Paul Simon e l’album Stranger To Stranger: recensione

Paul Simon, con Stranger To Stranger, il suo 13esimo album da solista, il primo in cinque anni, dopo So Beautiful Or So What, dimostra ancora una volta di essere un artista che non segue le mode: le crea. Del resto una carriera lunga cinquant’anni (con la bellezza di 15 premi Grammy all’attivo) necessariamente è la carriera di una persona che si reinventa, che trova nuovi fan, appassionati, estimatori che man mano rimpiazzano o si affiancano a quelli che fin dal principio seguono il suo percorso. E così, questo giovane 74enne, in associazione con il suo storico produttore Roy Halee (altro giovane ragazzo di 81 anni), un ragazzo che è stato capace di scrivere la storia della musica pop negli anni ’60 in coppia con Art Garfunkel (The Sound of Silence, Bridge Over Troubled Waters, Mrs. Robinson, tanto per fare qualche ovvia e doverosa citazione), poi degli anni 70 come solista (Me and Julio Down the Schoolyard o Still Crazy After All Those Years) e infine ha aperto la porta alle sperimentazioni dagli anni ’80 in poi (basti pensare ai ritmi e suoni etnici che ha introdotto nella musica pop con Graceland), oggi reinventa se stesso e firma un disco bellissimo. Diverso. Inaspettato. Profondo come appunto è Stranger To Stranger. Non si può non cominciare una riflessione su quest’album però senza una doverosa premessa che riguarda la parte musicale. Come sempre accade con Simon la ricerca (in questo caso durata ben cinque anni), ha prodotto qualcosa di incredibile. Archiviata la parentesi dedicata alla chitarra acustica del disco precedente su cui aveva costruito la struttura melodica di buona parte delle canzoni, non contento di riprendere i ritmi sincopati della musica africana e sudamericana, li ha miscelati con diverse suggestioni che prima ancora di essere musicali sono culturali, così da produrre del materiale nuovo e fecondo, che apre una strada a futuri approfondimenti (che non seguirà necessariamente soltanto lui, ma che sicuramente verranno colti da altri musicisti che lo vedono come una fonte di ispirazione). Il suo infatti non è semplicemente un mettere insieme materiali e influenze diverse. Paul Simon queste “radici” le comprende, le fa sue e solo in seguito le rielabora in maniera sperimentale e – soprattutto – personale. Ecco dunque che i suoni elettronici e i ritmi di un musicista come Clap! Clap! (al secolo Cristiano Crisci, eclettico percussionista e produttore che Paul Simon ha conosciuto grazie al proprio figlio che ne ammirava il lavoro) si sposano con le scale microtonali da 43 semitoni invece dei soliti 12 ipotizzate da Harry Partch (e in Insomniac’s Lullaby è possibile ascoltare anche strumenti come il Chromelodeon, che Partch costruì proprio per poter dare “suono” alle sue teorie).

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Ma la magia di Stranger To Stranger è che ogni canzone, pur facendo parte evidentemente di un insieme coeso e coerente è curata e rifinita da Paul Simon come un piccolo capolavoro a parte, a sé, curato fin nei minimi dettagli. The Riverbank ne è un efficace esempio: con la coppia chitarra-violoncello che utilizza come sezione ritmica il battuto delle mani, il risultato è uno “spiritual 2.0”, in cui ingredienti diversi finiscono per produrre, grazie all’ispirazione di Simon, qualcosa di nuovo e veramente lontano da quelli che sono stati gli elementi da cui partiva. E poi ci sono i testi. Se in The Werewolf il lupo mannaro è l’angelo sterminatore e/o vendicatore che compare nelle vite di tutti anche quando non ce ne rendiamo conto, in Wristband si racconta di come una popstar di successo viene bloccata da un addetto alla sicurezza al suo stesso concerto perché non indossa il braccialetto giusto che altro non è se non il pass per il palcoscenico.

E con Street Angel e In A Parade vengono collegati brani diversi grazie a uno stesso personaggio raccontato in due modi e con due punti di vista differenti. Sono tutte piccole storie che raccontano altro, che condividono una struttura da romanzo breve che ha in letteratura il corrispettivo nelle short stories di Raymond Carver, istantanee vissute con empatia (a volte con anche un senso critico che sfocia nella disillusione) che non lascia mai indifferenti. Il tutto con una metrica e un senso del ritmo assoluti. E infine ci sono i divertissement, gli interludi solo musicali (The clock o In The Garden of Edie, la canzone dedicata alla moglie Edie Brickell) che danno ritmo all’album, che lo rendono un progetto unico. Ascoltare Stranger To Stranger ti fa riconciliare con la musica mainstream e rinnovare l’apprezzamento per un artista come Paul Simon. E l’unico retro pensiero che ti resta in mente è “chissà cosa si inventerà la prossima volta”.

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