Pablo Medina racconta il Venezuela di Chavez

pablo-medinaL’intervista che state per leggere è il resoconto lucido e dettagliato del politico venezuelano Pablo Medina sulla situazione in Venezuela dall’epoca di Chavez fino a oggi. Un racconto di vita, di realtà che tutti dovremmo conoscere e sul quale dovremmo riflettere con attenzione. In questi mesi la condizione economica dell’Europa e del mondo, il dramma dell’immigrazione, l’incertezza per il futuro, l’avanzata dell’Isis che destabilizza la Siria e, per riflesso, l’intera Medio Oriente, ci stanno tenendo con il fiato sospeso, ma non dobbiamo dimenticare che oltre l’oceano esiste un’altra situazione critica, quella del Venezuela. Le distanze non contano e di certo non possono mettere al riparo noi o la nostra coscienza; questo non vuole certo essere un modo per far paura, soltanto una presa di coscienza, un atto di consapevolezza per imparare a guardare più lontano e capire il legame profondo che esiste tra tutti gli esseri umani, poco importa che vivano dall’altra parte del mondo. L’intervista a Pablo Medina non sarebbe stata possibile senza l’aiuto e la mediazione e le spiegazioni puntuali e dettagliate della giornalista italo-venezuelana Marinellys Tremamunno, a cui va il sentito ringraziamento mio e di tutta la redazione. Appena pochi mesi fa Marinellys rilasciò a Cultura & Culture un’intervista che ci aiutò a comprendere davvero il dramma del Venezuela e che vi consiglio di rileggere per avere un quadro preciso di ciò che sta accadendo in quel Paese in cui ben solide sono le radici italiane. Prima di dare spazio alle parole di Pablo Medina, è giusto e doveroso spiegarvi il suo ruolo nel Venezuela di Chavez. Per queste informazioni biografiche ringrazio Marinellys Tremamunno per la cortesia e la disponibilità. Pablo Medina, politico con una lunga carriera nella sinistra venezuelana e presidente del Movimento dei Lavoratori, nasce a Tocuyo (Stato di Lara) il 30 giugno 1947. Il suo percorso politico inizia molto presto, all’età di sedici anni, quando Medina entra nel Partito Comunista Venezuelano, milita nella guerriglia del Paese e viaggia fino a Mosca per apprendere i rudimenti della politica. Cofondatore dei partiti “La Causa Radical” e “Patria para Todos”, dà vita, negli anni Settanta, anche al movimento “Matancero” e per ben trent’anni dirige il sindacato degli operai della “Siderurgica del Orinoco”. Tra il 1995 e il 1996 esercita la carica di Vicepresidente della Camera dei Deputati del Congresso Nazionale. Come Membro dell’Assemblea Costituente rifiuta di firmare, nel 1999, le modifiche alla Costituzione, che prevedevano la possibilità di rielezione del Presidente della Repubblica e l’allungamento del mandato da cinque a sei anni. Pablo Medina, inizialmente, era un politico molto vicino a Hugo Chavez, ma nel tempo la distanza tra i due cresce inesorabilmente, finché Medina non diventa uno dei più fieri oppositori al regime. Nel 2006 viene pubblicato il suo primo libro “Quien mato a Danilo Anderson” (ed. Los libros de “El Nacional”), sulla morte del procuratore Anderson, il quale stava indagando sugli omicidi commessi a Caracas l’11 aprile 2002. Nel 2014 esce “El gran engaño” (ed. Los libros de “El Nacional”) in cui Pablo Medina spiega la sua teoria secondo la quale Hugo Chavez non sarebbe morto in Venezuela, ma a Cuba. Dal 9 agosto 2014 coordina il “Blocco di Unità Nazionale”, che è una coalizione di partiti politici. Mercoledì 9 settembre 2015 Pablo Medina viene ricevuto in Vaticano da Papa Francesco. I motivi della visita riguardano la possibilità di una mediazione del Santo Padre per la pace in Venezuela e la garanzia che le elezioni previste per il prossimo 6 dicembre si svolgeranno in un clima di libertà e democrazia. Papa Francesco, infatti, è atteso a Cuba il 19 settembre, per una visita di due giorni. Questo appuntamento, che segue il disgelo tra Washington e l’Avana fortemente voluto e perseguito anche dal Pontefice stesso, è molto importante, poiché simboleggia una nuova apertura al mondo da parte di Cuba dopo l’era di Fidel Castro. Sarà un’occasione, questa, di dialogo e preghiera, un momento in cui Papa Francesco potrà tentare la mediazione diplomatica anche per il Venezuela, dimostrano che è sempre possibile trovare un accordo se si ha la volontà, l’onestà intellettuale e la determinazione a risolvere i conflitti che scuotono il mondo. Le parole di Pablo Medina sono un primo tassello nella ricerca di una vera soluzione che aiuti il Venezuela a riemergere dal passato e dai regimi.

 

Hugo Chavez
Hugo Chavez

Come divenne, da uomo vicino a Chavez, suo oppositore e quanto è dura la vita di un dissidente politico in Venezuela?

Conoscevo Chavez come uomo politico e intuii fin da subito che tipo di persona fosse. Il mio partito, di cui ero segretario, aveva già deciso di allearsi con lui e sostenerlo, così dovetti accettare la linea politica scelta. Per me, che avevo fatto parte dei movimenti sindacalisti per anni, fu difficile da digerire, ma non avevo scelta. Ho sofferto la repressione, ma sono sopravvissuto e ora vorrei dar voce a quanti ancora soffrono nel mio Paese, raccontare ciò che sta accadendo. Inoltre sto lavorando per riorganizzare l’intero centro sinistra venezuelano, in modo da dare un appiglio, una speranza a quanti non credono più al governo e al partito di estrema destra.

 

Il 9 settembre ha incontrato Papa Francesco. Cosa si aspettava da questo incontro e quali sono state le parole del Pontefice in merito alla condizione attuale del Venezuela?

Si è trattato di un incontro molto veloce, un’udienza pubblica, ma quando sono riuscito a parlare con il Santo Padre, lui si è fermato ad ascoltarmi. Gli ho detto che vengo dalla “Siria del Sud America” e faccio parte di quel milione e seicentomila venezuelani esuli. Ho sottolineato che il presidente Maduro è disposto a ricevere ventimila siriani in fuga dalla guerra, nonostante gli esuli che sono costretti ad andar via dal Venezuela. Una vera e propria contraddizione. Non solo. Lo stesso Maduro, insieme al presidente del Congresso venezuelano, ha in programma di chiudere le frontiere, prima fra tutte quella con la Colombia, lasciando aperto solo il varco offerto dal Mar dei Caraibi. In questo modo potrà reprimere ancor più duramente la popolazione, agendo indisturbato. A quel punto quelli che vorranno scappare dovranno farlo via mare, probabilmente usando lo stesso sistema dei cubani che fuggivano verso gli Stati Uniti, cioè nascondersi dentro alle balsas, ovvero delle imbarcazioni improvvisate, precarie, delle vere carrette del mare con cui quegli uomini cercavano di raggiungere il traguardo di una vita migliore. Il Papa, che si è sempre preoccupato della questione della pace nel mondo, mi ha assicurato che le sue preghiere sono rivolte al Venezuela, mostrandomi tutta la sua preoccupazione e la sua attenzione, soprattutto per quel che riguarda il problema delle frontiere e la miseria del mio popolo che soffre una pesante carenza di cibo e medicine. Gli ho spiegato che abbiamo bisogno di libere elezioni, manifestandogli inquietudine per la nostra dipendenza politica da Cuba, che quasi ci rende una loro colonia e per la dipendenza economica da Cina, Russia e Iran, ormai proprietari delle risorse venezuelane a causa dei debiti che abbiamo contratto con loro. Se Cuba si sta aprendo al mondo, il Venezuela, invece, si sta chiudendo sempre di più. Alla fine dell’incontro ho donato a Papa Francesco il mio libro “El gran engaño” sulla morte di Hugo Chavez e sono convinto che lui possa aiutarci davvero, che farà molto per tutti noi. La Santa Sede mi ha dimostrato comprensione e attenzione non solo nella persona del Pontefice, ma anche in quella del Segretario di Stato Vaticano, il cardinale Parolin, che è stato Nunzio Apostolico in Venezuela e mi ha ricevuto al Palazzo Apostolico per un incontro durato trenta minuti.

Soffermiamoci proprio sull’incontro con il cardinale Pietro Parolin. Cosa vi siete detti e quale è stata la reazione del Segretario di Stato Vaticano riguardo la sofferenza in cui vive il Venezuela?

Gli ho raccontato la tragedia che stiamo vivendo e il cardinale Parolin si è mostrato molto comprensivo, ma anche molto informato sull’attuale situazione venezuelana. Ha una visione ben chiara e dettagliata su ciò che sta accadendo. La Santa Sede mi ha fatto sentire accolto, manifestandomi una profonda preoccupazione, ma anche la ferma volontà di collaborare per ritrovare la pace e la stabilità di cui abbiamo bisogno. Con il cardinale abbiamo affrontato molti temi importantissimi, come le violazioni dei diritti umani nel mio Paese e la condizione dei perseguitati politici. Questi ultimi sono persone che hanno preso le distanze dal chavismo e per questo sono perseguitati. I dissidenti non riescono a trovare la loro voce in politica, poiché viene loro impedito. Hanno provato a creare dei partiti in vista delle prossime elezioni parlamentari del 6 dicembre, ma non ci sono riusciti. Neppure i tentativi di candidare studenti dissidenti sono andati a buon fine. Parliamo, in totale, di 230 persone di cui il governo ha rigettato la candidatura e tra questi vi sono gli studenti incarcerati Gerardo Carrero e Ronny Navarro sottoposti, in prigione, a torture ancor più dure a causa delle loro candidature, poi rifiutate. Ho avuto, inoltre, la possibilità di consegnare al cardinale Parolin un rapporto sulle sofferenze patite dal ceto medio venezuelano a causa della mancanza di generi di prima necessità. Ho spiegato che il salario medio di un lavoratore venezuelano è di 12 dollari al mese, l’inflazione nel 2014 era al 180 per cento e per il 2015 le stime sono addirittura del 200 per cento. Nonostante questo sia un dato ben conosciuto, il Banco Centrale del Venezuela si rifiuta di emettere cifre ufficiali. La povertà del Paese, però, non scalfisce né i ministri né i militari che possiedono conti nelle più importanti banche internazionali. Ho sottolineato che il Venezuela, pur non essendo in guerra ufficialmente, ad oggi conta 260.000 cristiani cattolici uccisi per mano della criminalità organizzata che riceve armi dall’Azienda di Stato.

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