I DUE VOLTI DI SARAJEVO

©Valentina Sala

 

Si sta per chiudere il ventennale dallo scoppio dalla guerra in Bosnia, quello scontro che per circa tre anni ha visto la capitale Sarajevo vivere il drammatico assedio. Tutti ricordiamo i giorni in cui le cronache ci aggiornavano su un conflitto che avveniva proprio dall’altra parte dell’Adriatico, di cui si faticava a capire le ragioni e al quale le organizzazioni internazionali non riuscivano a porre fine. Oggi, in occasione di una ricorrenza tanto triste, vogliamo raccontarvi una città che nonostante gli orrori del passato non ha smesso di sperare nel futuro: rialzatasi e pronta a guardare avanti, la “Gerusalemme d’Europa” sta pian piano tornando a proporsi al mondo come modello di città multiculturale.

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Immaginiamo di trovarci per la prima volta a Sarajevo: da dove partire? Sicuramente dalla Baščaršija, vecchio centro storico e commerciale ottomano. Passeggiare per le sue strette vie è come immergersi nei colori, nei rumori e nei profumi di un paese della Turchia. Qui è possibile assaggiare cibi locali, ammirare le brulicanti viuzze o fare shopping nei bazar. Tra gli spuntini il primo posto spetta al burek, la tradizionale pasta sfoglia ripiena di carne (ottime anche le varianti con formaggio, sirnica, con spinaci, zeljanica, e con patate, krompiruša). E poi ancora i negozi di stoffe e borse e le botteghe di artigiani che davanti agli occhi dei passanti lavorano il rame e danno forma a servizi da caffè bosniaco. Insomma, questa la prima anima della capitale, forse la più affascinante. Le moschee presenti nella Baščaršija ci ricordano l’origine ottomana del quartiere e perdersi tra i suoi vicoli è un’esperienza magica.

Ma la magia sarà sempre più tangibile una volta raggiunta la via Ferhadija. Un momento prima pareva di essere in Turchia e ora sembra di passeggiare per le strade di una città asburgica? È proprio così. Se la Baščaršija risale alla dominazione ottomana, ecco che Ferhadija e le vie vicine sono un contributo dato dagli austriaci alla città, tanto che lunghi viali e palazzi signorili creano quell’atmosfera da fine 800 che in parte caratterizza Sarajevo. Una cattedrale cattolica è lì, pronta a testimoniare gli anni austriaci e la natura interreligiosa della Bosnia.

Ed è proprio la multiculturalità ciò che più di tutto rende Sarajevo un luogo unico: la capitale è, infatti, un susseguirsi di chiese serbo-ortodosse, chiese cattoliche, moschee e sinagoghe, tutte l’una accanto all’altra. Entrare per qualche minuto in questi luoghi di fede è un’esperienza intensa: i differenti colori delle facciate, i vari linguaggi architettonici utilizzati, le voci dei credenti che pregano all’interno e che seguono riti diversi per forma ma simili nel contenuto, rendono l’impatto con la città emozionante.

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E cosa dire dell’eredità lasciata dal comunismo? Basta allontanarsi di poco dal centro per imbattersi nei palazzoni socialisti costruiti durante il regime di Tito, capaci di svelare il volto della Jugoslavia del dopoguerra. È in questa zona che si trova il drammatico “viale dei cecchini”, così chiamato perché in cima ai suoi palazzi stavano appostati i soldati serbo-bosniaci, pronti a colpire i civili di passaggio. Con un tram un po’ attempato si percorre la via: attraverso i finestrini si può guardare fuori, alzare lo sguardo e arrivare con la mente sopra quei tetti alti. Poi di nuovo giù, sulla strada, dove la gente scappava. Non è poi così difficile farsi rapire per qualche istante dal pensiero della guerra. L’albergo dove dormivano i cronisti durante l’assedio, il noto Holiday Inn, è proprio lì fuori. È come un viaggio nel tempo.

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Vittima della guerra degli anni Novanta è stata anche l’imponente Biblioteca Nazionale, depositaria di documenti e manoscritti riconducibili a tutti i popoli del territorio e proprio per questo incendiata dalle milizie serbo-bosniache nel 1992.

E per finire tappa nei pressi del ponte Latino sul fiume Miljacka, nel punto in cui nel 1914 Gavrilo Princip assassinò il successore al trono dell’impero asburgico, Francesco Ferdinando, fornendo il pretesto per lo scoppio della prima guerra mondiale. Una targa e un piccolo museo ricordano l’avvenimento e invitano i passanti a fermarsi qualche istante per riflettere su quell’episodio noto a tutti e ora tanto tangibile.

La Storia, in fondo, è passata diverse volte proprio da Sarajevo, una città che “si logora ed anche muore, ma allo stesso tempo rinasce e si trasforma” (Ivo Andrić).

 Valentina Sala

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