Lady Gaga in Joanne (il nuovo album) cambia pelle

Joanne, il nuovo album di Lady Gaga, è probabilmente il più completo e coraggioso di tutti i suoi lavori. Dopo la pubblicazione di Artpop, che è stato più o meno giustamente considerato un flop (avendo venduto considerevolmente meno dei dischi precedenti), il mondo discografico si aspettava che nella sua successiva fatica miss Germanotta andasse sul sicuro e tornasse a proporre il sound che l’aveva resa celebre all’inizio della carriera. Così non è stato. Con Joanne, Lady Gaga ha dimostrato a questo punto di essere prima di tutto un’artista e una musicista concentrata soprattutto sul proprio lavoro. Un’artista di grande talento. L’atmosfera, che si respira in questo disco, infatti, è quella del cantautorato di qualità, con strumenti il cui suono è registrato analogicamente così che non sia loro sottratta l’anima, con ballad e uptempo che dimostrano chiaramente quanti e quali siano i riferimenti musicali che fanno parte della “tavolozza” della compositrice. Pop, certo, ma anche folk, musica elettronica, soul e funk, rock, persino country e l’inconfondibile sound degli anni ’70, quello che è stato un punto di svolta nella musica americana e non solo, insieme all’esempio e all’eco di grandi nomi della scena internazionale come Elton John, Bruce Springsteen, Carole King e Billy Joel.

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Il nome scelto, del resto (Joanne è il secondo nome di Lady Gaga), indica come questo sia un nuovo album particolarmente personale. Per il mondo anglosassone il “middle name” ha una valenza importante, e la scelta del titolo ricalca forse quanto aveva fatto sempre negli anni ’70 la Streisand che aveva intitolato il primo disco in cui era stata libera di scegliere musica che sentisse più vicina a se stessa “Barbara Joan” (con tutte le “a” al posto giusto, comparendo quindi esattamente come è registrata all’anagrafe). Una sorta di firma che scavalca lo pseudonimo e che un artista evidentemente sente di voler apporre solo su un lavoro che lo rappresenta completamente. Difficile indicare tra le undici tracce (nella versione deluxe sono invece quattordici) che compongono la tracklist quali siano le migliori. L’insieme è infatti organico ed omogeneo, fondamentalmente di ottima qualità e rende giustizia alle aspettative che si erano create con l’anticipazione dell’incantevole primo singolo Million Reasons. Prescindendo da un discorso di semplice appeal radiofonico direi che i brani più rappresentativi del nuovo album di Lady Gaga, per meriti musicali o per la scelta di approfondire temi di spessore nelle liriche, possono essere considerati l’autobiografico opening Diamond Heart, in cui sembra già nell’intro di sentire dove partirà il boato dei fan nelle versioni live; l’adrenalico A-Yo che sposa con un suono country -finora inedito nella sua produzione-, il pop coreografato a cui Lady Gaga ci ha abituati nei suoi ricercati video; la splendida Angel Down, presente in due versioni (il demo di lavoro è infatti la chiusura della versione deluxe); la ballad Joanne, probabilmente il brano in cui è più facile apprezzare anche la tecnica vocale della “cantante” Gaga e la deliziosa Come To Mama, il cui ritmo riecheggia i pop-tunes in stile Carpenters o Elton John prima maniera (ma le fornisce anche modo di ironizzare su alcuni argomenti sociali e sulle menti poco aperte). La collaborazione con Florence Welch di Florence & The Machine in Hey Girl le offre infine la possibilità di duettare (o forse meglio dialogare) con un’altra grande artista sul tema dell’amicizia femminile che riprende anche in Grigio Girls (dedicato alle “ragazze che bevono Pinot Grigio”, altro brano della versione deluxe).

Era una mossa rischiosa ma necessaria quella di far seguire a un album di minore successo una sterzata inaspettata ma di questo livello. Joanne è una mossa necessaria per aiutare il pubblico a comprendere la personalità di Lady Gaga, una personalità elusiva che ci ha ininterrottamente spiazzati cambiando pelle in continuazione, tanto da farci ripetutamente chiedere chi fosse davvero questa donna. L’artista visuale che si veste di pezzi di carne o si mette in posa per Robert Wilson, la jazz woman che duetta con Tony Bennet in versione crooner, l’oltraggiosa diva-icona del pop o la musicista che omaggia Julie Andrews con un medley da “Tutti Insieme Appassionatamente”? Una e nessuna probabilmente. All’inizio della propria carriera Lady Gaga ha saputo insediarsi in una precisa nicchia di mercato e si è assicurata riflettori e fama. Lo ha fatto comunque con della buona musica, con capacità e intelligenza, ma è Stefani Joanne Germanotta che è stata in grado poi, pian piano, dimostrare che in lei c’era altro, ben altro, molto altro. Questo nuovo album ne è la dimostrazione.

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