Giuliano Da Empoli: Renzi? Non è “figlio” di Berlusconi

giuliano-da-empoliChe mondo è, quello dei 30enni e dei 40enni di oggi? Di chi, cioè, si ritrova nel 2015 circondato da una generazione di post-sessantottini da una parte e di nativi digitali dall’altra? In questa sorta di “Terra di Mezzo” anagrafica si muove l’indagine di Giuliano Da Empoli, saggista ed editorialista de “Il Messaggero”, oltre che Presidente del Gabinetto Vieusseux ed ex Assessore alla Cultura di Firenze, che nel suo ultimo libro “La Prova del Potere – Una nuova generazione alla guida di un vecchissimo Paese” (Mondadori) si interroga proprio sul rapporto dei suoi coetanei col potere, con la sua gestione e con le sfide e le responsabilità che questo comporta. Da Empoli non è nuovo a tematiche del genere. Nei suoi precedenti libri aveva già trattato il tema del rapporto tra generazioni. Stavolta lo fa sottolineando l’imprescindibile legame che l’Italia ha da sempre col proprio passato e analizzando una nuova generazione di trenta-quarantenni che tenta di reinventare il Paese attraverso l’innovazione e lo sviluppo delle idee. “La Prova del Potere” allora è proprio questa: la ricerca di un equilibrio (miracoloso?) tra passato e futuro che garantisca al Paese una via d’uscita. Alla presentazione del volume, venerdì 19 giugno, erano presenti il giovane imprenditore Marco Carrai e Gianni Letta, Presidente dell’Associazione Civita, moderati dal Direttore de “Il Messaggero” Virman Cusenza. Ne è uscito un dibattito trasversale e ricco di spunti in cui sono emersi temi come il denaro, la bellezza, i “bamboccioni”, la politica e ovviamente Renzi e Berlusconi, quanto mai simboli del legame e di una certa continuità tra passato e futuro. Legame che Da Empoli, parlando a noi di Cultura & Culture, smonta nella maniera più assoluta, raccontando invece di “gondolieri” (chi cioè si è ritagliato uno spazio di rendita nel nostro patrimonio e lo difende coi fucili) e di “futuristi” (chi sogna la tabula rasa e di liberarsi per sempre del nostro ingombrante passato). In mezzo, la Generazione X, quella che ha come caratteristica portante la sua “inattualità” ma che vuole fortemente essere presa sul serio, nonostante i limiti e le contraddizioni che porta con sé. Il tema non è semplice come potrebbe sembrare (il classico scontro tra generazioni) in un Paese in cui “non muore mai nulla”, come Da Empoli lesse una volta sulla porta di un’osteria romana. Le nuove leve del potere italiano hanno il compito di scuotere quanto rimasto immobile dopo 20 anni di governo fallimentare. Magari non sarà una rivoluzione, ma di certo quello che accadrà non resterà un episodio isolato. Abbiamo fatto qualche domanda a Giuliano Da Empoli sulla sua ultima fatica editoriale.

In “La Prova del Potere” lei dedica un capitolo intero al “modello italiano”, in un’epoca in cui siamo abituati a far riferimento sempre ai Paesi stranieri pensando che siano migliori di noi. Ci spiega cos’è, secondo lei?

la-prova-del-potere-giuliano-da-empoliC’è un libro molto bello di Fernand Braudel che si intitola proprio “Le Modèle Italien e racconta di quando, a partire dalla seconda metà del ‘500, l’Italia non è più centrale rispetto ai grandi traffici e alle grandi scoperte. Ma proprio in quel momento riesce a rendere fondamentale la cultura, anche in modo imprenditoriale, dinamico, irradiando intorno a questo nocciolo culturale tantissime cose che, ai giorni nostri, vanno dalla moda, al design, alle forme di creatività più diverse, fino all’industria meccanica. Questo è il modello italiano. Esiste da almeno cinque secoli, parte da un cuore culturale molto forte per poi generare benessere, cultura e civiltà per tutto il Paese. Forse anche oltre, perché poi si sposa e si incontra con una domanda internazionale che dall’Italia vuole proprio questo, fin dai tempi del Grand Tour. Quest’ultimo, di solito, viene raffigurato come due inglesi che vengono a dipingere i pastorelli sulle colline romane, quando invece c’è molto di più perché l’Italia in quel periodo promuove e inventa dei format che sono oggi dominanti: il Museo, l’Accademia d’Arte, il Turismo. Ecco, questo secondo me è il modello italiano.

Quindi ricordarsi delle nostre eccellenze?

Ricordarsi di questo e sapere che abbiamo una strada che è nostra, il che non ci impedisce di correggere i nostri difetti e di riprendere gli esempi migliori che possono esserci all’estero. Però senza scimmiottare, perché una strada e un’identità molto precise le abbiamo. Dobbiamo soprattutto investire su quello. Quando invece si toglie, o semplicemente si riduce, il peso della storia dell’arte nell’Educazione per aderire a chissà quali standard o rispettare chissà quali parametri internazionali, si fa una cosa che va contro il nostro DNA e quindi contro le nostre prospettive in termini di sviluppo e di futuro.

Lei ha scritto che “la sfida è far diventare adulta la Seconda Repubblica”. In che modo?

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Intanto partiamo dal fatto che arriviamo da 20 anni di immaturità, quindi da una Seconda Repubblica che è rimasta ad uno stato adolescenziale, tuttora dimostrato dalle vicende di cronaca. Cioè si va al governo ma ci si comporta come se non si fosse al governo, non si assumono responsabilità. Far diventare adulta la Seconda Repubblica significa il contrario. I requisiti dell’età adulta sono l’esperienza, cioè imparare dai propri errori cercando di non commetterli due volte; la responsabilità, quindi non scaricare la colpa sugli altri, non solo sugli oppositori politici ma anche sull’Europa; e l’autenticità, ossia aderire alla propria identità, sapere chi si è. Torniamo quindi al discorso sul modello italiano.

Marco Carrai, durante il suo intervento, ha detto che Berlusconi, da imprenditore, si è creato da solo una domanda a cui ha offerto la sua proposta politica. Secondo lei Renzi sta facendo lo stesso oppure ha sfruttato il lavoro fatto dal Cavaliere?

Sul fatto che Berlusconi abbia creato la sua domanda, io non lo penso affatto. Secondo me lui ha cavalcato, anche con grandi capacità, una cosa profonda che si è mossa nella società italiana a partire dagli anni ’70. Quindi l’edonismo, il consumismo e così via. Renzi ha in qualche modo introiettato anche l’esperienza di Berlusconi. Nel senso che lui viene dopo, appartiene a una generazione successiva ma non ignora quello che è successo prima. L’Italia è stata profondamente trasformata, culturalmente e socialmente, nel corso degli ultimi 20 anni e Renzi ne tiene conto ed è lui stesso parte di questa trasformazione. Detto ciò, io credo che le differenze a livello culturale, politico e personale tra Berlusconi e Renzi siano abissali. Quindi ha senso dire che Renzi viene dopo Berlusconi, ma non ha senso dire che Renzi è figlio di Berlusconi.

 

 

Paolo Gresta

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