Bob Dylan nel nuovo album canta Frank Sinatra, recensione

bob-dylan-nuovo albumUna leggenda incontra una leggenda, è così che nasce Shadows in the night, nuovo album di Bob Dylan uscito sul mercato lo scorso 3 febbraio. Tecnicamente un disco di cover, praticamente una perla di rara bellezza in cui il menestrello del rock diventa un crooner minimalista e delicato che interpreta a modo suo alcune delle canzoni più belle del repertorio di The Voice. Normalmente, quando un artista rende omaggio a un altro artista, si presuppone “l’inferiorità” dell’uno e “la superiorità” dell’altro. In questo caso a confronto ci sono due autentici miti che hanno lasciato un impronta indelebile nella musica americana e internazionale. Ognuno a modo suo. Da un lato l’imperfezione che diventa arte pura, dall’altro la perfezione che si sublima nel suono. Da un lato l’intimità del cantautorato che attraverso una penna e una chitarra racconta la storia facendo storia, dall’altro l’orchestralità del jazz che eleva anche i temi più “banali” attraverso la voce più cristallina che il mondo abbia mai ascoltato. Due dimensioni parallele, da sempre distanti anni luce. E invece Bob Dylan con il nuovo album dimostra che nell’arte, quella vera, non ci sono universi differenti, separazioni nette, spazi incolmabili; che un cantautore “senza più voce” può approcciarsi e rendere suoi anche brani cantati dal crooner più famoso della musica internazionale senza snaturarli, ma impossessandosene con grazia, intimità, rispetto e profondità. Sembra impossibile da pensare, ma pare quasi che mentre reinterpreta Sinatra, anche il vecchio Robert Zimmerman sia un po’ in soggezione, almeno all’inizio. L’amore del rocker per il jazzista si percepisce immediatamente nel modo in cui canta, nella scelta degli arrangiamenti, nei brani poco scontati presi all’interno di un repertorio sconfinato, eppure nel corso della presentazione Dylan non lo nomina neanche una volta, con una pudicizia talmente leggera da suscitare tenerezza. Anticipato dai singoli Full moon and empty e Stay with me, Shadows in the night è un album in apparenza semplice, minimalista, quasi scarno. Ascoltandolo si ha quasi l’impressione che sia un live e non una raccolta di canzoni incise in studio. In realtà, il lavoro dietro è tanto. Bob DylanAdattare a una band di 5 componenti melodie che negli originali venivano eseguite dal triplo dei musicisti non è impresa facile. Gli arrangiamenti ariosi composti da Nelson Riddle per Sinatra lasciano spazio alla chitarra e alle slide tipiche di Dylan. In secondo piano, archi e fiati sussurrano timidamente, ma non conquistano mai la scena. Parlando dei singoli brani, eccezione fatta per le celeberrime Autumn leaves, That lucky old sun e Stay with me, Zimmerman evita i pezzi più famosi, cimentandosi per lo più con canzoni risalenti al primo e al secondo Sinatra (quest’ultimo considerato unanimente il periodo migliore). Il nuovo album di Bob Dylan si apre con I’m a fool to want you, e immediatamente si comprende quale sarà la cifra di quest’album: niente archi, niente atmosfere orchestrali. Solo una chitarra delicata e la voce roca di Bob Dylan che arriva a toccare corde che molti consideravano perse. In The night we called a day tornano i fiati a far da cornice a una melodia semplice, mentre nella già nota Stay with me si può ascoltare un delizioso violoncello che accompagna la classica “scivolata chitarristica” del menestrello. Un brano che il cantautore fa totalmente suo e che, senza conoscere l’originale, non si farebbe fatica a contestualizzare nell’immensa discografia dylaniana. La disperata Autumn leavers nella versione di Dylan è una canzone intensa, profonda, forse anche un po’ meno triste, mentre Why try to change me now è forse il pezzo che si avvicina più all’originale e nel quale l’ombra di Frank Sinatra riecheggia nella melodia allo stesso tempo leggera e oscura. In Some enchanted evening la voce roca del cantautore si spezza più volte sul suono del contrabbasso, in Full moon and empty heart si può ascoltare il tipico jazz di The Voice spogliato di orpelli orchestrali, mentre Where are you ? diventa una ballad country attraverso la quale Dylan mostra la crescita di un uomo che per tutta la vita non ha fatto altro che musica. Dopo What I’ll do, il disco si chiude con un altro famoso brano di Sinatra, The lucky old sun, canzone in cui sono i fiati ad iniziare e finire il lavoro, mentre Dylan si avvicina sempre di più al suo ispiratore. Un’ottima conclusione di un album che nulla ha a che fare con tutti gli altri omaggi a The Voice che abbiamo potuto ascoltare negli anni, e forse proprio per questo motivo diventa il tributo migliore e probabilmente il più sincero. Per chi, nel corso della sua vita, ha avuto la fortuna di crescere ascoltando entrambi, il primo ascolto di Shadows in the night lascia un po’ interdetti. E’ come essere a casa in un luogo sconosciuto. Poi, man mano che si susseguono gli ascolti, tutto trova il suo posto nel tempo e nello spazio, le differenze diventano affinità, la comparazione apprezzamento. Bob Dylan è riuscito a creare un’opera rispettosa, delicata, propria e dell’altro allo stesso tempo. Non si sa cosa ne avrebbe pensato il “vecchio Frank”, celeberrima la sua iniziale avversione per quei giovani che cantavano il rock, sporcando quella musica che lui aveva la capacità di rendere cristallina e perfetta, ma probabilmente, quel che più importa è che l’altro grande vecchio (Dylan) ha ricordato a tutti il motivo per il quale da lui tutto è iniziato e con lui tutto continua.

Vittoria Patanè

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