Fabrizio De André, chansonnier che cantava la libertà

Fabrizio De André“E poi, sospeso in mezzo ai vostri arrivederci, mi sentivo meno stanco di voi. Ero molto meno stanco di voi”. “Amico fragile”, il nostro Fabrizio De André. Eppure così forte e talvolta inafferrabile nella sua genialità, chiuso in un groviglio di idee e nel suo essere solitario insofferente, “evaporato in una nuvola rossa”. Sono trascorsi 16 anni dalla morte di Faber e ancora oggi, ascoltando le sue canzoni, un brivido di smarrimento e di nostalgia corre lungo la schiena. De André è stato uno degli artisti più importanti e influenti del Novecento. Grazie alla sua sensibilità di compositore e alla concretezza del suo essere sognatore, la poesia si è fatta musica e, anche l’Italia, ha avuto la sua fase dylaniana e coheniana.

11 gennaio 1999. Quel giorno la radio ha smesso di suonare. Le luci della creatività si sono spente. E il silenzio ha gridato forte e rabbioso. Faber se n’è andato, lasciandoci in eredità una nave carica di crude verità, di storie e di emozioni sulla quale salire e con la quale viaggiare nel mare del tempo. Fabrizio De André non è mai stato un uomo facile. De AndréEppure tutti lo amavano e lo ammiravano, nonostante il carattere spigoloso e l’animo inquieto che solitamente solo i geni custodiscono. Cuore genovese, sangue ribelle. Fabrizio, nato in una famiglia agiata, una di quelle della borghesia tutta “soldi, bella vita, vacanze”, ha voltato le spalle all’inconsistenza di una vita già predefinita, a una strada già tracciata per lui (come spiega nel brano “Quello che non ho” del 1981), per abbracciare la solida precarietà dell’arte e stare dalla parte degli ultimi, di quei “drogati, puttane, barboni, dimenticati da Dio” che animano silenziosamente le strade e le notti di Genova e di qualsiasi altra città del mondo. Gli invisibili che però infastidiscono la gente, la feccia umana della società, come spesso vengono considerati, hanno travato spazio, identità e giustizia nei brani di De André (da “Via Del Campo” a “Bocca di Rosa”), nelle sue novelle commoventi e danzerecce, nella sua voce che sposava, con spiazzante ironia, le note dell’inseparabile chitarra.

Dagli anni Cinquanta alla fine dello scorso millennio, Faber ha dedicato tutto se stesso alla poesia e alla musica. Amava scrivere di notte, avvolto dalla pace dei dormienti e dal buio che concilia la ricerca e la riflessione. Fabrizio De André cantava l’amore, descriveva i sentimenti che infiammavano e poi spegnevano le sue relazioni (“L’amore che strappa i capelli è perduto ormai, non resta che qualche svogliata carezza e un po’ di tenerezza”, recita il testo di “Canzone dell’amore perduto”, 1974). Esaltava l’amicizia dei pochi veri e sinceri compagni di avventure, immaginava realtà che potessero fornirgli una via di fuga da un mondo che non sentiva più suo, fatto di delusioni e di libertà soffocate. “Signora libertà, signorina fantasia. Così preziosa come il vino, così gratis come la tristezza…”, intonava Faber nella sua “Se ti tagliassero a pezzetti”.

Libertà. Ecco una delle parole più citate dall’artista genovese. Nei suoi album ma anche durante i concerti e le (poche) interviste rilasciate in carriera. Libertà di essere e di sbagliare, libertà di perdersi e di recuperare. Libertà di discutere, di confrontarsi e di cambiare. Libertà come filosofia di vita. Controvento, volo ad occhi chiusi ad ali spiegate. E poi le canzoni “politiche” (“Il bombarolo”) e contro la guerra, da “Ballata degli impiccati” a “Fiume Sand Creek”, da “Il Pescatore” a “La Guerra di Piero”. Fabrizio l’anarchico, o forse, è meglio dire il libertario, ansioso di giustizia, limitatamente tollerante e soffocato dalla presunzione di cambiare il mondo.

De André FabrizioIl mondo non lo avrà cambiato, ma De André, primo vero chansonnier maledetto italiano, ha avuto la grandezza e il merito di influenzare culturalmente e artisticamente, con i suoi album e i suoi pensieri, la nostra società, di svegliare gli assonnati, di modificarne la visione distorta e indirizzare le menti drogate di menzogne e superficialità. Faber è stato forse l’ultimo cantautore, insieme a Gaber, ad avere costantemente il coraggio di essere coerente, fregandosene dei benpensanti e degli ipocriti al potere, delle leggi del mercato discografico e dell’apparire a tutti i costi, sui giornali e in televisione. Sempre e solo “in direzione ostinata e contraria”.

Silvia Marchetti

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