Accusata di aver praticato l’aborto si suicida, la vicenda di Italia Donati


Quante persone conoscono la triste storia di Italia Donati? Poche, immagino pochissime. La Donati, figlia di contadini, decise di intraprendere una strada diversa, un cammino impervio, che le creò non pochi problemi, tanto da indurla al suicidio. Nel 1883 Italia fu nominata maestra elementare in un comune del pistoiese, ma il sindaco, Raffaele Torrigiani, la costrinse ad abitare accanto a casa sua. I ricatti sessuali del primo cittadino, le calunnie della gente, l’ostilità delle altre donne e soprattutto la notizia di un suo ipotetico aborto, allora considerato un reato gravissimo, fecero piombare la ragazza nella disperazione, tanto da indurla al suicidio. Italia lasciò disposizioni affinché il suo corpo venisse ispezionato, in modo da accertare la propria illibatezza. Una storia tragica, che si diffuse sui quotidiani, suscitando molta commozione, basti pensare che al funerale parteciparono 20mila persone. «La campagna stampa fece conoscere altri casi analoghi e tuttavia fu solo nel 1911 che si giunse all’avocazione delle scuole elementari, prima di competenza locale, allo Stato, e alla istituzione di un iter scolastico per le maestre». Nel frattempo mentre «le docenti si battevano per una cultura più dignitosa ed un lavoro meno precario, pochissime donne riuscivano ad accedere ad una nuova figura professionale, l’insegnante delle scuole superiori» . Infatti, la cultura borghese tendeva a rimuovere il problema dell’emancipazione con tematiche apparentemente scientifiche: il minor peso del cervello, i disturbi fisici periodici, le gravidanze nonché i compiti relativi all’allattamento e alla cura del figli. In realtà, la moglie dedita alle faccende domestiche faceva molto comodo al mondo maschile e, dunque, si trovavano delle scorciatoie per impedire alle donne di uscire di casa. La vicenda della Donati rientrava in un contesto dove – come rileva Elena Gianini Belotti, autrice del libro “Prima della quiete. Storia di Italia Donati”- la maestra e l’impiegata delle poste erano allora gli unici lavori non manuali aperti al “gentil sesso”. L’unità d’Italia era recente e l’analfabetismo altissimo. In questo quadro desolante i vari governi del tempo avevano istituito scuole rurali in ogni frazione, però i comuni lesinavano i già scarsi fondi disponibili. Le insegnanti erano malpagate, maltrattate, confinate in aule indecenti, private di materiale didattico, persino del gesso e dell’inchiostro, isolate tra la gente diffidente e ostile all’istruzione perché sottraeva i bambini ai lavori dei campi.
«In Italia fino al 1887 le laureate erano inesistenti e sino al 1893 costituivano una vera e propria eccezione» . E naturalmente primeggiavano le università del Centro Nord, con Napoli unica città del Sud. Lo studio, per alcune ragazze, era il prezzo della libertà. Nella società contemporanea, invece, l’istruzione sembra quasi un optional, spesso un obbligo e non un piacere. Conoscere, non solo per le donne, ma per tutta l’umanità, dovrebbe essere un desiderio, dettato dalla volontà di comprendere il mondo, attraverso la storia, la geografia, la letteratura, la matematica, la fisica, l’astronomia e la biologia. Le donne dovrebbero mettere a disposizione della società le loro risorse, senza remore e abbattendo i pregiudizi di chi è ancora radicato ad uno schema precostituito – dove purtroppo non si tiene conto delle peculiarità di ciascuno – ma soprattutto non dovrebbero mai dimenticare le tante figure femminili che si sono battute per il diritto allo studio.

Fonte A. Bravo, M. Pelaja, A Pescarolo, L.Scaraffia, Storia Sociale delle donne nell’Italia contemporanea, p.51, Editori La Terza, 2001

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