Robin Williams, i suoi personaggi? Voci fuori dal coro

 

John KeatingIl male della depressione se l’è portato via per sempre, proprio quando, grazie al suo straordinario talento, affinato da giovane alla Juliard School, avrebbe potuto regalarci ancora tante emozioni. Ma il dolore a volte diventa insopportabile  soprattutto per i più sensibili e talentuosi; e Robin Williams di talento e sensibilità ne aveva. L’attore, che è morto suicida a 63 anni nella sua residenza californiana, ha dato le sembianze a personaggi che sapevano prendere la vita con leggerezza ed estrema semplicità, perché loro avevano colto il senso profondo delle cose e riuscivano così a rendere leggero ciò che poteva pesare come un macigno.

al di là dei sogni

«(…) figlioli dovete combattere per cercare la vostra voce (…)», dice il professor Johnn Keating de “L’attimo fuggente” (pellicola prodotta dopo molti rifiuti) agli alunni della conformista Accademia Welton, in un periodo (il film era ambientato nel 1959) in cui le persone venivano valutate per quel che sapevano e non per come facevano proprie le nozioni acquisite. C’è una certa similitudine tra i personaggi interpretati da Robin Williams, che ha proposto nei suoi film i valori dell’entusiasmo e della perseveranza. Occhi nostalgici, ma anche saggi e buoni, come quelli del dottor Sean di “Genio Ribelle”, il film uscito nel 1997 e diretto da Gus Van Sant, il cui protagonista è Will Hunting (Matt Damon), un ragazzo di vent’anni, con un lavoro precario e un quoziente intellettivo sopra la media. Doti che però non sa sfruttare perché la sua creatività è offuscata dalla logica e soprattutto dalla paura di decidere e di agire. Will sa risolvere problemi irrisolvibili per i matematici più illustri e, affinché possa e voglia esprimere il proprio potenziale, è affidato alle cure del dottor Sean McGuire, con il quale Williams ricevette il Premio Oscar nel 1998.

genio ribelle

«(…) Michelangelo, sai tante cose su di lui (…) ma scommetto che non sai dirmi che odore c’è nella Cappella Sistina. (…) Sei uno tosto  (…) Io ti guardo e vedo un bulletto che si “caga” sotto dalla paura (…) Non c’è niente che possa imparare da te che non legga in qualche libro (…) a meno che tu non voglia parlare di te (…)», dice Sean a Will, con una passionale umiltà. Il passato ritorna nella vita del terapista e del paziente, che attraverso le sedute psicoanalitiche ritrovano entrambi la loro voce, rivalutando ciascuno la propria storia personale.  I personaggi di Robin Williams parlano della vita e della morte con un’insostenibile leggerezza dell’essere per rendere tenue ciò che non lo è. La comicità diventa quindi un modo per conoscere se stessi e soprattutto per esprimere un pensiero alternativo senza però grandi aspettative. Voci fuori dal coro che ci fanno riflettere, perché in realtà “Al di là dei sogni” c’è un altro mondo, che si potrebbe riprodurre in terra, se solo ci credessimo abbastanza, se solo avessimo il coraggio di tentare, tutti insieme, senza paradigmi e senza presunzioni come fa il simpatico Patch Adams. Addio a Robin Williams che, con i suoi più di sessanta film, ci ha fatto e ci farà sognare e sperare, ridere e piangere.

Maria Ianniciello

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