L’Italia? Il Paese della donna burattino

Il rapporto Istat sulle disuguaglianze sociali parla chiaro: da un’indagine svolta su 27 Paesi dell’Unione Europea emerge che il divario fra le classi sociali è ancora molto forte in Italia, con percentuali che si impennano al Sud; una fotografia del nostro Paese che non fa ben sperare e su cui vogliamo aprire una parentesi per inquadrare un fenomeno che ha profonde radici storiche soprattutto per quanto riguarda le condizioni della donna italiana, in particolare meridionale. Prima però inquadriamo la situazione.

Il dato

In Italia la divisione dei ruoli all’interno delle coppie meno istruite è ancora quella tradizionale, con il marito che lavora, cioè – come si diceva una volta – «porta il pane a casa»,  e la moglie che si dedica alle faccende domestiche, indipendentemente dalla sua occupazione. In realtà abbiamo tre gruppi, da un lato ci sono i modelli tradizionali mentre dall’altro le coppie in cui la moglie lavora ma ha un reddito nettamente inferiore a quello del marito. Nel primo caso un’alta percentuale di donne non ha possibilità di accedere al conto corrente del coniuge, né ha facoltà decisionali. Poi, c’è un terzo gruppo poco nutrito (sono circa 490mila i casi) in cui la consorte guadagna quanto o addirittura di più del marito e la cura della casa ricade su entrambi. A questa fascia, che si trova principalmente a Nord del Paese, appartengono le persone con un titolo di studio più alto.

La riflessione

Questi dati che abbiamo proposto, seppur sinteticamente, illustrano la situazione della donna italiana che – oltre ad essere esclusa dagli incarichi di grande responsabilità – è ancora condizionata dal ruolo stereotipato di madre e moglie. Uso la parola condizionata perché, a mio avviso, ognuno è ciò che decide di essere. Per migliorare la situazione, come si evince dall’indagine, è di fondamentale importanza possedere gli strumenti per affermarsi nella società. Quali sono gli strumenti? L’istruzione o meglio la capacità di pensare con la propria testa. In alcune zone del Sud Italia, soprattutto tra le classi meno abbienti, la donna che sceglie di percorrere una strada diversa da quella delle proprie coetanee viene spesso additata come rivoluzionaria. Sì Signori, qui si è ancora rivoluzionarie se si decide di fare carriera, se si decide di non essere madre, se si decide di non sposarsi o di allevare in modo diverso i propri figli. La libertà di scelta è spesso influenzata da uno status sociale che vede l’individuo di sesso femminile ancora come l’angelo del focolare che non può permettersi il “lusso” di dedicarsi con amore e passione al proprio lavoro perché deve sempre mettere in primo piano la famiglia. Questa forma mentis collettiva conduce la donna verso decisione inconsapevoli che alla lunga potrebbero danneggiarla. La bambina, soprattutto – ripeto – se appartiene a una classe sociale più bassa, sin dalla nascita ha già un destino prestabilito, quello di moglie e mamma. Il suo inconscio non potrà mai ribellarsi, perché qualsiasi tentativo di percorrere una via alternativa creerà nella sua mente dei sensi di colpa e delle frustrazioni continue. La mia analisi nasce da un’attenta osservazione dei fenomeni sociali riguardante la donna del Sud che qui, proprio come un tempo, pensa di valere poco più di niente. E per me la soluzione è solo nella vera formazione e nella crescita personale per vivere in armonia rispettando se stesse senza dover per forza di cose rinunciare alla vita ma scegliendo la propria “sorte” in maniera consapevole.

Maria Ianniciello

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