I numeri che non aiutano la crisi. Di troppi dati si muore!

©alphaspirit Fotolia.com
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Ogni giornalista o operatore della comunicazione dovrebbe conoscere i rudimenti della statistica per interpretare e diffondere correttamente i dati divulgati dai vari istituti, anche perché oggi più di ieri siamo quasi “invasi” dai numeri. Il tema dell’incontro che si è svolto oggi al Censis a Roma è ruotato proprio intorno alla corretta interpretazione dei dati. Questa mattina infatti si è discusso in particolare di  “Un mare di numeri senza interpretazione”; ne hanno parlato il presidente del Censis, Giuseppe De Rita, il direttore Generale, Giuseppe Roma, il responsabile del settore economia, Francesco Estrafallaces, il segretario generale della Federazione delle banche, delle assicurazioni e della finanza, Paolo Garonna, e il presidente della Fondazione Economia Tor Vergata, Luigi Paganetto, che hanno preso come spunto il testo elaborato nell’ambito dell’annuale appuntamento di riflessione di giugno “Un mese di sociale”, giunto alla venticinquesima edizione e dedicato quest’anno al tema della società impersonale. Più numeri, più informazioni, più opinioni. Ma quanti dati oggi vengono correttamente interpretati? Questa la domanda, alla quale i relatori hanno dato una risposta. Si è evinto purtroppo che – nonostante prevalga la rincorsa a comunicare il dato per ottenere l’effetto annuncio e nonostante i tanti numeri diffusi per comprendere i diversi aspetti della crisi e aiutare a generare policy efficaci rispetto alle questioni che il Paese deve affrontare – nessuna delle misure adottate fino a oggi ha risolto o attenuato i problemi. Anzi, si è capito che alcuni modelli previsionali fondati sui numeri si sono rivelati clamorosamente errati, perché troppo accentuata è stata la fede nei dati e minima la capacità di interpretarli.

Lo studio del Censis  Nella nota inviataci in redazione, l’Istituto di ricerca afferma che  siamo giornalmente esposti a una valanga incontrollata di numeri. L’inflazione dei dati diffusi risulta evidente nella comunicazione quotidiana di giornali e televisioni, con misurazioni, rating, indicatori di agenzie internazionali che assurgono a notizie e rischiano di disorientare famiglie e imprese, più che aiutarle ad affrontare le difficoltà. I sondaggi di opinione rientrano in questo trend di iperproduzione di dati. Considerando solo quelli comunicati all’Agcom, in Italia vengono diffusi i risultati di più di 400 sondaggi all’anno, in media più di uno al giorno. Nelle prime 22 settimane del 2013 i sondaggi pubblicati sono stati 174 (una media di 8 a settimana) sugli aspetti più vari. Si spazia dalle opinioni sul quadro politico a quello che pensano gli italiani sull’arte in tempo di crisi, dall’importanza delle ferie all’opinione dei consumatori sulle aperture domenicali degli esercizi commerciali. Vengono così prodotti numeri e tabelle sui fenomeni più diversi in una sorta di corsa al “presentismo”, nel tentativo di documentare quello che accade. Ma si tratta di opinioni capaci di descrivere solo una parte della realtà, non di interpretarla nella sua complessità. Così il contesto in cui viviamo diventa un paesaggio impersonale, che perde significato. Anche la produzione di dati sul sistema economico e sociale è molto aumentata negli ultimi anni. Nelle prime 22 settimane del 2013 l’Istat ha pubblicato 95 diverse indagini: una media di 4 indagini a settimana. Tra i primi sei mesi del 2010 e il primo semestre del 2013 la diffusione di dati statistici dell’Istat è aumentata del 23 per cento, in un’ottica di maggiore disponibilità di numeri per il vasto pubblico. Gli accessi al sito Istat per scaricare dati sono aumentati negli ultimi 7 anni del 160 per cento. E tanti sono gli istituti che elaborano stime sul ciclo economico e che producono numeri quasi a getto continuo. Oltre all’Istat, con 44 differenti release all’anno su temi micro e macroeconomici (dalla produzione industriale ai consumi, dai dati contabili delle amministrazioni pubbliche ai dati sul mercato del lavoro, al clima di fiducia delle famiglie e delle imprese), frequenti fornitori di dati sono il Fondo monetario internazionale, l’Ocse, la Bce, l’Eurostat, la Banca d’Italia, il sistema delle Camere di commercio, le associaizoni di rappresentanza. Più recente è il fenomeno degli open data messi a disposizione dalle amministrazioni pubbliche. Oggi sono disponibili più di 4.800 dataset di open data, rilasciati prevalentemente da amministrazioni centrali e comunali. I dati aperti hanno generato per il momento 156 app a disposizione degli utenti. Ma nessuna di queste ricerche riesce a far risolvere e attenuare, come anticipato, i problemi.

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