Daniela Poggi e il dramma degli esodati nel film ‘L’esodo’: l’intervista

Con il film ‘L’esodo’, opera prima del regista Ciro Formisano, Daniela Poggi festeggia i suoi 40 anni di carriera, iniziata con il suo debutto teatrale del 1978. Un ruolo intenso, interpretato meravigliosamente, con cui l’attrice savonese interpreta una donna senza più stipendio né pensione, costretta ad elemosinare sotto i portici di Piazza della Repubblica a Roma. Una dei tanti “esodati” (da qui il titolo del film) a seguito della riforma Fornero, di cui tanto aspramente si discute anche in questo periodo pre-elettorale. Dall’esordio nel novembre 2017 nelle sale cinematografiche, il film è stato presentato in vari festival, ricevendo diversi riconoscimenti, e in una serie (circa 25) di proiezioni – evento in tutta Italia. Noi abbiamo seguito quella al Cinema Teatro Don Bosco del 15 gennaio, a Roma, nei pressi di Cinecittà, e abbiamo potuto parlare con Daniela Poggi.

Daniela Poggi
@Paolo Leone – Daniela Poggi a Roma al Cine Teatro Don Bosco

Daniela Poggi, dopo tanti anni di carriera, vederti commuovere davanti al pubblico del cinema dopo la proiezione, è stato emozionante e anche sorprendente.
Ma sai, nelle nostre quotidianità, ognuno di noi pensa a sopravvivere, siamo presi dalle nostre paturnie mentali, dai problemi, affrontare richieste o portare avanti progetti, almeno per ciò che riguarda il mio lavoro. Quando rivedo L’esodo, rivedo la povertà dell’Italia, la povertà umana. Non sono più io che interpreto Francesca (il nome del suo personaggio – nda), ma è Francesca che sta raccontando la sua storia. Come lei purtroppo ce ne sono milioni, se non miliardi. Quindi quel dolore, quella sofferenza, quella caduta all’inferno, anche le speranze tradite, il rapporto con la nipote che hai visto nel film, l’amore che comunque trasuda dalla carne di Francesca, tutto questo è ciò che solitamente non riusciamo a percepire perché non ci relazioniamo con gli altri. Per questo mi commuovo anche dopo aver visto tante volte il film. Perché c’è un’umanità meravigliosa che spesso non siamo capaci di riconoscere perché siamo chiusi, siamo in difesa. Siamo come le gambe che si vedono passare davanti a me, in ginocchio sotto i portici a chiedere qualche spicciolo, nel film.

Nel film c’è una battuta che mi è rimasta impressa, quando il personaggio interpretato da Simone Destrero, Cesare, ti chiede se sei convinta che la causa degli esodati sia stato un errore della riforma.
E’ molto difficile dare una risposta, perché inevitabilmente devi prendere una parte. Se parli con politici od economisti, secondo loro la riforma era necessaria per non mandare l’Italia in default. Se parli con le persone che purtroppo hanno subito gli effetti della riforma, ti dicono che non è stato un errore, ma una scelta gravissima. Il mio personaggio nel film, Francesca, vuole pensare che sia stato un errore e che presto sarà trovata la soluzione. In effetti, le varie “finestre”, salvaguardie, che negli anni sono venute fuori, ci fanno capire che in qualche modo si sono resi conto del disastro e che forse avrebbero dovuto lavorare su altro. Ma io non sono né una politica né un’economista. Semplicemente penso che di fronte a scelte così gravi, ci si debba rendere conto che si vanno ad invadere le vite altrui. Chi ha il potere resta sempre indenne rispetto al popolo. Il popolo è la terra da coltivare, da curare perché possa dare i suoi frutti, ma questa terra è stata sconvolta. Mi chiedo: cosa è successo in questi anni in Italia? Tanta gente è in ginocchio, ci sono stati dei suicidi, tanti giovani lasciano questo Paese, quelli che restano non hanno lavoro, non si sposano, non fanno figli. E come potrebbero, mi chiedo! Oltretutto gli eventuali nonni sono trattenuti al lavoro da questi continui interventi sull’età pensionabile, ma dai…

Daniela Poggi

Torniamo al film. Un ruolo così toccante arriva per te in un momento di grande maturità. Forse è il ruolo giusto nel momento giusto?
Assolutamente sì, ma è anche il ruolo più importante, più intenso, più assoluto che io abbia mai interpretato nei miei 40 anni di carriera! Sono orgogliosa di averlo interpretato. Oggi è molto difficile nel cinema italiano, per una donna, avere un ruolo da protagonista. O sono ruoli corali oppure protagoniste sono ragazze di trenta quarant’anni. Un ruolo protagonista per una donna di 60 anni, con una tematica così scomoda, in un film di denuncia, è cosa rara. Un critico di cui non faccio il nome, tempo fa mi disse che i film di denuncia ci sono, e mi citava Gomorra, Suburra, quelli sull’immigrazione. Ma un conto è raccontare un fatto, un altro è prendere una posizione e denunciare. Sono anni che ci parlano di mafia, camorra, di collusioni e quant’altro. Ma su alcune scelte politiche, che vanno ad invadere e sconvolgere la vita della gente? Ad esempio, io farei un film anche sulla questione Equitalia. In Italia c’è questo andazzo, e me ne dispiaccio molto, che finché non toccano me personalmente, tutto va bene. Non c’è condivisione con l’altro. Ken Loach, quando realizza i suoi film, racconta i fatti in modo sarcastico, ma anche cattivo come nel suo ultimo Io Daniel Blake, e racconta come la burocrazia inglese porta la gente a morire o al suicidio. Perché noi non abbiamo questo coraggio? Dobbiamo sempre raccontare per metafore, per aggirare l’ostacolo, ma bisogna andare dritti! L’esodo parla di una scelta famigerata, di una legge diabolica che non avrebbe dovuto esistere! Legge varata in 19 giorni!

So che l’ex ministro Fornero venne a Torino ad una vostra proiezione.
Sì, eravamo molto preoccupati per motivi di sicurezza, temevamo qualche contestazione. Lei era stata sempre invitata dal regista Formisano, ma sempre cortesemente aveva rifiutato e invece quel giorno d’estate arrivò in sala. Io le chiesi se pensava di aver fatto una scelta giusta e lei mi rispose che a volte è necessario fare delle scelte drastiche, anche sulla vita delle persone. Davanti ad un’affermazione del genere il dialogo si ferma.

Il pensiero di Daniela Poggi su questi 40 anni di carriera?
Sono stati 40 anni bellissimi, velocissimi, intensissimi, con grandi emozioni. Alternando cinema, televisione, teatro, conduzioni, canto, ballo…ho iniziato ballando. Diciamo che mi sono sempre messa in gioco. Una carriera molto intensa, ho sempre accettato le sfide e mi sono sempre misurata sulle mie forze ma anche sui miei limiti. Tutto quel che ho fatto è arrivato, l’ho accettato, ne ero pienamente cosciente e non rinnego nulla. Poi sai Paolo, un artista nasce anche in un periodo artistico e nasce in una certa maniera. Io sono nata al nord, bionda, alta, occhi azzurri, bella. In quegli anni non mi davano certo ruoli da ragazza sofferente o emarginata, mi facevano fare i ruoli da bella nei film di quel periodo. Questo è un limite del cinema italiano, fossilizzare gli attori in un ruolo. Altrove non è così. Un attore deve sapersi mettere a disposizione di qualsiasi personaggio con tutta la sua esperienza, la sua capacità interpretativa e gestuale, con tutto se stesso. In America ti distruggono per ricostruirti come personaggio, utilizzano la tua bravura, ma qui questo non accade. Hai quella faccia, farai sempre le stesse cose.

Daniela Poggi

Non posso non farti una domanda sul teatro. Due estati fa interpretasti Clitemnestra in Agamennone, interessante riscrittura di Fabrizio Sinisi. C’è qualcosa di nuovo all’orizzonte?
Purtroppo quello spettacolo non ha proseguito, poi io ho fatto la stagione delle Tre rose di Eva in televisione e quindi sono stata ferma un anno per le riprese della fiction, poi il vortice dei festival per L’esodo e quant’altro, e quindi mi sono giocata il tempo per la compagnia. Futuro… sinceramente al momento non lo so. Spero di sì, anche se mi accorgo che il sistema teatrale è molto cambiato, oggi l’attore è imprenditore di se stesso, si autoproduce. Io sono sempre stata una scritturata e in questo nuovo sistema non mi ci ritrovo molto. Sto alla finestra, ogni tanto busso a qualche porta per capire. Ma è cambiato tutto, anche a livello di finanziamenti, di investimenti, è tutto molto fermo. O sei dentro a questo sistema o sei tagliato fuori. Mi piacerebbe moltissimo avere un gruppo di lavoro, avere una “tana” in cui proporre, cercare testi, finanziamenti. Ma forse è un’utopia.

Paolo Leone

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