Niente, più niente al mondo: con Guarnieri il teatro è bellezza

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I libri di Massimo Carlotto sono estremamente teatrali, tanto che le loro presentazioni sono sempre dei piccoli, deliziosi spettacoli, con musica e attori. Niente, più niente al mondo è un testo del 2004, che va a inserirsi nella categoria dei racconti brevi. Il soliloquio di una donna che, in una lucidissima e comprensibilissima narrazione di vita delusa, porta il lettore verso l’abisso di una tragedia familiare, quasi inaspettatamente. O di una tragedia sociale, direi. Lo spettacolo tratto dal libro e portato in scena a Roma, al Piccolo Eliseo dal 2 al 13 dicembre 2015, vede protagonista Crescenza Guarnieri, una delle attrici più intense ed espressive del nostro panorama teatrale, per la regia di un altro grande artista quale Nicola Pistoia. Il sodalizio ha prodotto uno spettacolo di rarissimo realismo in cui la regia, asciutta, è a completo servizio della straordinaria bravura della Guarnieri, che in questa occasione sfodera un’interpretazione di grande maturità e potenza.

Un calmo, quotidiano, silente dramma, comune ormai a una grandissima parte della popolazione, fatto di sogni delusi, di aspettative cadute, di spese al discount, dai cinesi, di risparmi forzati per poter sopravvivere, di abbrutimento indotto da una società che ci ha indebitati nell’illusione di un benessere che non avremo mai. Un marito tradito dai sindacati, due piccoli stipendi che non bastano più, che coprono appena le spese fisse. Rimane la tv, quel mondo magico, dove la mattina presto le donne sono tutte in tiro e sorridenti, con quei denti che chissà quanto pagheranno dal dentista. Ecco, definire proletario il personaggio magistralmente interpretato da Crescenza Guarnieri, lo trovo estremamente riduttivo. La sua situazione è quella di tanti, troppi italiani, e il fatto che la storia sia ambientata nell’industriale Torino passa quasi inosservata, tanto è ormai diffusa. E allora l’unica speranza di una famiglia squassata e priva di futuro, rimane “la bambina”, quella ragazza che in scena non vediamo ma immaginiamo nella stanza accanto, a cui la protagonista ogni tanto si rivolge, senza ottenere risposta, ma solo un inquietante silenzio.

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Quella figlia che si ostina ad accettare quella condizione ormai odiata dalla madre, che non ha le aspirazioni che vorrebbe lei, che la detesta. Lo scopriremo grazie alle pagine del suo diario, lette dalla mamma tra un sorso di vermouth e l’altro. Lo spettatore capirà, minuto dopo minuto, l’antefatto orribile di quel monologo, l’esplosione violenta di quel malessere di anni di bocconi amari e di stenti. La figlia sarà l’agnello sacrificale di un malessere da cui non si riesce a fuggire. La donna voleva “vedere il cielo”, ma niente, più niente al mondo potrà modificare destini segnati, nati nelle famiglie sbagliate in un momento sbagliato. Questo è il messaggio, nero, del bel testo di Carlotto. Con Crescenza Guarnieri, si riscopre la bellezza dell’arte attoriale. Toni, movimenti, sguardi, naturalezza, verità. Senza eccedere, con disarmante realismo. Una prova d’attrice meravigliosa. Presenza scenica e intensità, voce e corpo che riempiono la scena come difficilmente accade. Insomma, il teatro, quello bello.

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