La Famiglia Bélier, trama del film e recensione

Al cinema c’è La Famiglia Bélier, film campione di incassi in Francia che si prepara a sbancare il box office italiano dal 26 marzo. Trailer, trama e recensione de La Famiglia Bélier. 

Sei nomination ai César e sette milioni di spettatori in Francia per la cifra da capogiro di oltre quattro milioni di biglietti venduti. Numeri esorbitanti per La Famiglia Bélier, il film del Natale francese 2014 che dal 26 marzo proverà a “fare stare bene” anche il pubblico italiano, come recita l’azzeccatissimo slogan promozionale che lo definisce un film “émovant, épatant, en chantant”. E, diciamolo subito, le aspettative sono ben ripagate, a suon di musica, gag esilaranti e commozione mai sdolcinata. I Bélier vivono in un paesino nel nord della Francia e gestiscono una fattoria in cui si ripartiscono faccende e compiti quotidiani. Paula, la figlia primogenita di Gigi e Rodolphe, è la più oberata di lavoro, perché oltre a studiare al liceo, fa l’interprete a tempo pieno per i genitori e il fratellino sordomuti. Lei, che ha sedici anni e sperimenta i primi disagi adolescenziali, è l’unica “normale”, con una dote (segreta) per il bel canto e una malcelata cotta per un compagno di classe. Tra un camembert venduto al mercato e una “querelle” accalorata con l’amica del cuore Mathilde, Paula coltiva (oltre ai prodotti della terra) il sogno proibito della “scoperta” di altri lidi, come solo un adolescente saprebbe fare. Due episodi ravvicinati turbano la routine bucolica nella fattoria: il papà si candida a sindaco del paese e lei viene scelta dal maestro di canto per affrontare le selezioni per un concorso a Radio France.

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Il regista Eric Lartigau conosce molto bene i meccanismi della commedia goliardica innervata da tonalità melò. Ci aveva già provato con Prestami la tua mano, in cui Alain Chabat, attore comico e Charlotte Gainsbourg, eroina tragica, si incontravano al crocevia tra demenzialità e sentimento. Riproponendo la stessa formula e sfruttando il tema della disabilità tutta da “ridere”, come aveva fatto Olivier Nakache con Quasi Amici, realizza un bildungsroman delicato e commovente, che diverte con garbo e fa sorridere con amarezza. Rovesciando i concetti di sanità e malattia, il film di Lartigau struttura un racconto di formazione in cui una famiglia con “diverse abilità” diventa il propellente emotivo e gioiosamente scorretto per l’educazione sentimentale di una ragazzina adolescente. Paula, l’unica non sordomuta all’interno dello scanzonato “sancta sanctorum” agricolo, appare così una voce fuori dal coro, in mezzo a un pater familias stralunato che, per avviare la sua propaganda elettorale, si sceglie un interprete disabile, una madre disinibita e “sboccata” (attraverso il linguaggio talvolta osceno dei segni) e un fratello minore che conquista, grazie alla malattia, la sua amica Mathilde. In questa “storia di (stra)ordinaria follia” vige la regola dell’ “uno per tutti, tutti per uno” ma, una volta scoperte le intenzioni della figlia di trasferirsi a Parigi per sfondare come star della musica, i genitori sperimentano un dolore a cui non erano preparati, quello della separazione e dell’abbandono.

Profonda riflessione sull’unione familiare e sul concetto di portatore di handicap, mai come in questo caso inteso come “diversamente abile”, La Famiglia Bélier è un brillante distillato di spassosissimi sketch, risate, lacrime e pregiudizi messi alla berlina attraverso un’ironia che si beffa del politically correct senza scadere nelle (purtroppo ricorrenti) volgarità triviali tipiche del genere di appartenenza. Accanto a Eric Elmosnino e Karin Viard, recita la diciottenne Louane Emera, che il regista ha scovato dal The Voice francese; straordinaria nel dare brio e nel fare da spalla agli stravaganti parenti, si fa voce e corpo di emozioni vitalistiche che eludono, con astuzia, facili scorciatoie melodrammatiche. Clamoroso successo in patria, la storia semiseria, intensa e agrodolce ispirata al libro di Véronique Poulain Les Mots qu’on ne me dit pas, scorre libera sul tappeto sonoro di Michel Sardou, come una melodia che tutti possono sentire, ma che solo pochi sanno ascoltare.

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