Innovazione in Italia? «Conta più il talento che lo studio»

C’è una certa sfiducia degli italiani per quanto riguarda la capacità dei Governi di saper innovare. I nostri connazionali credono più nel talento innato che nella capacità di acquisire le competenze con corsi di formazione e sui banchi dell’Università. Questo è quanto si evince da una nota del Censis, il quale ha diffuso i dati statistici di «Italia, Chefuturo!», il rapporto 2016 Cotec-Chebanca, divulgati all’Edison Innovation Week. Le percentuali sono molto interessanti e ci fanno capire tanto del nostro Paese in fatto d’idee sull’innovazione. Entriamo nel dettaglio. Per gli italiani, innovatori si nasce e non si diventa. Difatti all’apice della scala c’è la creatività, una dote innata. A ritenerla importante è il 48,4 per cento degli intervistati. Seguono l’intuito (31 per cento), la curiosità (30,1 per cento), la disponibilità a rischiare (19,9 per cento), l’intelligenza superiore alla media (18,6 per cento) e l’attitudine alla disubbidienza (14,7 per cento). Mentre solo il 9,7 per cento ritiene importante l’istruzione universitaria, il 12,6 per cento l’esperienza e solo il 9,9 per cento le competenze informatiche. Questo significa, stando ai dati, che in Italia la propulsione al miglioramento è molto bassa; in altre parole, per la maggior parte degli intervistati, se si hanno le qualità si può innovare a patto che però ci siano le condizioni strutturali. Significativo? No? Andiamo oltre.

Nel Rapporto si legge inoltre che secondo gli italiani i protagonisti dell’innovazione sono le piccole e medie imprese. Ha risposto così il 38,6 per cento degli intervistati che mostrano una certa sfiducia verso i soggetti di governo. L’innovazione in Italia è approssimativa, quasi selvaggia, senza una progettualità precisa e mirata. La pensa così l’11,6 per cento. I dati cambiano quando si fa riferimento all’Estero, dove agiscono quasi all’unisono le università, i governi e gli imprenditori. Insomma gli italiani ritengono che fuori dai confini nazionali sia tutto rose e fiori in fatto d’innovazione; quest’ultima, infatti, secondo il 51,1 per cento degli intervistati, non farà altro che aumentare il divario sociale in Italia, anche perché – dice il 38,9 per cento – hanno avuto dei vantaggi gli imprenditori.

L’Agenda Digitale è comunque importante per il 90 per cento degli italiani. Che cosa trapela dunque dai dati di «Italia, Chefuturo!». Ritengo che ci sia molta confusione nel nostro Paese per quanto riguarda lo sviluppo tecnologico e in generale l’innovazione per un motivo sostanziale: è molto difficile farsi un’opinione nel momento in cui si sta vivendo una fase di grande cambiamento, come quella attuale. Tuttavia, la cultura è molto importante. Non basta il talento innato, il quale deve essere affinato mediante lo studio. Certo si nasce con una certa predisposizione ma l’esperienza è vitale, perché proprio attraverso di essa ci s’innova e quindi bisogna stare molto attenti all’immobilismo, una piaga tutta italiana che affligge molti giovani soprattutto a Sud, dove tante persone hanno rinunciato a cercare lavoro per una serie di luoghi comuni, diffusi a volte senza alcuna cognizione di causa.

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