“All Out” sbarca a Milano, pronti a tutto per denaro?

Intervista a Laura Tanzi, regista e attrice di “All Out – Pronti a tutto”, spettacolo di Lyra Teatro in scena al Caboto di Milano

La stampa americana lo ha definito “uno spettacolo devastante, velenoso, di una verità che fa male”. “All Out – Pronti a tutto”, opera del drammaturgo John Rester Zodrow, ora sbarca in Italia grazie alla compagnia Lyra Teatro. La pièce, che negli Usa ha ricevuto premi e riconoscimenti per oltre trent’anni, andrà in scena dal 19 al 30 novembre al Teatro Caboto di Milano. Un game-show che si trasforma in un vero e proprio incubo, un gioco a premi televisivo che sconvolge e fa riflettere il proprio pubblico. La domanda è una sola: cosa si è disposti a fare per i soldi e per il successo? Lo abbiamo chiesto alla regista Laura Tanzi.

Che tipo di spettacolo è All Out?

Una commedia agrodolce, ma anche un dramma da vivere tra finzione e realtà, cinismo e sentimento, teatro e televisione. All Out è uno spettacolo attuale perché parla dei nostri sogni infranti, delle disillusioni, dei problemi che ciascuno di noi si trova ad affrontare nella vita. Per i cinque concorrenti, partecipare al programma e vincere, significa dare una svolta alla propria vita. In palio ci sono parecchi soldi e il miraggio del successo. Inoltre, il cast dello show, che esprime il cinismo tipico dell’intrattenimento televisivo, ci propone persone che diventano personaggi le cui vite sono ridicolizzate, figure delle quali ci si dimentica con un clic del telecomando.

Laura Tanzi in scena con "All Out"
Laura Tanzi in scena con “All Out”

Dunque la forza di All Out consiste nell’essere particolarmente attuale e crudo.

All Out parla in maniera semplice, senza finti moralismi, mostra senza giudicare i miserabili della nostra epoca, vittime ma anche colpevoli del disorientamento esistenziale. Il “ritmo televisivo” dello spettacolo è un valore aggiunto: il pubblico in sala, quello vero, è chiamato ogni sera a partecipare calorosamente con applausi ma anche con fischi o risate, proprio come fosse in un normale show.

Come ha scoperto All Out?

Insieme a Demetrio Triglia (co-regista di All Out, ndr) sentivo il bisogno di trovare un testo nuovo, che non fosse mai stato portato in scena e sul quale poter lavorare liberamente. Dopo un lungo percorso teatrale che ci ha portato a studiare e a lavorare con la drammaturgia inglese e italiana, ci siamo imbattuti nel testo di Zodrow. Lo sforzo iniziale è stato enorme perché All Out richiede undici attori sul palco. Abbiamo preso coraggio e ci siamo buttati, tra audizioni e traduzione del testo. John ci ha dato un grande aiuto e ci ha incoraggiati. Ha accolto con entusiasmo la nostra richiesta ed è venuto appositamente in Italia, a Milano, lo scorso giugno per assistere al nostro debutto europeo.

Quali consigli vi ha dato Mr Zodrow per la messa in scena?

I consigli che ha dato a me e a Demetrio sono stati di concentrarci sull’intensità emotiva dei personaggi, che in alcuni momenti rivelano tutta la loro fragilità, e sul sostenere il ritmo con una buona recitazione di ensemble.

Quanto è stato difficile il lavoro di traduzione del testo originale?

La traduzione è stata curata da me e da Ana Gàrate. Il nostro obiettivo era innanzitutto essere il più fedeli possibile all’originale. Italianizzare il testo non ci interessava, anzi, volevamo trasporlo senza adattarlo più di tanto. Il linguaggio televisivo è abbastanza universale, non per nulla i format rimangono praticamente invariati da paese a paese, quindi secondo noi poteva aveva tutte le carte in regola per comunicare direttamente anche al pubblico italiano. L’altro obiettivo, che ha forse rappresentato la sfida più difficile, è stato rendere al meglio i cambi repentini di registro e di ritmo che spesso sono condensati in poche battute. L’inglese è una lingua più immediata dell’italiano e mantenere questa “velocità” nella nostra lingua non è semplice.

Come si è svolto, invece, il lavoro da regista, dietro le quinte, e quello di attrice, sul palco?

Finora con Lyra Teatro ho realizzato due regie, “Kvetch” di Steven Berkoff e “Chi ruba un piede è fortunato in amore” di Dario Fo. In entrambi i lavori non ero sul palco, ma solo regista, quindi questa è la prima volta che sono sia “dentro” che “fuori”.  Da una parte c’era la mia voglia di ritornare anche a recitare. Dall’altra la stessa voglia di Demetrio di provare l’esperienza della regia. All Out è stata l’occasione perfetta per mettere alla prova una  “regia in tandem”, perché ci offriva la possibilità di dirigerci a vicenda. Fin da subito abbiamo avuto le idee molto chiare sulla messinscena e sulla direzione che volevamo dare alla pièce e abbiamo posto l’accento sulla parte più “teatrale” del testo. In fondo siamo a teatro, non in uno studio televisivo, quindi la sfida è portare il pubblico assieme a noi dentro questo gioco, facendo immediatamente cadere la quarta parete.

Marco Roversi

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