LA MERITOCRAZIA IN TEMPO DI CRISI

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Crisi economica, disoccupazione, precariato sono tutti problemi che aspettano una risposta. Se ci sarà o meno non è ancora dato saperlo ma la parola chiave che tutti, o quasi, stanno facendo propria è meritocrazia. Una bella parola, non c’è che dire, peccato che spesso rimanga soltanto un concetto astratto di fronte alla cultura della raccomandazione dominante in Italia.

L’ultimo caso a far discutere è quello di Franco Rocca, politico alla segreteria di presidenza del Consiglio regionale della Liguria, che assunse i suoi due figli in ufficio. «Sono un padre come tutti gli altri. Avevo due figli disoccupati e c’è stata l’occasione di farli lavorare. Ma nella massima legalità», si è giustificato Rocca che, anche dopo esser finito su tutti i giornali, continua a ritenere di aver fatto la cosa più giusta, sia come padre che come amministratore.

Inutile fare del consigliere il capro espiatorio di una situazione comune a tanti, a troppi, in Italia. Quale padre, avendone la possibilità, non darebbe lavoro ai propri figli? E quale figlio non approfitterebbe della generosità paterna per uscire dalla rete delle disoccupazione? Credo pochi, o quasi nessuno.

Il problema, ancora una volta, prima che economico è culturale. Parlare di meritocrazia affascina e fa tendenza ma non è diventato ancora parte della nostra educazione civile, del nostro modo di essere e di agire. Quella del merito non è una questione nuova ma risale addirittura a tempi precedenti la rivoluzione industriale, quando Michael Young coniò il termine meritocrazia. Educazione e istruzione sono sempre stati alla base della cultura di un popolo, impegnato a migliorare se stesso attraverso la promozione dei suoi uomini migliori, quelli che si distinguono per conoscenze e competenze.

Meritocrazia non è soltanto liberarsi di fannulloni e raccomandati ma valorizzare le eccellenze, il talento e il savoir faire indipendentemente dalla provenienza, ovvero dall’appartenenza di genere, etnica o politica. E, in Italia, indipendentemente dalla famiglia.

Finché la meritocrazia non diventerà uno stile di vita, l’Italia sarà sempre il Paese dei raccomandati, dove i padri cercheranno escamotage per far assumere i figli, e i figli erediteranno il posto dei padri. Sarà sempre un Paese impegnato a fare i conti con una classe dirigente mediocre, incapace di trovare risposte valide per uscire da una crisi che non è solo economica ma anche culturale e valoriale.

Piera Vincenti

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