, trucco e costumi, mi sembravano già così familiari. Forse perché sono musicologa e studiosa di melodramma. Il teatro era già in qualche modo parte di me. Doveva solo prendere forma. Così ho cominciato a scrivere testi e a dirigere i miei spettacoli. L’apprezzamento del pubblico che ancora tutt’oggi riempie le sale o ha fatto in modo che il mio libro – Teatro, edito da Guida – una prima raccolta formata da dieci miei testi svettasse in classifica tra i libri più venduti in Italia, mi rende felice in un ambiente che – a differenza di quello musicale in cui la mediocrità è fatta fuori, in teatro invece primeggia a causa di disonesti – è assai tortuoso. I personaggi sono sempre venuti a cercarmi. Vogliono che io narri le loro storie. Mi sussurrano all’orecchio. Con loro sono sempre in compagnia.
Angela Di Maso, cosa rappresenta per Lei il teatro?
Il Teatro è come la musica. La musica è come il teatro. Io sono fatta di questo. Di suono e parola che tengo uniti e custoditi nella più profonda e medievale ‘idea’ filosofica. Sono filosofa fino all’ultima punta dei capelli!
Quali sono le doti che un attore dovrebbe avere?
Tecnica, rigore, disciplina, puntualità, memoria e silenzio. Non deve parlare né dare opinioni sul lavoro in atto se non gli viene esplicitamente richiesto. Lo scambio di idee genera caos. Il regista è come Mozart: ha già tutta la costruzione scenica e la direzione attoriale in testa. Deve solo saperlo comunicare agli interpreti e fare in modo che questi possano affidarsi e fidarsi.
Il mondo dello spettacolo sta attraversando un periodo difficile a causa dell’emergenza Covid. Quali sono le criticità?
Il teatro era già morto prima del Covid perché muore tutto ciò che si cerca di trasformare in in-condivisibile. Samuel Beckett diceva che il teatro diventa inutile se non ci si tende la mano l’uno con l’altro. La nostra regola invece è ognuno per sé e per chi gli è simpatico. Attenzione: ho scritto simpatico non talentuoso. Questi ultimi vanno tenuti al bando perché il paragone potrebbe essere deleterio. Tuttavia ciò che diceva Pasolini resta una massima fondamentale: “T’insegneranno a non splendere. E tu splendi, invece”. Da filosofa medievalista, uno il concetto cardine: bene. Tutto quello che si fa nel nome del Bene, andrà Bene. Il teatro è di tutti. Il pubblico è l’unico giudice sovrano che può decretarne le sorti. E il giudizio del pubblico è sempre nel Bene, perché onesto e disinteressato.
culturaeculture.it si occupa soprattutto di cinema? Tre film che ci consiglia di vedere…
Domanda troppo difficile per me che mi considero una cinefila doc! Umberto D di De Sica; Un borghese piccolo piccolo di Monicelli; La pianista di Michael Haneke e – aggiungo un quarto! – Luna di Fiele di Roman Polanski. Ma la lista è davvero lunghissima. Il cinema, più del teatro, favorisce il sogno.
Lei è autrice. Qual è il lavoro al quale è più legata, se c’è?
Non c’è. È come chiedere a un bambino se vuole più bene alla mamma o al papà. I testi che scrivo sono tutti figli miei perché il processo creativo è lungo e travagliato come un parto. E come una madre per loro tutti voglio ogni bene che si traduce nella speranza delle migliori delle rappresentazioni.
Tre libri che le sono rimasti nel cuore…
Anche questa è una domanda ardua! Dirò i primi che mi vengono in mente: Il maestro di Vigevano di Lucio Mastronardi; Anna dai capelli rossi di Lucy Maud Montgomery; La Sonata a Kreutzer di Lev Tolstoj.
Vorrebbe un teatro tutto suo?
Un canile. Voglio un canile.