A Roma in scena “L’invisibile che c’è” di Antonio Grosso

locandinaSe il paradiso esiste, vorremmo che avesse i colori dei fuochi pirotecnici. La stessa struggente allegria, il sentore della festa di paese, tenuti per la mano da papà, tra bancarelle colorate da giocattoli e dolciumi. Un cielo di notte colorato a giorno.

Un’immagine bella, buona, naturale, un incedere tranquillo come il cammino di un trenino elettrico, finché funziona. Perché può incepparsi il meccanismo di un trenino e allora tutto cambia, tutto si ferma. Le quattro mura di una casa possono diventare l’angusto contenitore del dolore di un padre che vede morire il figlio, la prigione di pochi metri oltre i quali non riesce più ad andare. Ma se il figlio, in qualche maniera, torna a farsi sentire? Se anche la morte fosse imprevedibile come la vita, e non si rassegnasse alla mancanza d’amore? Se si potesse rappresentare l’esistenza come una stazione ferroviaria, dove si attendono arrivi, partenze, dove un semaforo rosso diventa verde liberandoci dal dolore? Tutte queste domande si materializzano nella nuova, stupenda, toccante opera teatrale di Antonio Grosso, emergente autore campano. Il tema della perdita, dell’amore tra un padre e un figlio, è delicatissimo e forse anche pericoloso da trattare. Si rischia di cadere nel grottesco o nella banalizzazione. In questo caso, “l’invisibile che c’è” si dimostra un capolavoro di equilibrio, capace di suscitare emozioni potenti, di indurre lo spettatore alle lacrime e alla risata liberatoria con la stessa facilità. Per ottenere tutto ciò, gli interpreti sul palcoscenico devono essere capaci di camminare sul filo del rasoio, in un esercizio di concentrazione scrupolosa e costante.

Il ruolo del padre, interpretato da uno straordinario Gennaro Cannavacciuolo, è una lezione di teatro. Mai sopra le righe, capace di commuovere profondamente, un magnetismo che riconcilia con la recitazione. Il figlio è Antonio Grosso, autore della pièce, presenza scenica importante che appare suggestivamente dalla fine del primo atto. La parte bizzarra, di funzionale “rottura”, è affidata ai due vicini di casa/stazione Enzo Casertano e Antonello Pascale. Finalmente qualcuno si è accorto delle potenzialità del primo, non relegandolo in ruoli macchiettistici da avanspettacolo, ma affidandogli parti in cui possa esprimere le sue note drammatiche, alternate a una innata comicità, mentre Antonello Pascale si conferma abile “commediante d’arte” dopo il successo in “Vicini di stalla”. Roberta Azzarone, in scena, è la fidanzata della “presenza”, rassegnata e incredula verso il mistero.

Uno spettacolo difficile da mettere in scena, ma ci riesce benissimo la sapiente regia di Paolo Triestino, accurata, delicata, piena di sorprese, che aiuta i protagonisti a polverizzare la famigerata “quarta parete”, trasportando il pubblico in un sogno, con atmosfere surreali, sospese, poetiche, di rarissima intensità. La scenografia meravigliosa di Alessandra Ricci, le luci tenui, discrete, di Luigi Ascione, e i costumi di Adelia Apostolico  completano il quadro.

Non ci si rassegna alla mancanza d’amore, non ci si rassegna a essere solo “un soffio d’aria che si perde nelle orecchie”. Un padre e un figlio, abbracciati, guardano i fuochi alla festa della Madonna….quello è il paradiso. Quello… “nu ciel’e notte culurat ‘e juorn!”. E allora il semaforo diventa verde, si alza la sbarra sul binario, e il trenino può riprendere il suo cammino. Poesia, brividi, applausi! Da vedere, anzi da non perdere.

 

Scheda spettacolo

L’invisibile che c’è” di Antonio Grosso

Teatro della Cometa, Roma. Dall’11 al 30 marzo

Regia di Paolo Triestino

Luci di Luigi Ascione

Scenografia di Alessandra Ricci

Distribuzione di Razmataz spettacoli

Con Antonio Grosso, Gennaro Cannavacciuolo, Enzo Casertano, Antonello Pascale, Roberta Azzarone

Paolo Leone

 

 

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