La Befana e il significato vero dell’Epifania che tutte le feste porta via

Chi è la Befana? E qual è il significato vero dell’Epifania?

Arriva l’Epifania che tutte le feste porta via”. Così recita il detto popolare. Siamo sicuri di conoscere davvero la storia e il significato di questa festa, oltrepassando i soliti cliché? Siamo talmente concentrati sulla fine delle festività, sull’imminente rientro al lavoro, con relativo carico di stress, da dimenticare, spesso, di festeggiare con la dovuta consapevolezza un’altra delle celebrazioni più importanti dell’anno, che nulla ha da invidiare al Natale o al Capodanno. L’Epifania non è solo una festa per bambini, ma racchiude in sé un’essenza molto più sfaccettata, che nasce tra leggende popolari, paure e religione. Prendiamo in prestito la scopa della Befana, allora (sperando che la cara vecchina non si vendichi portandoci cenere e carbone) e viaggiamo indietro nel tempo, alla ricerca delle origini della festa dell’Epifania.

Questa ricorrenza, che cade il 6 gennaio nel calendario gregoriano e il 19 in quello giuliano (ricordiamo, infatti, lo scarto di tredici giorni fra i due calendari, la stessa differenza che porta la Chiesa ortodossa a festeggiare il Natale il 7 gennaio) è il momento in cui la Chiesa cattolica ricorda la visita dei Re Magi a Gesù e la manifestazione della potenza divina di quest’ultimo, dunque si tratta di una festa di precetto, mentre le Chiese orientali ricordano il Battesimo del Cristo. Il termine “epifania” deriva dal greco ἐπιφάνεια (epifàneia), che vuol dire “manifestazione”, “venuta” e tale significato è stato accostato alla figura di Gesù per intendere proprio l’incarnazione di Dio, la sua discesa sulla terra. Già le prime comunità cristiane della splendente e culturalmente vivacissima Alessandria d’Egitto usavano festeggiare l’Epifania nello stesso periodo in cui, oggi, la ricordiamo anche noi, benché seguissero il calendario alessandrino (si tratta della scansione temporale in vigore nella Chiesa copta egiziana e fu Ottaviano Augusto, 63 a.C.-14 d.C. imperatore dal 27 a.C., a riformarla in maniera che coincidesse con quella del calendario giuliano).

Befana significato vero Epifania

I Re Magi e la Befana, dal sacro al profano

Fu dal III secolo circa che i primi cristiani iniziarono ad associare all’Epifania la venuta dei Re Magi, il Battesimo di Gesù e il primo miracolo delle nozze di Cana. Forse fu Papa Giulio I (morto nel 352 ed eletto nel 337) a stabilire, nel 337 o nel 350, le fonti non concordano su questo punto, che il Natale dovesse essere festeggiato il 25 dicembre, separandolo dall’Epifania in modo che i fedeli potessero visitare senza fretta i luoghi della nascita e del battesimo del Cristo (benché questa appaia, in virtù di ciò che abbiamo già visto per quel che concerne la datazione, una ragione del tutto secondaria) e inglobando, come abbiamo già visto nell’articolo dedicato al Natale, la precedente festività del Sol Invictus. Questa scansione, Epifania compresa, è riportata per la prima volta nel “Chronographus anni 354” del pittore e calligrafo Furio Dionisio Filocalo (IV sec.).

Abbiamo anche già analizzato la figura dei Magi, secondo la tradizione apocrifa chiamati con i nome Baldassarre, Gaspare e Melchiorre (non è detto, comunque, che si tratti dei veri nomi. Sono numerose le varianti e i dibattiti in tal senso). Il loro compito era quello di vedere Gesù, testimoniare la sua venuta al mondo e la sua natura divina. Per omaggiare il Re dei Re, dunque, portarono oro (che simboleggia la regalità), incenso (emblema di divinità) e mirra (simbolo di salvezza, in quanto usata per medicamenti, ma anche della morte terrena perché utilizzata per profumare i defunti). Forse i Magi non furono esattamente dei re, appellativo aggiunto in epoche posteriori ma, più probabilmente, dei sacerdoti del culto zoroastriano, dei saggi astrologi persiani che, per la loro sapienza e la loro saggezza, occupavano un posto di rilievo nella gerarchia sociale delle loro zone di provenienza, godendo di alta stima e considerazione.

Non a caso il termine greco che indica i membri della casta sacerdotale zoroastriana è μάγος (màgos) al singolare e μάγοι (màgoi) al plurale, che in persiano diventa “magush” (questo nome associato allo Zoroastrismo lo riporta anche Erodoto (484 a.C.-430 a.C. circa). Furono loro, inavvertitamente, a mettere Erode il Grande (73 a.C.-4 a.C. circa) sulle tracce del piccolo Gesù, chiedendo dove si trovasse il neonato “re dei Giudei”. La notizia di un sovrano che avrebbe potuto spodestarlo fece scattare la furia del paranoico Erode, il quale ordinò che venissero uccisi tutti i maschi da due anni in giù (la tristemente celebre “strage degli innocenti”), come ci racconta il Vangelo di Matteo.

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Nell’articolo dedicato al Natale, però, abbiamo visto solo il racconto, piuttosto scarno, contenuto nella Bibbia. I Vangeli apocrifi, invece, ci narrano dei particolari molto interessanti sui Magi. Il Protovangelo di Giacomo, composto tra il 140 e il 170 d.C. e attribuito a Giacomo il Giusto (5 circa-62), capo della Chiesa di Gerusalemme, riporta proprio notizie sulla nascita e l’infanzia di Gesù: “…Erano venuti dei Magi che dicevano: «Dov’è il nato re dei Giudei? Abbiamo visto la sua stella nell’Oriente e siamo venuti ad adorarlo». Udendo queste parole Erode fu turbato e inviò dei ministri ai magi; mandò anche a chiamare i sommi sacerdoti e li interrogò, dicendo: «Come sta scritto a proposito del Cristo, dove deve nascere?». Gli risposero: «In Betlemme della Giudea, perché così sta scritto»…«Quale segno avete visto a proposito del re che è nato?»… «Abbiamo visto una stella grandissima che splendeva tra queste stelle e la oscurava…E’ così che noi abbiamo conosciuto che era nato un re a Israele»… «Andate e cercate» disse Erode «E se troverete fatemelo sapere affinché anch’io venga ad adorarlo».

I magi poi se ne andarono. Ed ecco che la stella che avevano visto nell’oriente li precedeva fino a che giunsero alla grotta e si arrestò in cima alla grotta. I magi, visto il bambino con Maria sua madre, trassero fuori dei doni dalla loro bisaccia: oro, incenso e mirra”. (Protovangelo di Giacomo, capitolo XXI paragrafi 1-4). Nel Vangelo dello pseudo Matteo (VIII-IX secolo), attribuito all’evangelista Matteo, i Magi arrivano a destinazione addirittura due anni dopo la nascita di Gesù: “Trascorso poi il secondo anno, dall’oriente vennero dei magi a Gerusalemme, portando doni…” (Vangelo dello pseudo Matteo, capitolo XVI, par.1) e offrono al nuovo nato anche un altro dono rispetto a quelli che conosciamo: “Al bambino offrirono poi ciascuno una moneta d’oro.

Dopo di ciò uno offrì dell’oro, un altro dell’incenso e l’altro della mirra” (Vangelo dello pseudo Matteo, capitolo XVI, par.2). A dire il vero il Vangelo Arabo Siriano dell’Infanzia (VIII-IX secolo, attribuito al sacerdote Giuseppe Caifa) sostiene che la Vergine Maria abbia regalato ai Magi le fasce in cui era avvolto Gesù, una sorta di ricompensa per i doni ricevuti. Una descrizione dettagliata dei sacerdoti persiani, qui presentati come re, ce la offre il Vangelo dell’Infanzia Armeno, di cui purtroppo non abbiamo attribuzione certa e, per quel che concerne la datazione, si parla di un intervallo che va dal IV al XII secolo: “In quel momento il regno dei persiani dominava per la sua potenza…su tutti i re che esistevano nei paesi d’oriente, e quelli che erano i re magi erano tre fratelli: il primo Melkon, regnava sui persiani, il secondo, Balthasar, regnava sugli indiani e il terzo, Gaspar, possedeva il paese degli arabi” (Vangelo dell’Infanzia Armeno, cap. V, par. 9). “Melkon aveva con sé mirra, aloe, mussolina, porpora, pezze di lino e libri scritti e sigillati dalle mani di Dio…Balthasar aveva come doni in onore del bambino del nardo prezioso, della mirra, della cannella, del cinnamomo e dell’incenso e altri profumi…Gaspar aveva oro, argento, pietre preziose, zaffiri di gran valore e perle fini”. (Vangelo dell’Infanzia Armeno capitolo XI, par.3). Il Vangelo apocrifo ci dice anche che i tre non viaggiavano soli, ma scortati da un vero e proprio esercito, come si addice ai re. Sull’esistenza storica dei Magi potremmo discutere, però a tutt’oggi sia l’Italia che la Germania e la Francia dichiarano di custodire le reliquie degli antichi saggi.

La storia di queste reliquie è molto lunga: a quanto pare la loro prima dimora fu la Basilica di Santa Sofia a Costantinopoli, poi vennero traslate nella Basilica di Sant’Eustorgio a Milano, con il beneplacito dell’imperatore Costante (320-350, imperatore dal 337), dove rimasero finché nel 1162 Federico Barbarossa non distrusse la chiesa e i sacri resti vennero sottratti per finire a Colonia. Nel 1904 la città tedesca riconsegnò alcune delle reliquie a Milano. Siamo sempre nel campo delle ipotesi ma, forse, il luogo originario della sepoltura dei Magi fu una città non lontana da Teheran, d nome Saba, se è vero ciò che narrò Marco Polo (1254-1324) ne “Il Milione” (1298).

Come abbiamo accennato, nella tradizione cristiana orientale l’Epifania ricorda il momento del Battesimo di Gesù nel fiume Giordano da parte di Giovanni il Battista. Gli evangelisti Matteo, Marco, Giovanni e Luca danno versioni leggermente diverse dell’avvenimento, in cui traspare comunque il valore di questo battesimo, che non fu la purificazione dal peccato (Gesù non era un peccatore, ovviamente), ma un modo per dare l’esempio al popolo che lo avrebbe seguito.

Befana significato vero Epifania

Tantissimi fra noi tendono a ricordare il 6 gennaio non solo dal punto di vista religioso, ma anche popolare, “pagano” (e non vi è alcuna accezione negativa nel termine), come è normale che sia, vista la fusione tra l’elemento del culto e quello della tradizione. I bambini temono il momento di andare a dormire e vorrebbero rimanere svegli a fissare il cielo attraverso le finestre, non certo per scorgervi la cometa dei Magi, bensì la scopa magica che sorregge una delle “streghe” più famose d’Italia e del mondo: la Befana.

Chi è la Befana? E’ davvero una strega? Magari è una megera buona, o una fata non proprio generosa? La figura della Befana, il cui nome dovrebbe essere una corruzione di “Epifania”, somma su di sé molte sfaccettature diverse, spesso di difficile collocazione storica e religiosa ma anche le paure, simboleggiate dall’immagine vecchia e malandata e dal rischio di ricevere carbone in regalo e i desideri, rappresentati dai dolciumi donati ai bambini buoni. Una cosa è certa: l’anziana che vola su una scopa, pur ricordando in tutto e per tutto una di quelle streghe che, nell’immaginario collettivo, portavano sciagure e disastri e, per questo, andavano punite con il rogo, ha un legame indissolubile con la festa solstiziale. In lei troviamo l’aridità della vecchiaia, cioè della terra che si addormenta, la paura dell’ignoto, ovvero del passaggio da un tempo a un altro (la fine dell’anno, il solstizio appunto) durante il quale gli uomini si trovano “sospesi” tra il passato e il futuro, le tenebre e la luce (se ci riflettiamo anche i Saturnali possono rientrare nel rito di passaggio in cui la realtà è capovolta).

Nello stesso tempo, però, i doni rappresentano l’abbondanza della terra che torna a nascere, che si risveglia, una sorta di felice presagio di ciò che sta per avvenire. C’è un’antica leggenda, la cui origine si perde, è proprio il caso di dirlo, nella notte dei tempi, che racconta di una donna molto vecchia che vola nel cielo guardando verso il mondo, ormai stanca, gettando i semi del futuro raccolto e portando regali. Questa figura altri non è che Madre Natura la quale, dopo essersi letteralmente “prosciugata” per donare la vita, attende di essere bruciata sul falò e, come un’araba fenice, risorgere dalle sue ceneri più bella che mai. La strega bruciata sul rogo ha assunto, col tempo, il valore di capro espiatorio di tutti i mali, un modo per cancellare, buttare via tutte le cose negative, i brutti avvenimenti accaduti durante l’anno, insomma le “zavorre” psicologiche che non ci lasciano liberi di abbracciare il futuro (un po’ come accade nell’antico uso di gettare oggetti vecchi dalla finestra durante la notte di Capodanno o nell’usanza, ancora osservata in alcune zone d’Italia e d’Europa, di bruciare il fantoccio della “vecchia”, della Befana appunto).

Se accettiamo la connessione tra la Befana e Madre Natura, possiamo andare oltre e ipotizzare, seguendo il pensiero di molti antropologi, che vi sia anche un filo rosso che unisce la nostra cara vecchina alla dea Madre, nella sua fase “matura” e alle antiche divinità Diana ed Ecate. Dunque la figura della Befana potrebbe “discendere” dal connubio tra la Luna, le divinità a essa associate e la Madre Terra, senza dimenticare che entrambe sono fondamentali (e tra loro connesse) nel ciclo della vita. La connotazione malefica, probabilmente, deriva dall’accostamento tra divinità pagane e concetto di “male” rispetto alla religione cristiana dominante, tra queste dee e il mistero della femminilità che viene visto nell’ottica del peccato (in senso cristiano) e della lussuria.

Insomma una cultura maschile che si impone su quella femminile, relegando la donna, se non proprio ai margini della società creata dagli uomini, comunque a un ruolo sospeso tra bene e male, a una natura che bisogna, con le buone o con le cattive “domare”, far rientrare nei canoni. C’è un’altra tradizione riguardante l’Epifania e ci aiuta a spiegare meglio la “metamorfosi” delle dee fino alla Befana: secondo la leggenda, infatti, nella notte tra il 5 e il 6 gennaio gli animali avrebbero la facoltà di parlare, facendo profezie sul futuro e quelli rinchiusi nelle stalle svelerebbero il trattamento, buono o cattivo, subito dai padroni (nessun essere umano doveva ascoltare questa magica conversazione, pena la sfortuna). Patrono degli animali domestici, con l’avvento del Cristianesimo, divenne Sant’Antonio abate. Qui possiamo vedere chiaramente la fusione tra l’elemento pagano e quello cristiano, tra la parte soprannaturale e quella religiosa in senso stretto. Si antropomorfizza l’animale ma, in senso più ampio, si dà corpo ai timori, soprattutto alla paura della vendetta da parte della divinità, un po’ come accade con la Befana, quando i bambini sperano di non trovare nella calza il carbone. Sant’Antonio, però, non è subentrato casualmente in questa tradizione degli animali parlanti; a quanto pare avrebbe “sostituito” la dea celtica (ma venerata anche nell’antica Roma) dei cavalli e dei muli Epona.

Un santo uomo sostituisce una divinità femminile e non un santo qualunque: nel Medioevo i monaci antoniani, infatti, si servivano dei maiali allevati in ogni paese e villaggio per ricavare sostentamento e medicinali da usare negli ospedali in cui prestavano servizio. Per questo motivo i maiali assunsero un’aura di sacralità, servivano alla salvezza del corpo e da qui il divieto di far loro del male, altrimenti sant’Antonio si sarebbe vendicato. Torniamo un momento a Epona: questa dea è associata alla fertilità e l’iconografia la mostra spesso con una cornucopia (la Befana ha il sacco, proprio come Babbo Natale e noi prepariamo la “calza”) emblema di abbondanza e in epoca medievale, come ci spiega Ginzburg in “Storia notturna. Una decifrazione del sabba” (Einaudi, 1989) venne associata a Hera. Si credeva che nel periodo compreso tra il Natale e l’Epifania Hera, volando sulla terra, dispensasse abbondanza e fertilità. Ma non finisce qui: la stessa Hera venne assimilata a Diana, dando vita a Herodiana, poi divenuta Erodiade e, infine, Aradia figlia di Diana. Diana e Aradia, connesse con la luna e la notte, entrarono nell’immaginazione di chi voleva per forza vedere il male negli antichi culti e nella donna. Ed ecco che Epona, Hera, Aradia e Diana convergono, attraverso le epoche, dal paganesimo al Cristianesimo e purtroppo anche attraverso l’inquisizione, nella figura della strega e della Befana.

Un’ultima leggenda per comprendere ancora meglio la natura dell’antica dea a cavallo di una scopa (un po’ come Diana che va a caccia sul suo carro e, in effetti, a lei è associato anche il cavallo, perché entrambi sono fieri, liberi e selvaggi) racconta che i Re Magi, diretti alla grotta di Gesù, chiesero informazioni per la via a una donna molto anziana, poiché avevano smarrito la strada. I tre saggi la invitarono a seguirli per adorare il Bambino, ma lei non volle. Poco tempo dopo, pentita della sua scelta, la donna uscì di casa con un cesto pieno di frutti e dolci, ma non riuscì a ritrovare i Magi, ormai lontani. Allora, per farsi perdonare, iniziò ad andare di casa in casa, a distribuire i suoi dini a ogni bambino sperando, prima o poi, di trovare Gesù. Chi è, dunque, la Befana? Forse non una figura da temere, ma il simbolo della speranza dell’abbondanza futura e della gioia a cui aspira ogni essere umano. I moderni abitanti di Roma amano festeggiare l’Epifania riunendosi a Piazza Navona, abitudine che nacque dopo l’Unità d’Italia, dove nel periodo festivo troneggia una stupenda giostra antica.

Purtroppo negli ultimi anni sembra che le bancarelle tipiche della meravigliosa piazza, addobbate di Befane di ogni dimensione e foggia, stiano diventando un ricordo, a causa di problemi politici e burocratici. Speriamo che tali questioni vengano presto risolte, in modo da non perdere un’usanza tanto sentita dal popolo romano. Per concludere è giusto menzionare l’Epifania in Francia, perché i nostri cugini d’Oltralpe hanno un modo singolare e altrettanto antico di festeggiare il 6 gennaio. Conoscete il “re della fava”? Ancora oggi in territorio francese si usa mangiare un dolce, “Les “Galettes des Rois”, un manicaretto che ha la consistenza della brioche e può essere impreziosito, anzi, ulteriormente addolcito con frutta candita, marron glacé o crema di mandorle (la versione con la frutta candita è molto usata nel Sud, dove viene chiamata “Couronne de Rois”). Nel dolce viene sistemata la tipica fève, una fava: chi la trova diventa il re del giorno, indossa una simpatica coroncina di cartone e avrà l’onere di offrire questa morbidissima torta alla prossima occasione.

Nel corso della Storia la fava è stata sostituita anche da statuine di porcellana o altri piccoli oggetti, ma la sostanza non cambia: l’origine di questa usanza, infatti, affonda le radici proprio nei Saturnali e negli scambi di piccoli doni in questo periodo. Abbiamo detto, però, che durante i Saturnali la quotidianità veniva stravolta: il re del giorno non è altro che un ricordo del Re Burlone che sancisce l’inizio di un’altra importante festività, il Carnevale, ovvero il periodo in cui la realtà si capovolge. Dunque l’Epifania, pur portando via le feste natalizie, non ci abbandona del tutto allo stress della quotidianità, perché ci annuncia un imminente nuovo tempo di allegria. Forse il vero significato della storia dell’Epifania è questo, imparare che la vita è anche un gioco, (cosa che noi uomini e donne super impegnati dovremmo apprendere), piuttosto relativo per giunta, in cui quasi nulla è come sembra e ciò che è racchiude in sé una moltitudine di sfumature tutta da scoprire. (articolo di Francesca Rossi)

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