Maurizio Casagrande e Tosca D’Aquino insieme a teatro, l’intervista

Tosca D’Aquino e Maurizio Casagrande, due attori amatissimi dal pubblico. Ora sono insieme nella commedia di Neil Simon “Prigioniero della seconda strada”, in tournèe per la seconda stagione consecutiva. Li abbiamo incontrati nella pausa di una doppia replica del sabato nel teatro Golden di Roma e abbiamo scoperto due persone cordiali, ricche di entusiasmo per il loro lavoro, alla ricerca di un nuovo modo di fare teatro, molto attenti e coinvolti dalle domande che gli abbiamo posto. E’ stato un incontro ricco di calore e non poteva essere altrimenti.

Prigioniero della seconda strada2

Sono due stagioni che siete in tournèe con questa commedia di Neil Simon, Prigioniero della seconda strada. Un testo che sembra aver anticipato i tempi che stiamo vivendo e che, se vogliamo proprio andare a fondo, non è proprio da ridere. Chi sono i due personaggi che interpretate e cosa avete portato di vostro in loro?

 

Casagrande: Sono senza dubbio due personaggi reali, due entità molto vere e questo rende il testo molto attuale, plausibile. Mel, il mio, è un uomo preso dalla nevrosi totale di chi si trova a perdere la propria condizione sociale. Non è nemmeno tanto il problema economico, che ancora non ha. Perde il lavoro, ma per lui significa perdere una posizione. E’ prigioniero della Seconda Strada, è prigioniero del suo Status, quindi il suo dramma è questo e riversa sulla povera Edna (Tosca, ndr) tutte le sue frustrazioni non avendo il coraggio di parlarle dei disagi che vive dentro di sé.

D’Aquino: Spesso ci troviamo, con Maurizio, a parlare dell’attualità di questo testo che Simon scrisse negli anni Settanta e che veramente è precursore di questi nostri giorni. Non solo la crisi economica, i licenziamenti, ma si parla anche dell’inquinamento, delle nevrosi nelle città, dell’immondizia. Tutte problematiche attualissime e che ci fanno capire come esistano da tempo e non sono mai state risolte, diventando in certi casi delle vere tragedie. Cosa abbiamo portato di nostro? Intanto Casagrande ha lavorato sul testo rendendolo più italiano, meno datato e anche molto più comico, perché Neil Simon ha una scrittura brillante, ma certo non comica.

Maurizio Casagrande

Casagrande: Fammi aggiungere, allora, che Tosca mette nel personaggio una delicatezza e una simpatia aldilà del personaggio tanto da far sì che una donna per certi versi banale come Edna diventi una in cui il pubblico si identifica molto. Altre magari ne avrebbero fatto un personaggio più ovvio, ma lei annulla la distanza dagli spettatori.

Siete personaggi molto popolari, molto amati dal pubblico. Tu Maurizio, hai respirato teatro sin da piccolo, ma fate tante altre cose, dal cinema alla televisione. Volevo chiederti se ti manca una parte da cattivo, perché secondo me hai note drammatiche, e un volto, che si presterebbero molto. (Tosca ride, ndr).

Casagrande: Ah sì, sì! Io fui interpellato in tempi non sospetti, non ora che tutti i napoletani fanno i camorristi in televisione, che è quasi insopportabile, ora non lo farei o lo farei diversamente dal troppo che c’è in giro. Si, mi attira molto, sono convinto di avere una mia cattiveria e di essere divertente, in certi momenti, proprio perché non sono buono. Anche questo personaggio che interpreto ora, subisce molte ingiustizie, ma non fa pena perché ha quel pizzico di cattiveria. Sì, lo farei volentieri.

D’Aquino: Permettimi, Paolo, di aggiungere una cosa. In Italia, facci caso, siamo tutti ghettizzati nei ruoli. Un attore è comico, l’altro è drammatico… Mi vengono in mente attrici americane che passano da un ruolo all’altro senza problemi… una Nicole Kidman, una Charlize Theron, potrei citartene cento, fanno il drammatico, il musical, il brillante senza problemi. Qui è difficile scardinare certi schemi.

Tosca D'Aquino

Tosca, anche tu hai fatto tanto teatro, televisione, cinema, fiction, hai presentato programmi televisivi. Se chiedo a tanti cosa gli viene in mente al tuo nome, tutti mi citano “il Piripì” (il gesto provocante che faceva ne Il Ciclone – ndr). Alla luce di questo e della vostra esperienza, che idea vi siete fatti sui meccanismi della popolarità?

D’Aquino: (ride, ndr) Per quanto mi riguarda, io lavoravo in questo campo sin da bambina. Quel film fu lo spartiacque della mia carriera. Il Ciclone fu un film di grande successo e il mio personaggio era così carino, simpatico, con quel “piripiiii”, ed è rimasto nella memoria del pubblico! Ma non può che farmi piacere, sia chiaro!

Casagrande: Anche io, pur non avendo un suono da associarmi, una connotazione così precisa, posso dirti che la popolarità arriva dove meno te lo aspetti! Sempre se arriva. Ma guarda, in una commedia che mettemmo su con Salemme tanti anni fa e che pensavamo fosse una cosa che durasse poco, si chiamava “E fuori nevica”, io facevo la piccola parte di un notaio. A distanza di 23 anni ora uscirà il film! (il 16 ottobre – ndr) Mai avrei pensato che quella roba rimanesse impressa nel tempo. Invece ci sono dei giovani che neanche erano nati ai tempi della commedia, che mi avvicinano e mi riconoscono per quel ruolo, il che mi sembra un paradosso… ma questi meccanismi sono strani, valli a capire.

Avete entrambi tanto teatro nei vostri bagagli artistici. Un attore che nasce in teatro cosa si porta dietro, di questa esperienza, nel corso della sua carriera?

D’Aquino: Per quanto mi riguarda, tutto! Questo che tu hai detto io l’ho riscontrato soprattutto lavorando in televisione. Quando facevo la diretta il sabato sera con Panariello, a me il teatro ha sempre aiutato. Sai, in una diretta ci sono tanti tempi che tu devi riempire anche fisicamente, devi fare qualcosa, e io tranquillamente, sembrando una pazza, mi mettevo a recitare un brano di Shakespeare… arrivava Giorgio (Panariello, ndr) e mi prendeva in giro… Detto questo, io ho la sensazione che chi nasce dal teatro abbia le spalle forti! A parte la disciplina ferrea, la fatica, le tournèe, il cambiamento continuo, automaticamente tutto questo mi ha forgiata e quando è capitato di fare spettacoli nei palazzetti dello sport ho visto attori celebri entrare e spaventarsi, mentre io mi sentivo a mio agio. Il teatro ti sostiene sempre.

Casagrande: Il teatro ti dà anche un’altra cosa e io la riconosco soprattutto in chi come noi, deve tendenzialmente far sorridere, se non ridere, che è complicatissimo: la percezione che il pubblico cambia, ogni sera. Molti comici, che non fanno teatro, negli anni li vedi che si fossilizzano in una comicità che diventa sterile. Il teatro ti permette di accorgerti, sera dopo sera, che una battuta non fa più ridere, ad esempio. Tu modifichi, cambi insieme alla gente. Paradossalmente, un metodo così antico come il teatro, ti permette di rimanere al passo con i tempi! Questa è una magia! Si resta giovani, pensa!

Non si può negare che la napoletanità, frutto della grande cultura teatrale partenopea, sia sempre vincente. Avete una marcia in più. Carlo Giuffrè mi disse che la vera comicità nasce dal dolore, dalla sofferenza, altrimenti è fine a se stessa, diventa barzelletta. Voi due dove vi ponete in questo filone della comicità napoletana?

Tosca D'Aquino teatroD’Aquino: Mi sono sempre ispirata alla vita vera, aiutata dall’educazione ricevuta dalla mia famiglia. Ho imparato che anche nei momenti più drammatici della vita, se tu hai uno sguardo attento che percepisce le sfumature, ci sono sempre dei lati assolutamente comici. Nella mia famiglia siamo sempre stati molto uniti, riuscendo a ridere in mille situazioni, e questo l’ho poi portato con me nel mondo dello spettacolo. Se si riesce a superare quella soglia, ti accorgi che nella comicità i tempi sono di una precisione incredibile.

Casagrande: Eh, i napoletani… Soprattutto quando ho cominciato ad avere una certa popolarità, usciva il mio nome su giornali importanti, sui settimanali di approfondimento, e regolarmente scrivevano: Maurizio Casagrande, attore napoletano. Accanto agli altri nomi, c’era scritto solo attore. Io mi offendevo, perché pensavo che fosse una discriminazione. Poi ho capito che era come un marchio di fabbrica. Se non lo fai diventare un limite, diventa quella marcia in più che tu dicevi nella domanda. Mi pongo nel filone in questo modo, consapevole di questo.

L’arte napoletana, a Roma, è sempre stata amatissima, sin dagli anni Venti con la rivista, il varietà, i festival di Piedigrotta ospitati alla Sala Umberto, quindi una grandissima tradizione inserita nella capitale. Lo è ancora, nonostante ci sia una spinta che tenta di mettere in contrasto questi due popoli straordinari. Voi due vivete a Roma da tanti anni, vorrei le vostre sensazioni…il vostro rapporto con i romani.

D’Aquino: Ah, beh! Io ho sposato addirittura due romani (ridono entrambi, ndr), e ti dico una cosa. Nonostante sia autenticamente napoletana, nel midollo, quando venni a Roma per studiare all’Accademia avevo diciotto anni e mi sono sentita a casa mia. Ho sempre amato questa città e pur avendo girato il mondo per lavoro, Roma la sento casa mia!

Casagrande: La spinta avversa che dici tu è vera, e nasce dalla tanta tristezza d’animo che c’è in giro! Ho capito cosa vuoi dire. Ti racconto un episodio. Negli anni Ottanta avevo una casetta a Trastevere e noi napoletani vincemmo lo scudetto. I romani tifavano insieme a me, era una festa continua, andavo al bar a sentire le partite alla radio e si stava insieme, magari sfottendoci, ma in allegria. Che degli imbecilli, fazioni così sbagliate, rendano un gioco bello come il calcio una lotta, un pericolo… ma per carità! C’è gente che passa una vita a cercare di salvarsela, la vita, per una malattia o a causa di un incidente, e questi che fanno? No, è inconcepibile, è osceno. Questa è la parola giusta.

Torniamo al teatro. Avete un vostro sogno teatrale?

D’Aquino: Bella domanda! A me piacerebbe tanto partecipare a uno spettacolo grande, come quelli che si facevano un tempo. Adesso, anche per le difficoltà economiche, si tende a realizzare spettacoli minimalisti, ma mi piacerebbe far parte di un evento… che ne so, ricordo Masaniello con i teatri tenda stracolmi. Mia madre mi ci portava, oppure Gigi Proietti che era come andare allo stadio. Però mi piacerebbe fare un grande classico che non sia cristallizzato, ingessato.

©Tommaso LaPera
©Tommaso LaPera

Casagrande: Io sono in una fase di grande ricerca e questo spettacolo con cui siamo in scena in questi giorni ne è la riprova. Sento che il teatro è cambiato, mi piacerebbe starci dentro veramente, ma con la mia esperienza che è il lato positivo dell’età non più giovanissima, sento che va rotto tutto! Va rotto e ricostruito. Prigioniero della Seconda Strada, rotto con questi meccanismi che non sono teatrali (ausilii multimediali – ndr), diventa più attuale, più fresco. Certe volte mi viene voglia, e con Tosca sarebbe bellissimo, affrontare un testo di Shakespeare, senza mancare di rispetto a un grande autore come lui. Perché questi grandi classici debbono rimanere ammuffiti dal tempo, fermi all’epoca in cui sono stati scritti?

D’Aquino: Ma anche Pirandello, ripensarlo oggi sarebbe bellissimo, ha mille significati su cui lavorare.

Casagrande: Anche la lirica, ad esempio… non voglio dire che l’Aida non debba essere fatta con le piramidi alle spalle, con le palme eccetera, ma penso che oggi vada anche capito se c’è dell’altro! Io sono convinto che Shakespeare sia una delle scritture più comiche che esistano, ad esempio. Quello era il teatro popolare di una volta, erano delle soap opera. Quindi, perché lasciare che questi capolavori rimangano datati?!

Prigioniero della seconda strada

Che impatto avete avuto con il teatro Golden, senza palcoscenico, circondati dal pubblico?

Casagrande: Adorabile! Io qui dentro farei la Stabile! Sentirmi il pubblico addosso è fantastico, stanno a casa nostra!

D’Aquino: Vedi, si collega a quanto dicevamo prima: è uno spazio moderno, dove il pubblico non si sente intimorito dalla struttura classica del teatro e per l’attore… certo, è una sfida, vero Maurì?

Casagrande: Eh sì, qui stai attaccato allo spettatore! Non puoi nasconderti dietro niente. Con i tecnicismi qui dentro sei fregato. Hai lo spettatore a mezzo metro, se stai aspettando la battuta ed esiti, quello ti ride in faccia, sei finto!

Terminiamo con un concetto che espresse il grande Arnoldo Foà. “Il teatro è un moribondo che non muore mai, perché abbiamo bisogno del teatro per conoscerci, per riconoscerci. Non puoi essere attore se non conosci te stesso e il mondo, l’umanità”. Voi a che punto siete in questo meraviglioso cammino?

Tosca D'Aquino3D’Aquino: Io dico sempre che fare l’attrice è meglio che andare dallo psicanalista perché io sono una donna, e Maurizio mi prende in giro per questo, molto ordinaria… gli orari, la famiglia, gli schemi precisi. Chissà se non avessi fatto questo mestiere cosa sarebbe stato di me! Questo mio lato oscuro riesco a viverlo meglio grazie al mio lavoro, che è l’opposto.

Casagrande: Uno psichiatra che conoscevo, diceva di Vittorio Gassman che se non avesse fatto l’attore probabilmente sarebbe stato uno che saliva sui pullman a gridare, tante erano le cose da comunicare che aveva dentro. Io sono dell’idea che è bellissima la ricerca che puoi fare sulle persone, con il teatro. Chi fa questo lavoro con il pubblico, con la gente, con tutto quello che conosci intorno, acquisisce un patrimonio gigantesco. Se lo fai invece, come alcuni attori fanno, per isolarti dal mondo reale, allora non serve a niente e diventa una cosa tristissimamente moribonda.

D’Aquino: Beh, diceva Eduardo, del resto: “Ho assorbito avidamente, con pietà, la vita di tanta gente”. E’ proprio così, assorbi ma non giudichi. Porti dei personaggi in scena ma senza giudicare, altrimenti non potresti fare il ruolo di un’assassina per esempio. Porti del tuo, cresci, ma senza dare giudizi morali. E’ una grande ricchezza, questa.

Paolo Leone

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