Luca De Bei: Tempeste Solari? Spettacolo classico-moderno

©Luca Ragazzi
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Luca De Bei, uno dei drammaturghi e registi più interessanti e originali del panorama teatrale italiano. Anche attore e sceneggiatore cinematografico. Tra i suoi testi rappresentati, Buio interno (Premio Europeo per la drammaturgia del Festival di Heidelberg 2002); Un cuore semplice, tratto da Flaubert e interpretato da Maria Paiato; Le mattine dieci alle quattro (Premio Golden Graal per la regia nel 2010 e Premio Le Maschere del Teatro Italiano nel 2011). Nella stagione passata, al Teatro della Cometa, ha messo in scena il bellissimo Nessuno muore. Ora debutta martedì 13 ottobre al Teatro Eliseo con un nuovo, attesissimo spettacolo, Tempeste solari, con un cast importante in cui spiccano Ugo Pagliai e Paola Quattrini. Contattato in una pausa delle prove, a passeggio con i suoi amati cani, ci ha parlato del suo nuovo lavoro e non solo, con la sua consueta gentilezza.

Allora Luca, ormai il debutto del tuo nuovo spettacolo, Tempeste solari, è imminente. Siete pronti? So che avete lavorato come pazzi tutti i giorni.

Ma veramente! Mi trovi in uno dei rari momenti di tranquillità, puoi immaginare sotto debutto come stiamo! Ti dirò, siamo stati bravi. Ho avuto la fortuna di ottenere subito, dal primo giorno di prove, la scenografia e le luci. Essendo questo uno spettacolo molto complesso, pur nella sua apparente semplicità, non stiamo facendo Riccardo III, però sai…nove scene, con carri che si muovono, pedane scorrevoli, portali che si alzano e abbassano, nove cambi scena, luci molto particolari. Se non avessimo avuto subito tutto non avremmo mai potuto realizzarlo. E ci vogliono persone che lavorano nell’ombra per far funzionare tutto coi tempi giusti, senza pause che io non voglio.

©Luca Ragazzi
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Quindi, come al solito, ci stupirai non solo nei contenuti.

Visivamente è uno spettacolo splendido. La mia idea di partenza, che ho comunicato a Ghisu (scenografo – ndr), anche se può sembrare folle, è quella della stanza bianca di 2001 Odissea nello spazio. Volevo una cosa moderna, ma allo stesso tempo classica perché al suo interno si muoveranno le vicende di una famiglia borghese per antonomasia. Però volevo questi rimandi, sai…lo spazio, le tempeste solari… Quindi mi sono immaginato questa capsula bianca, una sorta di astronave che viaggia nel cosmo, ma con una struttura da casa iperborghese. Scena completamente bianca, tutta di boiseries di legno bianco, ma con un pavimento dipinto come fosse una tappezzeria tono su tono, e con dei portelloni fantascientifici, distorti, che sembrano quelli di un’astronave, che inghiottono ogni volta una scena e ne sputano un’altra.

Nei tuoi allestimenti c’è sempre una cura maniacale delle luci. Quanta importanza hanno in un’ambientazione così particolare?

Ah, fondamentali! Tu sai che a me piacciono gli spettacoli “bui”, dove gli attori emergono dal nero. In Tempeste solari, avendo una scenografia bianca, era una sfida impossibile, ma con Marco Laudando (light designer – ndr) abbiamo lavorato tantissimo sui “tagli”, non abbiamo quasi mai luci frontali, che in teatro si usano tanto per motivi pratici ma a me non piacciono perché appiattiscono. Quindi, pochissime luci frontali, quasi tutti “tagli” e poi sono riuscito ad ottenere degli effetti particolari con i fari blinder (fari usati prevalentemente nei concerti – ndr) e i motorizzati con cui posso cambiare colore di continuo. Per avere tutti i colori che vorrei io dovrei avere cento fari diversi, ma capisci che non è possibile.

Con Ugo Pagliai ©Federico Riva
Con Ugo Pagliai ©Federico Riva

 

Luca, emozioni particolari per questa Prima nazionale di Tempeste solari all’Eliseo?

Fai un po’ tu! (ride – ndr). L’Eliseo non è solo un teatro tra i più importanti d’Italia. E’ il teatro con la più lunga tradizione, ha una storia di continuità impressionante. Lì si sono formati e hanno dato una grande riconoscibilità all’Eliseo i più grandi attori e le più importanti compagnie della nostra storia! E’ un teatro che ha un DNA ancora più riconoscibile rispetto a tanti altri teatri, pur prestigiosissimi, ma che per varie vicende non hanno avuto la stessa continuità culturale, di intrattenimento, di rapporto col pubblico. E’ un luogo sacro l’Eliseo! E fammi ringraziare Barbareschi, che io non conoscevo di persona, che appena ha letto il mio testo ne è diventato il primo sostenitore.

La stagione passata sei tornato a stupire con Nessuno muore, straordinario intreccio di vite contemporanee, una lente di osservazione sull’uomo moderno, sulla sua solitudine, il suo bisogno di contatto, fosse anche un contatto alieno. Con questo tuo nuovo lavoro, dal titolo altrettanto inquietante, Tempeste Solari, cosa vedremo? Immagino tempeste molto umane…

©Federico Riva
©Federico Riva

Immagini benissimo! Ovviamente la tempesta solare, che esiste nel testo, è una minaccia reale, incombente, ma è una metafora, non solo delle tempeste che si agitano dentro ognuno di noi, ma è anche la metafora di una sensazione di fine. Viviamo in un’epoca in cui sembra che l’uomo non abbia la capacità di rinnovarsi. Siamo, in realtà, alla fine di un’epoca. L’uomo oggi è davanti ad una grande scommessa: perdere o cambiare, andando avanti. Il mondo come lo abbiamo concepito, è al collasso. L’ingiustizia è sovrana, l’egoismo, il denaro come sopraffazione, la dittatura delle multinazionali che io attacco duramente in questo testo, la negazione dei diritti più elementari, la violenza verso il più debole e tant’altro. C’è questa sensazione di fine imminente, quasi invocata, è innegabile questo. Nel mio spettacolo, per farvi capire, c’è il personaggio della madre, interpretato da una straordinaria Paola Quattrini, che quando le suggeriscono l’ipotesi della fine del mondo, reagisce dicendo “meno male, io non ne posso più!” Concepita quasi come una liberazione, è invece una grande sfida perché l’uomo deve trovare il modo di poter cambiare, per evolversi. I personaggi dello spettacolo sono tutti lì, ognuno a modo proprio arrivato alla fermata prima del capolinea. Devono decidere cosa fare. Come mia abitudine, io non do delle risposte, la sfida rimane aperta. I personaggi non risolvono, ma nel corso delle vicende avranno la possibilità di riflettere. Al termine, non sono come erano all’inizio, ognuno chiuso nel proprio bozzolo. La vita li mette di fronte a dei fatti che li costringerà a prendere delle decisioni. Il pubblico poi immaginerà quali.

Non è la prima volta che nei tuoi lavori il quadro dei rapporti, della famiglia, delle relazioni umane in genere, non ne esce benissimo. Quale apporto può dare il teatro contemporaneo all’analisi di certe dinamiche? E’ solo uno specchio o può (o deve) avere un ruolo attivo?

Il teatro è rappresentazione della vita e in quanto tale offre la possibilità non solo di immedesimazione, ma anche della catarsi. Il teatro nasce come sintesi delle problematiche della vita. Questo è il suo compito. Il fatto di essere rappresentazione dal vivo, permette quella cerimonia, quell’evento unico che nessun altro mezzo è in grado di realizzare. E’ una questione energetica, uno scambio di energia col pubblico. Chi fa teatro sa come uno spettacolo cambia, a volte radicalmente, di sera in sera. Col mio penultimo lavoro, Nessuno muore, ho avuto risposte incredibili da questo punto di vista. Sere in cui la gente era entusiasta, colpita, commossa, altre in cui avvertivi il rifiuto di ciò che veniva rappresentato in scena. Mi ha spiazzato questo, non ero abituato, sinceramente. Ero un po’ viziato, abituato troppo bene. Invece bisogna verificare e imparare da questo. Andare sul sicuro è troppo facile. Se tu mi chiedessi una commedia di successo, te la confezionerei in un attimo. Battute giuste al momento giusto, situazioni che non disturbino nessuno, in cui tutti possano sentirsi tranquilli, col lieto fine…che ci vuole? Ma a me piacciono le sfide.

Solitamente affidi la tua drammaturgia ad attori giovani, alcuni li hai proprio consacrati. In questo spettacolo ci sono due grandi del teatro italiano come Ugo Pagliai e Paola Quattrini, oltre agli altri. Come mai questa scelta?

Ma, sai, è una conseguenza dei personaggi. Io ho aspettato tanti anni per scrivere Tempeste solari, erano anni che ce l’avevo in testa. Senza fare nomi, ma da almeno dieci anni grandi produttori mi avevano chiesto un testo che parlasse di una famiglia. Ma non ero pronto, un po’ per motivi miei personali, un po’ proprio per una questione di maturità drammaturgica. Non ci riuscivo. Uno scrittore trova più naturale scrivere di personaggi di età simile alla sua. Adesso, per la prima volta in un mio lavoro, compaiono scene con dei genitori. Due personaggi con grande carisma, che hanno avuto molta influenza sui figli, perlopiù devastante, ma con una fortissima personalità. Di conseguenza, andavano interpretati da due attori che, nonostante nello spettacolo tutti i sei interpreti abbiano lo stesso spazio, avessero grande personalità.

Come hanno accolto il tuo testo Ugo Pagliai e Paola Quattrini, come hanno interagito col resto della compagnia?

Fantastici! Loro, abituati a essere protagonisti assoluti, hanno accettato di essere messi allo stesso piano dei più giovani, proprio perché innamorati di Tempeste solari! Paola addirittura voleva chiamarmi alle tre di notte la prima volta che l’ha letto. Mi inviò un messaggio. Pagliai, ugualmente, appena l’ha letto mi ha dato subito la disponibilità. Una grande apertura, una grande modernità. E ti dirò, interpreteranno dei personaggi con molti lati oscuri. Nel caso della madre, temevo di non trovare un’attrice in grado di farla. Il personaggio di Paola, inizialmente brillante, rivela un’anima talmente nera che pensavo di non trovare nessuna all’altezza. Entrambi hanno accettato i lati oscuri dei propri personaggi, apportando ovviamente la loro creatività. Non posso certo insegnare qualcosa a due attori così. Disponibili nel portare le loro idee sui ruoli, ma anche molto rispettosi della mia linea registica. Una grande umiltà!

Un cast importante, giovani bravissimi e due mostri sacri!

Sì, giovani di grande valore come Mauro Conte e Chiara Augenti, poi David Sebasti e Pia Lanciotti, che conosci e non ha bisogno di tante presentazioni.

Luca De Bei, secondo te la drammaturgia contemporanea riesce ad avere lo spazio necessario per imporsi e non tradire se stessa? Spesso ascolto i timori degli addetti ai lavori, nei riguardi del fidelizzato pubblico degli abbonati, spesso non abituato a certe tematiche forti in teatro…

Io penso che non sia assolutamente vero che il pubblico non sia pronto a certe tematiche della drammaturgia contemporanea, anzi. Queste sono le paure di chi gestisce i teatri. E sai perché? Chi decide in Italia le sorti del teatro? Non sono mica Antonio Calbi (direttore Teatro di Roma – ndr) o Luca Barbareschi (direttore Eliseo – ndr), sono gli operatori teatrali dei circuiti! Uno spettacolo teatrale in Italia può vedere la luce se “vende”, se va in tournée, altrimenti è come inventarsi una bella bicicletta ma che nessuno compra. Si sappia questo! Purtroppo le realtà locali sono spesso in mano a persone che per età, per convinzione, per cultura, sono fermi a cinquant’anni fa! Sono loro che hanno paura di portare gli spettacoli al pubblico, sono loro che vogliono solo i grandi nomi, sono loro che insistono col cancro del nome televisivo, capisci? Nemmeno il grande nome di teatro, nossignore! Noi abbiamo un patrimonio, ancora per poco ma ce l’abbiamo, di grandi attori, validissimi, ma “non vendono”, uso questo termine orribile. Ma sai quanti attori ci sono che hanno lavorato una vita intera in teatro, anche non notissimi, che potrebbero essere fonte di ispirazione per noi autori? Professionisti pazzeschi, pronti… adesso sono dei numeri. E noi autori? Dovremmo aspettare il nome della tv o del cinema per poter andare in scena? Il pubblico invece è affamato di novità, altroché! Perfino la tv, che è il luogo più reazionario del mondo, sta cercando di rinnovarsi. La gente è prontissima, altro che storie! Sono gli operatori teatrali che non sono in linea con questa voglia di novità! E’ un problema culturale. Chi sta ai posti di potere? Sono governi e governi che considerano la cultura una spesa. La cultura va sostenuta, non si può pretendere che si finanzi da sola. E’ come pretendere che la scuola si finanzi da sola! La cultura non è marketing!

©Luca Ragazzi
©Luca Ragazzi

E’ anche vero però che abbiamo gli esempi degli Stabili, che non brillano per lungimiranza in questo senso.

Certo, la realtà è sempre molto complessa. Per contro, infatti, è vero che l’assistenzialismo al teatro nella stagione d’oro dei contributi ministeriali negli anni ottanta e fino ai primi anni novanta, ha fatto si che il teatro, ma anche il cinema, non diventassero un’industria. Per carità, grandi registi, grandi nomi, però hanno prodotto opere faraoniche, costosissime, senza guardare al lato imprenditoriale. Grandi opere che morivano lì. Anche questo è un male, perché gli operatori teatrali non vogliono vivere di questo. Se un produttore volesse investire, poi si trova davanti un meccanismo inadeguato, una distribuzione inesistente. Senza contare che le produzioni sono schiacciate da un peso fiscale assurdo. Riuscire a produrre uno spettacolo che non vada in perdita è pressoché impossibile. Tutto questo ha contribuito al disastro attuale.

Cosa ti aspetti da Tempeste solari?

Ogni spettacolo è una sorpresa. E’ sempre come il primo giorno di scuola, difficile prevedere le reazioni del pubblico. Quello che però spero, che è quello su cui ho lavorato, con gli attori, con la mia regia, con le luci, i costumi, i suoni, è che gli spettatori vengano rapiti da queste storie che si incrociano e che non si accorgano del tempo che passano in teatro, ridano perché c’è dell’ironia, ma si commuovano perché c’è commozione, c’è dramma. Spero che il pubblico venga preso da questo frullatore di emozioni e sentimenti che è Tempeste solari, che entri nel vortice delle storie e ne riesca con l’esperienza di aver visto qualcosa che lasci degli spunti di riflessione!

 

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