OBAMA, IL PRESIDENTE DELL’AMERICA CHE CAMBIA

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Il presidente è tornato a Washington. Archiviati i festeggiamenti per la vittoria, Barack Obama ha fatto ritorno alla Casa Bianca, da dove si prepara a guidare gli Stati Uniti per altri quattro anni. Nel discorso seguito all’elezione, il presidente ha dichiarato di essere più determinato di prima e lo ha dimostrato mettendosi subito al lavoro. Il compito non sarà facile, Obama è atteso da nuove, difficilissime sfide ma, soprattutto, dovrà fare i conti con in Congresso spaccato, ovvero con i repubblicani che hanno la maggioranza alla Camera e i democratici al Senato. Non «un unico grande Paese», una «famiglia che cade e si rialza insieme», come aveva affermato il presidente nel suo discorso per la vittoria, ma un elettorato diviso che ha premiato Obama con il 50,3 per cento delle preferenze contro il 48,1 per cento di Romney, un margine che lascia trasparire il momento di confusione, ma anche la grande voglia di cambiamento, degli americani.

Il presidente, tuttavia, non si perde d’animo e, ancora prima di tornare nella capitale, ha invocato la collaborazione. Tra le sue primissime mosse, c’è stata la telefonata ai leader del congresso per chiedere di  trovare soluzioni bipartisan sulle questioni più delicate come la riduzione del deficit e del debito pubblico, l’abbassamento delle tasse e la creazione di posti di lavoro. Obama è cosciente di avere davanti a sé quattro anni di battaglie, a partire da quella riforma sanitaria che non gli è riuscito di approvare appieno durante il primo mandato. È pronto a lavorare con qualsiasi partner ma non cederà di fronte ad alcuni punti fermi, come la difesa della middle class e le tasse, che non saranno incrementate. Con la loro scelta, ha sottolineato il presidente, gli elettori hanno chiarito che non vogliono aumenti.

Punto fermo della seconda amministrazione Obama rimane Joe Biden, definito «il felice guerriero». Grazie al vicepresidente, è stato possibile smascherare la gaffe di Romney su quel 47 per cento dell’elettorato ritenuto parassitario dal candidato repubblicano. Ancora, è stato Biden a convincere gli indecisi girando stato per stato e mostrando quelle qualità che piacciono agli americani: ironia, energia e parlar chiaro. Se Biden resta, Hillary Clinton ha già annunciato che lascerà l’incarico di Segretario di Stato, forse in vista di una candidatura alla Casa Bianca nel 2016. Due i nomi dei papabili che potrebbero andare a sostituire la Clinton: Susan Rice, ambasciatore Usa all’Onu, o John Kerry, sconfitto alle elezioni presidenziali del 2004 da George W. Bush. Si cambia anche al Tesoro e alla Giustizia.

E cambiamento è la parola chiave usata da Obama nella sua campagna elettorale, quella che piace soprattutto ai nuovi americani, ovvero ispanici e afroamericani. Il meltin pot dell’elettorato è cambiato e Obama è stato bravo a capirlo, dando importanza e rivolgendosi spesso a queste categorie, che lo hanno premiato alle urne. Un ruolo centrale nella rielezione è stato giocato anche dalle donne, altra colonna su cui si fonda il dominio democratico. La vera forza di Obama è stata quella di percepire i cambiamenti in atto nella società e di sapersi adeguare al nuovo contesto socioculturale, puntando sulle fasce emergenti della popolazione, rimaste invece ai margini della campagna elettorale repubblicana. Latinos e asiatici stanno crescendo sempre di più rispetto agli altri gruppi etnici ma, soprattutto, si sentono in linea con il pensiero di Obama su molti argomenti, dai diritti civili all’economia.

In un’America che cambia, è fondamentale essere disposti a cambiare. Proprio questo il messaggio lanciato da Obama che, nonostante le sfide che lo attendono, non vede l’ora di portare a termine quel programma di «hope and change» annunciato quattro anni fa e non ancora pienamente realizzato.

Piera Vincenti

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