Mustang: recensione e trailer di un film “scioccante”

Mustang: recensione del film

 

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Mustang è un film che spicca nel panorama delle opere prime per la sua capacità di tratteggiare, con una freschezza e lucidità incredibili, la condizione femminile in Turchia. Questo focus lo spettatore lo intuisce sin dai primi momenti e dalla costituzione stessa della famiglia: cinque sorelle più una nonna (Nihal Koldaş). Le prime vorrebbero vivere una vita cosiddetta normale. La nonna è come se fosse un po’ il bastone e la carota perché da un lato è severa, autoritaria, preoccupata delle dicerie altrui, dall’altro cerca di proteggerle dalle reazioni ultra-severe e maschiliste del figlio. Non possiamo nascondervi che, in particolare, come donne si rimane scosse dalla visione di Mustang, tanto più di fronte ad alcuni colpi di scena. Da donne si entra maggiormente in empatia, si fa il tifo per queste ragazze e, al contempo, si crea la consapevolezza dello scarto che c’è tra la nostra condizione e la loro. Ma, la forza della regista, Deniz Gamze Ergüven, sta anche nel portarci per mano in quel mondo senza far pesare questa “differenza” tra la situazione femminile occidentale e la loro, te la fa guardare e attraversare sfuggendo i moralismi. Immaginiamo che questo accada anche perché la Ergüven è nata ad Ankara, ma ha vissuto soprattutto in Francia. «Da un po’ di tempo il Paese ha compiuto una svolta più conservatrice ma si percepisce la presenza di una forza, di un’energia particolare», ha dichiarato la cineasta. La pellicola è raccontata in soggettiva, è la più piccola, Lale (Güneş Nezihe Şensoy) a dirci nei primi fotogrammi che «tutto mutò in un battito di ciglia» ed effettivamente la platea assiste a questo cambio repentino. Si resta un po’ sconvolti nel vedere come gesti per noi quotidiani – come delle ragazze che giocano in acqua, a cavalcioni, sulle spalle dei ragazzi – possano fare scandalo e avere delle conseguenze forti. Lale, Nur (Doğa Zeynep Doğuşlu), Ece (Elit Işcan), Selma (Tuğba Sunguroğiu), Sonay (Ilayda Akdoğan) avrebbero tutta la vita davanti e, nella nostra ottica, tutta la gioventù da vivere, e, invece, sono in attesa di indossare quegli abiti «color merda, senza forma», pronti a celare le forme che si sviluppano durante la crescita. La loro forza sta nell’essere unite, il punto è che, per quel benedetto sistema culturale e sociale, a una a una saranno divise e, in vista dei matrimoni combinati, è proibita ogni cosa che possa minacciare la loro virtù.

Mustang

La regista spiega così il titolo: «I mustang sono cavalli selvaggi che simboleggiano perfettamente le mie cinque eroine, il loro temperamento indomabile, focoso. E, perfino visivamente, le loro capigliature ricordano delle criniere, il loro scorrazzare nel villaggio ricorda quello di un branco di mustang». L’utilizzo della macchina a mano in alcuni punti fa la radiografia di quei volti ed enfatizza questo procedere della storia, spesso a tamburo battente. Man mano che la storia si dipana, in parallelo ci ritroviamo ad assistere al matrimonio delle sorelle più grandi, lo celebrano insieme, ma rappresentano due facce della stessa medaglia: un amore indotto. In Mustang si avverte come ci sia uno sguardo femminile dietro l’obiettivo della macchina da presa, uno sguardo di chi conosce bene quella realtà fatta di certificati di verginità, di case che diventano prigioni – e non di certo dorate – in cui le donne sono solo mogli e coloro che sfornano figli. Allo stesso tempo gli occhi della Ergüven hanno maturato la giusta distanza per mettere a tema tutto questo. Va sottolineato, infatti, come non emerga soltanto un aspetto maschile o come se tutti gli uomini fossero come lo zio delle ragazze e questa cura non è scontata, ma dimostra la non ottusità di visione. Nel film il quadro realistico della condizione femminile è bilanciato, in particolare, dai voli pindarici soprattutto della più piccola, che si inventa giochi tra quelle quattro mura e trova un interlocutore positivo al di là del fil di ferro e in una figura scolastica, ma non possiamo aggiungere altro. Ognuna delle cinque sorelle ha una psicologia diversa e la regista, co-sceneggiatrice insieme a Alice Winocour, le dipinge in profondità, con grande sensibilità. Ad accentuare l’idea di campana di vetro ci pensa il paesaggio. Siamo a Nord di Istanbul, sulla costa del Mar Nero, in un villaggio sperduto che si snoda tra strade curvilinee e foreste, pronte a far sentire le ragazze, e noi con loro, in capo al mondo. «Per me queste cinque ragazze sono come un mostro a cinque teste che rischia di perdere una parte di sé ogni volta che una di loro viene estromessa dalla storia», ha confessato Ergüven. Il resto vi consigliamo di scoprirlo guardando Mustang, film che, non temete, lancia anche bagliori di luce, risvegliando in tutti il desiderio di emancipazione. Voto: [usr 4]

 

Mustang: trailer del film

Mustang: trama del film

Siamo all’inizio dell’estate e cinque sorelle festeggiano la conclusione dell’anno scolastico insieme ai ragazzi. Questo, però, costerà caro. A punirle è la nonna, a cui arriva la voce dell’accaduto, visto che in un piccolo e remoto villaggio turco, tutti sanno di tutti. Il punto, però, è la forma mentis. Nel corso delle settimane in cui la scuola è chiusa, la nonna le prepara alla vita domestica e insieme allo zio-padrone combina i matrimoni man mano che crescono. Le cinque sorelle cercano, con complicità e ognuno a proprio modo, di sfuggire alle costrizioni, ma in un sistema così costruito e consolidato, non è semplice.

 

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Maria Lucia Tangorra

Nata a Conversano (Ba) nel 1987, da alcuni anni si è trasferita a Milano per coltivare la passione per cinema, teatro e giornalismo col desiderio di farne un lavoro. Free-lance, critico e corrispondente dai festival per web magazine di cinema e teatro; ha realizzato anche reportage e approfondimenti di spettacoli tra cui “Invidiatemi come io ho invidiato voi” di T. Granata e “Un giorno torneranno” ideato e interpretato da S. Pernarella. Si è appassionata al cinema e al teatro vedendo recitare gli attori forgiati dal maestro Orazio Costa Giovangigli e da lì ha cercato di conoscere i diversi modi di fare e vivere il teatro e il cinema (senza assolutamente disdegnare alcuni lavori televisivi di qualità). Quando ha sentito sul palco queste parole: «Sai cosa vuol dire vivere in un sogno? Ciò che tu non sei, sei: e, ogni notte, lo frequenti» (dal testo teatrale “Orgia” di P. P. Pasolini) ha pensato che questo accade quando ci si immerge nel buio della scatola magica e della sala cinematografica. Grazie a questo lavoro fatto anche di incontri umani, non solo professionali, pensa che senza il teatro e il cinema il respiro sulla vita sarebbe diverso perciò, nonostante tutto e tutti, crede che di cultura e arte si possa vivere e che le passioni possano trasformarsi in una professione.

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