Tornatore: «Con Francesco Rosi come un ragazzino con il maestro»

©Franco Buttaro
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«Ho conosciuto Francesco Rosi all’inizio degli anni ’80. Era venuto a Palermo per presentare il film “Tre fratelli”. Feci di tutto per incontrarlo e gli chiesi una lunga intervista per la Rai regionale dove allora ero programmista a tempo determinato. Simpatizzammo subito».

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Giuseppe Tornatore premio Oscar per “Nuovo cinema Paradiso”, a Bologna racconta la sua lunga amicizia con il collega più anziano ma anche la sua ammirazione per uno dei più grandi registi italiani di tutti i tempi. «I film di Francesco Rosi mi hanno insegnato tante cose, su tutte il desiderio di voler fare il cinema». Sono divisi dall’età i due cineasti ma accomunati dalla stessa passione, così dopo più di duecento ore di conversazione distribuite in quasi cento incontri, seduti l’uno di fronte all’altro con un piccolo registratore tra di loro, nasce il volume “Io lo chiamo cinematografo” edito da Mondadori. «Gli sono grato per l’amicizia – spiega Tornatore alla Cineteca di Bologna – ma anche per avermi raccontato gli aspetti meno noti dei suoi film e la saga della sua famiglia». Già, perché ne viene fuori un libro-intervista che è nel contempo autobiografia e saggio critico. Francesco Rosi, classe 1922, svela al giovane collega una miniera di informazioni, aneddoti, ricordi personali riguardanti la straordinaria carriera di un regista che ha fatto la storia della cinematografia italiana del Novecento.

«Durante la nostra frequantazione assidua – racconta Tornatore – e necessaria per preparare il libro, mi ha fatto sentire come un ragazzino che aveva il privilegio di fare una lunga conversazione con il maestro. Abbiamo rivisto insieme alcuni suoi film ed è stato molto rigoroso con se stesso». Il libro si è rivelato anche “terapeutico” per Rosi e in proposito Tornatore ha spiegato che «dal momento che è fermo sul set si è sentito così occupato al punto che adesso quando ci vediamo mi dice: “Dai, inventiamoci qualche altra cosa…”. Tra di noi c’è stata grande sintonia in questo lavoro anche se poi lui correggeva tutto, pagina per pagina». Ma in “Io lo chiamo cinematografo” ampio spazio è dedicato anche agli altri grandi maestri del grande schermo di quegli anni e ai ricordi sugli attori che ha diretto nei suoi film: da Sophia Loren ad Omar Sharif, da Marcello Mastroianni a Vittorio Gassman, da Alberto Sordi a Gian Maria Volontè. «E’ sempre stato alla ricerca di formule narrative nuove – ha spiegato Tornatore – che dopo diventeranno scuola per i futuri registi. Ha avuto delle intuizioni fortissime in tanti film come “Salvatore Giuliano”, “Le mani sulla città” o “Il caso Mattei”. Nel preparare i suoi lavori ha sempre avuto una forte consapevolezza della materia politica ma anche di quella giuridica. Insomma, Franco fa l’umile ma sa tutto». Anche a Bologna come in altre città il libro durante la presentazione va a ruba e alla fine le copie disponibili non bastano per il pubblico presente. E chi lo ha già letto assicura che quando chiudi l’ultima delle 470 pagine, vien voglia subito di rivedere tutti i suoi film.

Emilio Buttaro

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