Vittorio De Sica: un Maestro chiaro e sincero

Il cinema è un crogiolo di grandi emozioni grazie all’apporto di Vittorio De Sica. Uno dei registi e attori più celebri del secondo dopo guerra, rivive in un saggio/memoriale distribuito da Bompiani, dal titolo Vittorio De Sica, Un Maestro chiaro e sincero. Scritto dal celeberrimo Giancarlo Governi, giornalista e regista che per anni ha lavorato negli studi Rai, il libro che è disponibile (come solito) in tutte le librerie fisiche e virtuali, vuole essere un atto d’amore verso una grande icona dell’arte cinematografica, un mito che a distanza di anni dalla sua morte, viene ancora ricordato con tanto ardore dal vero culture della settima arte. Fra aneddoti, interviste e voli pindarici, l’autore tratteggia con grande cura la figura stessa di Vittorio De Sica, il Maestro chiaro e sincero del titolo, facendo trapelare l’immagine di un uomo dalle umili origini che ha dovuto sgambettare con tanta fatica prima di affermarsi come un luminare dell’arte neorealista. Un percorso che Giancarlo Governi delinea con estrema sicurezza, senza nessuna sbavatura e, soprattutto, senza mai far cadere l’attenzione del lettore il quale pagina dopo pagina, vive sulla sua stessa pelle le vittorie e le sconfisse del grande De Sica. Dalla sua infanzia di povertà e stenti (a causa del lavoro poco redditizio del padre) fino alla consapevolezza che l’amore per il teatro e il cinema facevano parte dell’indole romantica e rivoluzionaria del grande regista: queste le costanti del manoscritto. “[…] A fargli il provino fu la Pavlova in persona, che gli disse: “Recitami qualcosa.” “Sì, ma che cosa?” rispose Vittorio che aveva in repertorio soltanto le canzoni napoletane che cantava con suo padre. “Una cosa qualsiasi” replicò la Pavlova “a scuola ci sei stato e quindi una poesia la saprai.” De Sica una se la ricordava, e la recitò: “Cavallina, cavallina storna/ che portavi colui che non ritorna…” La Pavlova non lo lasciò finire, fece un cenno con la testa all’amico di Vittorio e se ne andò. “Che vuol dire?” disse Vittorio. “Vuol dire che ti ha preso. […]”

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Si ricordano le prime esperienze in teatro, i sogni, le aspirazioni e inevitabilmente si arriva a parlare dei film di grande successo (prima da attore e poi da regista), come Umberto D. (dedicato al padre a cui era fortemente legato), L’Oro di Napoli, La Ciociaria, Ladri di Biciclette e tanti altri ancora. Ma oltre al Vittorio De Sica regista ed amante dell’arte dell’improvvisazione, il memoriale si focalizza sul De Sica padre, interessante è come viene illustrato l’attaccamento alla famiglia, si intravede il De Sica nazionalista (benché è nato a Sora non ha mai dimenticato il cuore napoletano), ma soprattutto a predominare è il De Sica filosofo. Giancarlo Governi infatti non si limita ad illustrare vita, morte e miracoli del regista partenopeo, ma attraverso le sue esperienze, l’autore del saggio vuole celebrare soprattutto l’importanza del cinema stesso e dell’arte neorealista. “[…]Ma il personaggio dei personaggi, e quindi l’immagine più forte del De Sica attore, arriva subito dopo nei panni di Maresciallo dei Carabinieri, il simpatico e un po’ “pomicione” protagonista di una commedia paesana di Luigi Comencini, Pane, amore e fantasia. Un film che diventò un “seriale”, perché ne seguirono altri tre con la stessa etichetta…[…]”.

Si nasconde quasi furtiva la chiave di lettura del manoscritto, perché al di là delle celebrazioni e dei ricordi di vita vissuta, Vittorio De Sica, un maestro chiaro e sincero, vuole ricordare con passione e ardore, un modo di fare il cinema che si è perso nel tempo, i cui echi oggigiorno sono svaniti del tutto. Benché i critici e gli studiosi più acculturati credono che la settima arte (quella vera) non sia morta del tutto, l’idea di Giancarlo Governi è ben diversa. E proprio attraverso la vita di Vittorio De Sica, vissuta senza mai strafare, in sordina e con tanta consapevolezza, l’autore vuol far capire l’importanza del cinema neorealista, quella corrente di pensiero che ha influenzato la cultura nel secondo dopo guerra, che sta alla base delle sensazioni umane. Il celebrare quindi il papà del neorealismo è solo un semplice espediente, un modo per veicolare (anche alle nuove generazioni di cinefili), il fatto che il cinema non è solo un mero intrattenimento ma è anche gioia di vivere, sofferenza, caparbietà, amore e morte. Sentimenti che la maggior parte delle volte non vengono celebrati nei film di oggi che optano per emozioni a buon mercato, dimenticando la vera essenza del cinema. È un saggio questo scritto con il cuore, con tanta consapevolezza e maturato dopo un lungo periodo di ricerche (soprattutto dopo aver letto alcune vecchie interviste), un memoriale di grande impatto emozionale il quale, seppur molto spesso non si intuisce il filo logico nel discorso a causa della grande quantità d’informazioni, rimane una lettura interessante che arricchisce la mente.

 

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