DONNE SOLDATO, CONTRADDIZIONE DELLA MODERNITÀ

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Le donne soldato vincono la loro battaglia per combattere. La svolta storica è avvenuta negli Stati Uniti dove il segretario alla difesa Leon Panetta ha deciso di togliere il veto alle donne soldato in prima linea, ribaltando una norma del 1994. Da anni, le donne soldato stavano facendo pressione per ottenere la possibilità di essere schierate in battaglia e quattro di loro si sono rivolte addirittura al tribunale, intentando causa contro il Pentagono e il segretario alla Difesa Leon Panetta. Le regole militari attualmente in vigore, infatti, non permettono alle donne di servire nelle unità di combattimento di terra, come la fanteria, l’artiglieria, o nelle operazioni speciali di commando.

«L’impiego delle donne soldato in prima linea può presentare sia delle opportunità che dei fattori di crisi, derivanti dalla diversa percezione che accompagna l’essere donna». Questo il commento del sociologo Fabrizio Battistelli, autore del volume Donne e Forze armate (Franco Angeli Editore), che spiega quali sono i risvolti militari e soprattutto sociali dell’impiego delle donne in ruoli di combattimento all’interno dell’esercito.

«Negli ultimi decenni è prevalso un femminismo delle pari opportunità – prosegue – diverso rispetto al movimento degli anni ’60 e ’70. Questo nuovo femminismo si batte per l’inclusione della donna e l’eliminazione di ogni discriminazione nei confronti dell’uomo. Ciò apre a tutte le opportunità e a tutte le carriere, anche quella militare, che è paradossale sempre perché è l’unica a richiedere di dare o togliere la vita. Chi combatte deve essere disposto a uccidere o farsi uccidere. Per la donna il paradosso è duplice in quanto, senza sposare differenzialismi biologici, ha il compito di procreare e quindi dare la vita, non toglierla. Questo causa una tensione tra il nuovo ruolo sociale della donna e la sua naturale dimensione psicologica. La contraddizione si acuisce quando si entra a far parte di un’istituzione che fa “legittimo uso della forza fisica”, come diceva il sociologo tedesco Max Weber».

C’è ancora molta diffidenza, dunque, verso le donne soldato, soprattutto quando queste non ricoprono più soltanto ruoli amministrativi ma vanno in combattimento. «Sono due le risposte che si generano – spiega Battistelli – La prima all’interno dei gruppo dei pari: i commilitoni, i colleghi uomini, tenderanno ad assumere un atteggiamento protettivo verso le donne cercando di evitare di esporle al pericolo. La seconda reazione si origina all’esterno dove si genera una fortissima ipersensibilità verso il fatto che la donna soldato possa essere uccisa o, peggio ancora, fatta prigioniera e, quindi, subire violenza sessuale».

Lo schieramento in battaglia delle donne è segno dei tempi che cambiano. «Anche la professione militare si è secolarizzata perdendo il suo carattere estremo. Di fronte alle istanze egualitarie del mercato sociale, gli Usa non hanno potuto far altro che garantire una parità di trattamento alle minoranze etniche, ai gay e alle donne, riconoscendo per tutti uguali diritti e uguali doveri, cose che nell’ambito militare si trovano a coincidere».

Le motivazioni che spingono le donne a voler essere schierate in prima linea sono diverse da quelle degli uomini. «Indubbiamente sono mosse da una spinta emancipazionista – conclude Battistelli – Questo è stato detto chiaramente anche da una delle prime donne Marines. C’è un forte desiderio di sfida, di superamento di se stesse e dei limiti sociali imposti».

Piera Vincenti

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