Un giallo da “Ricetta Mortale”, l’ultimo libro di Perazzini

 

Giancarlo Perazzini
Giancarlo Perazzini

Dopo il successo di “Omicidio dell’Anima”, il libro da cui è nata l’associazione contro la violenza sulle donne “No vuol dire no”, Giancarlo Perazzini ritorna con un altro giallo “Ricetta Mortale” edito da “Il Ciliegio”. L’ottavo libro in sette anni che ne anticipa altri due in fase di pubblicazione “Le tre porte” e “Uno spirito per amico”. Da poco in libreria, quest’ultimo lavoro è un chiaro richiamo al suo primo lavoro:  Jan Mal d’Africa. “Patron… mon cher patron”… la frase entusiasmante che si legge nel testo è quasi un’esternazione dolorosa per dire ancora “non ho dimenticato, mi manchi, calda, misteriosa ed avvolgente Africa nera”. Un giallo che lascia col fiato sospeso fino all’ultimo rigo. Una storia avvincente che coniuga magistralmente la delicatezza e la raffinatezza dell’Italia e l’antica, quanto apparentemente lontana, cultura dell’Africa nera.  Guerrieri è “chiamato” a risolvere un delitto, fatto di scomode verità, in uno scenario di remoti sfarzi, tra vecchi libri, fastosi palazzi e principesche cascine cinquecentesche nel monumentale panorama storico culturale di un’Italia preunitaria.  Uno canovaccio che viene successivamente  “offuscato” dagli ancora vivi ricordi dei palmeti, la voracità alla difesa del territorio nell’innata indole dei “les diables”, gli inenarrabili tramonti, il caldo quanto cocente sole equatoriale e la viva memoria di una brutta esperienza tra le fauci di un mamba con il suo letale “sette passi”. E’ Perazzini che sovrasta e si impadronisce di Guerrieri, così come fa Marco Antonio con l’investigatore di Bagnone che si insinua a riflesso nella sua anima.

Un personaggio, quello di Guerrieri, che stupisce ancora una volta per la sua arguzia, per la sua determinazione, per il suo modo razionale di vedere le cose nella loro più limpida semplicità in un intreccio di situazioni  dove nulla è lasciato al caso; segno evidente di chi è abituato a leggere, con razionalità, la personalità dell’interlocutore e con fine intelligenza di chi porta con se un bagaglio di esperienze non comuni a tutti. E’ marcatamente evidente, in ogni rigo, in ogni capitolo; non si nasconde tra le righe così come di solito fanno la maggior parte degli scrittori. Perazzini preferisce essere palese: l’investigatore Guerrieri non è altro che la sua immagine rispecchiata. Nei suoi lavori, e soprattutto in Ricetta Mortale, è la sua autobiografia che non lascia spazio a fraintendimenti. Guerrieri avido prende tutto ciò che c’è dalla personalità prorompente  di Perazzini, senza scrupoli, senza riserve alcuna, perché ha bisogno della sua razionalità, della sua freddezza e soprattutto della sua disarmante consapevolezza di un carattere forte e determinato che non si arrende nemmeno nei momenti di particolare coinvolgimento quando si mette in discussione l’onorabilità dell’amico Andrea. Così come l’astuto investigatore trafuga l’esperienza lavorativa e il mal d’Africa dello scrittore, egli si appropria anche degli affetti più cari: le carezze ai figli, l’attaccamento alla famiglia, il valore dell’amicizia e l’ onestà intellettuale. Il giallo? Una trama accattivante, piena di colpi di scena che lascia sul filo del rasoio fino all’ultimo e, seppure, alcuni indizi vengono lanciati fin dall’inizio, l’epilogo e la soluzione del delitto disarma e affascina il lettore. A rendere unico il lavoro di Perazzini è la ricerca e dovizia dei particolari (e ve ne sono tanti nel libro), la finezza, delicatezza ed il gusto con cui vengono descritti alcuni momenti di vita quotidiana, tanto scontati quanto insoliti. Dall’arma del delitto, l’anello, alla presentazione di una ricetta, che mette a nudo il suo buon gusto. Ne descrive, minuziosamente, l’odore, il sapore e la genuinità della pietanza, quasi con l’entusiasmo di catturare il lettore nel rituale e nella contemplazione del cibo. Ed ancora. E’ scrupoloso interlocutore nel saper trasmettere la morbidezza con cui versa il vino a Mirella e Flavia, alla  determinazione e crudezza nel pretendere con forza le informazioni da Maurice che gli permetteranno di risolvere l’intrigato enigma.

Se Camilleri, così come ha più volte dichiarato, si immerge identificandosi nel suo Montalbano cercando di capirne i pensieri, le mosse, il valori, la sua forza quanto la sua debolezza, Perazzini viceversa modella il suo Guerrieri con la ricerca interiore del suo essere: Jan che ama il continente nero e che non ha mai dimenticato, Jan che ha tanta nostalgia dei raggi infuocati della savana, Jan che ricorda ancora chiaramente i colori, il calore ed il profumo di quella terra dove “il tempo non ha valore e non vi è certezza di nulla”.

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