RICERCA, ITALIA FANALINO DI CODA DELLA UE NEGLI INVESTIMENTI

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«Innovare i sistemi agricoli è uno dei prerequisiti per la crescita delle produzioni e della produttività dei mercati e quindi dei redditi. Per innovare, però, serve una costante attività di ricerca ed una spesa pubblica dedicata a questo scopo». Lo ha detto il presidente di Confagricoltura, intervenendo alla tavola rotonda “L’innovazione in agricoltura e per lo sviluppo rurale: le politiche, la domanda, l’offerta”, organizzata dall’Università di Bari.

Il presidente di Confagricoltura ha ricordato che alcuni studi condotti negli Usa dimostrano che c’è una certa correlazione tra minore spesa pubblica per la ricerca agricola e la turbolenza dei mercati degli ultimi anni. Nei Paesi ad alto reddito, negli anni ’70-’80, la spesa pubblica dedicata alla ricerca agricola cresceva del 2,5 per cento circa l’anno. Nel decennio dal 1991 al 2000 siamo scesi a meno dello 0,6 per cento. «Sarà un caso – ha detto Guidi – ma è proprio da allora che è aumentata la volatilità dei prezzi. Diminuire la spesa in ricerca – ha continuato il presidente di Confagricoltura  – significa comunque mettere a rischio la produzione e la produttività, ad esempio pregiudicando la capacità di fronteggiare le calamità naturali, come la siccità che ha falcidiato i raccolti di quest’anno».

Ecco perché uno dei principali obiettivi di Europa 2020 è quello di aumentare sino al 3 per cento la quota di Pil destinata a finanziare ricerca e innovazione (per tutti i settori non solo per l’agricoltura). Ed in questo l’Italia non solo è indietro, ma ha anche fissato obiettivi di medio periodo poco ambiziosi. Oggi nel nostro Paese, secondo i dati Eurostat, si impegnano risorse per ricerca e innovazione per l’1,26 per cento del Pil. La media dell’Europa a 27  è del 2 per cento e ci sono Paesi che già superano la soglia del 2 per cento del Pil (2,26 per cento la Francia, 2,82 per cento la Germania) e del 3 per cento (Danimarca, Finlandia e Svezia). Ma soprattutto l’Italia è poco ambiziosa: ha fissato come obiettivo una quota dell’1,53 per cento del Pil, uno tra i più bassi d’Europa, superiore solo alle piccole isole e Bulgaria e Lituania.

«Certo – ha detto Guidi – la promozione di un’idonea attività di ricerca non si ottiene solo con finanziamenti pubblici. Occorre investire di più anche nel collegamento tra enti ed istituti di ricerca e imprese. E qui i non servono risorse. Servono solo indirizzi politici per avvicinare le imprese ai laboratori, specie quelli pubblici, ricostituendo un rapporto che è venuto meno nel tempo e che è invece un elemento essenziale della rete di conoscenze al servizio della crescita e dell’occupazione».

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