Zygmunt Bauman: la felicità, la natura… la paura

Zygmunt Bauman è morto all’età di 91 anni. Che cosa ci ha lasciato il filosofo nato in Polonia, di origini ebraiche e trasferitosi poi in Israele? Come il suo pensiero sta condizionando le nostre vite? In genere vediamo nella Filosofia una disciplina sterile, fine a se stessa; in realtà da millenni le idee plasmano l’umanità, perché sulla propulsione di un certo tipo di pensiero filosofico si è sviluppata la nostra società contemporanea, con molte lacune ma anche con alcuni pregi. Ora, il pensatore polacco ha certamente influenzato la Filosofia contemporanea e con questo non intendo che ogni sua opinione sia per forza di cosa condivisibile, perché nessuna idea è giusta o sbagliata a prescindere. Zygmunt Bauman, che ha pubblicato molti libri, lasciando così ai posteri materiale sul quale discutere, si è occupato nel corso della vita di svariati argomenti, ponendo sempre al centro dei suoi studi la società moderna. La definiva liquida, perché un po’ come l’acqua, quando è allo stato liquido, scorre tra le mani. Non riusciamo a contenerla. I cambiamenti oggi solo veloci e a determinare questo modo di intendere l’esistenza e i rapporti umani è stata ancora la Filosofia.

Mi voglio però soffermare su tre parole al centro del pensiero di Zygmunt Bauman: Paura, Natura e Felicità. Concetti ai quali abbiamo dato molto spazio su Cultura & Culture. Secondo Bauman, la paura è una costante nella vita umana, eppure oggi più di ieri l’individuo non è cosciente di cosa o di chi ha paura, perché vive in una costante incertezza anche per la decadenza in cui versa lo Stato Sociale, dal quale ci si sente abbandonati. Il soggetto tuttavia non riesce a trovare una causa di questo imminente pericolo e, quindi, è sottoposto a uno stato di ansia generalizzata. Il Consumismo, inoltre, ci induce a voler eliminare (non per nostra scelta) ogni genere di preoccupazione e disagio creando l’effetto opposto. Una dinamica molto innaturale.

Per Zygmunt Bauman, in questo contesto la natura ha perso la sua aurea di santità a causa di un fenomeno alquanto inquietante: l’essere umano, da Francesco Bacone in poi, si è posto l’obiettivo di assoggettare il creato. Il nostro stile di vita – causato dalla cupidigia e dall’avidità umane – è insostenibile per il pianeta che ha tuttavia risorse limitate. Che cosa c’entra tutto questo discorso con la felicità? Pensiamo, erroneamente, che questo stato d’animo sia una conseguenza delle comodità e, quindi, per stare meglio, spendiamo denaro, che magari non ci possiamo permettere usando la carta di credito e alimentando il debito di una società in balia di desideri costanti e ingiustificati, con il risultato che saremo sempre più annoiati. La felicità, per il filosofo polacco, non consiste nella libertà dai problemi, dalle preoccupazioni e dall’ansietà, bensì al contrario essa arriva quando superiamo i problemi, le preoccupazioni e l’ansietà. La continuità del piacere è, dunque, inconcepibile e innaturale. Oggi viviamo in una società di consumatori e non di produttori. Secondo Bauman, l’insoddisfazione collettiva muove i consumi nel tentativo costante di raggiungere la felicità e aumentando di conseguenza il senso di solitudine. Sentimenti come l’amore e l’amicizia sono stati poi commercializzati. L’Amore, per esempio, non può essere una ricetta di felicità continua, perché è fatto di alti e bassi, di conflitti e di tensione che rendono avvincente il rapporto. E` difficile condensare in poche righe il pensiero di Zygmunt Bauman; in verità ho cercato di focalizzarmi su quegli aspetti che trattiamo spesso sul nostro web-magazine, eppure non posso terminare questo editoriale senza ricordare che, per il sociologo polacco, non esiste felicità senza conflitto e che la vita vera si sviluppa nella “polis”, cioè nella comunità e non sul web, il quale ha tuttavia il proprio indiscutibile valore se non diventa il solo strumento di comunicazione.

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