Mamma e figlia: la troppa “condivisione” che fa ammalare

Cara direttrice, leggo spesso gli articoli che scrive nella rubrica per le donne. Ho notato che Lei sul Suo magazine online dà spazio anche ad articoli su tematiche per il miglioramento personale, quindi – data la Sua sensibilità – le vorrei chiedere un consiglio, da donna a donna. Sono figlia di una donna forte e risoluta nonché mamma di un bambino piccolo; mio marito mi appoggia nelle mie scelte (sono un avvocato e lavoro come libero professionista) ma mi sento in trappola, come in una prigione non tanto a casa quanto nei rapporti con i miei familiari di origine, con mia madre innanzitutto che si è sempre fatta in quattro per coniugare i bisogni della famiglia con quelli dei suoi pazienti, mettendo in secondo piano se stessa. Lei era un medico anche piuttosto bravo. Oggi io sento di aver fatto già una scelta: ho pochi e facoltosi clienti, mi godo la mia famiglia, amo mio marito, però lei non mi lascia respirare. Devo dar conto di ogni mio gesto (anche nel lavoro) e mi tratta come se fossi una bambina; tutto questo mi crea molti disagi tanto che da qualche mese soffro di attacchi di panico (sono avvocato e le lascio immaginare questa cosa quanto mi limiti nel lavoro); mi sento in carcere, come se stessi per soffocare, sempre in bilico tra il bisogno di vivere la mia vita e gli obblighi di essere quella brava figlia che le racconta sempre tutto! Oggi, però, io sono una donna. Lei mi dirà che non è una psicologa, lo so, ma parla e scrive per le donne; perciò so che troverà un consiglio anche per me. Grazie, con fiducia. Annalisa da Milano.

 

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Cara Annalisa, innanzitutto grazie, le Sue parole mi riempiono di gioia e mi spronano a fare sempre meglio. Rendo pubblica la Sua lettera perché il Suo non è ovviamente un caso isolato. Per gli attacchi di panico, è mio dovere suggerirle di farsi aiutare da uno specialista. Poi, per quanto riguarda il rapporto con Sua madre, non cerchi delle risposte, delle soluzioni, ma – come direbbe il dottor Raffaele Morelli – osservi le Sue emozioni, senza giudicarle. Come faccio spesso anche io. E` arrabbiata? Osservi la Sua rabbia. Si sente in prigione? Provi a immaginare di aprire le porte della prigione con una chiave che magari ha in tasca. Quando esce dal carcere cosa vede? Che cosa percepisce? L’anima è saggia e sa di cosa Lei ha bisogno! In realtà non è Sua madre a impedirle di vivere nell’autenticità. Nessuno può costringerla a stare in prigione; è solo la Sua mente che è ammanettata da condizionamenti familiari e sociali. E poi perché raccontare tutto a Sua mamma? Spezzi questo schema deleterio per Lei e per Sua madre. Quando sente il bisogno di doverle telefonare o di andare a trovarla per condividere con lei qualche aneddoto, provi a scrivere o a creare qualcosa… non so… magari a dipingere, cucinare o a fare qualche altra cosa che le piace, anche mangiare un cioccolatino concentrandosi solo su quel gesto. Siamo noi i responsabili delle nostre azioni e vedrà che riuscirà a ritrovare il Suo naturale equilibrio. Un caro saluto.

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