OBAMA, ALTRI QUATTRO ANNI DI GRANDI SFIDE

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Altri quattro anni. Gli americani hanno deciso di accordare nuovamente fiducia al presidente Obama e di lasciargli completare l’opera iniziata nel 2008, quella che lo vedeva protagonista di grandi riforme e del rilancio economico, programma riuscito solo in parte ma pronto ad essere attuato nel prossimo mandato.

Barack Obama ha strappato la vittoria allo sfidante repubblicano Mitt Romney conquistando lo stato chiave dell’Ohio, quello che fin dall’inizio era stato indicato come decisivo, in grado di portare al trionfo o alla polvere. Al presidente non è servito neppure aggiudicarsi stati importanti come Florida e Virginia, gli è bastato portare a casa Pennsylvania, Wisconsin, New Hampshire, Colorado e Nevada per avere la certezza della rielezione ed accendere l’entusiasmo dei sostenitori riuniti al quartier generale democratico a Chicago.

La proclamazione della vittoria si basa sulle stime dei media statunitensi e, quindi, non è ancora del tutto ufficiale ma, se dovessero essere confermati i datio, a Obama andrebbero almeno 303 grandi elettori, ben più dei 270 necessari. Un risultato a suo modo storico visto che nessun presidente era stato rieletto con un tasso di disoccupazione al 7,9 per cento. Neppure i disastri provocati dall’uragano Sandy hanno fermato gli elettori.

Romney non ha impiegato molto per fare la telefonata di congratulazioni al presidente e tenere il suo discorso di sconfitta, in cui ha augurato a Obama di riuscire a guidare al meglio l’America. Al repubblicano va comunque una piccola vittoria, quella di essere riuscito a guadagnare stati come Indiana e North Carolina, in genere democratici, e di incrementare il vantaggio in Kentucky. Nonostante lo scarto minimo di voti popolari, 55.550.455 contro i 57.320.092 di Obama, Romney è stato penalizzato dal sistema dei grandi elettori.

Adesso si profila un Paese politicamente diviso, una spaccatura resa ancora più evidente dalla conferma dei repubblicani alla Camera dei Rappresentanti. I democratici, tuttavia, mantengono e rafforzano la maggioranza al senato strappando due seggi ai repubblicani. Ora, all’interno del Congresso, i democratici dovrebbero avere almeno 53 seggi, più due indipendenti, contro i 44 dei repubblicani. Non è sicuramente il clima ideale nel quale lavorare ma la fiducia degli americani rende più forte Obama, che deve articolare la sua agenda mettendo tra le priorità il rilancio economico, il risanamento del deficit e dei debito. Bisognerà scendere a compromessi con i repubblicani e evitare il fiscal cliff, il baratro fiscale che porterebbe già dall’inizio del 2013 tagli automatici alla spesa e aumenti delle imposte, una situazione che minaccia di far precipitare nuovamente in recessione l’America.

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Il presidente avrà però l’occasione di portare a termine ciò che non gli era riuscito del tutto nel primo mandato. Dal gennaio 2014, il Patient protection and affordable care Act del 2010, la riforma del sistema sanitario nazionale, dovrebbe estendersi a oltre 30 milioni di americani non assicurati, che usufruirebbero della copertura sanitaria. In campagna elettorale Romney aveva promesso di abrogare la legge in caso di vittoria, benché si basi su una legislazione firmata dal lui stesso quando era governatore del Massachusetts. I repubblicani, quindi, lotteranno ancora per ostacolare la riforma sanitaria e l’estensione del Medicaid alle fasce più deboli della popolazione, già a partire da fine mese quando inizieranno i negoziati per tagliare il deficit federale.

Un’altra sfida per Obama che, sulle ali dell’entusiasmo e sostenuto dalla fiducia degli americani, non vede l’ora di dimostrare che «il meglio deve ancora venire».

Piera Vincenti

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