Mark Knopfler, l’album Tracker non convince: ecco perché

Voto: [usr 3]

Mark-Knopfler-album-trackerSe fosse uno status di Facebook sarebbe “Feeling relaxed”. Il che potrebbe essere interpretato come una via di mezzo tra il felice e l’annoiato. “Tracker”, nuovo album solista di Mark Knopfler, storica voce e leggendaria chitarra dei Dire Straits, è un disco in tono dimesso, lentissimo e calmo, dolce, tenue. Al limite dell’irritazione, però. E anche se questa fosse una cosa voluta dall’artista, si potrebbe rivelare un’arma a doppio taglio. L’ascolto delle 11 tracce del cd – arrivati più o meno alla metà del disco – comincia a diventare faticoso. Ma, ancor peggio, prevedibile. Non ci sono impennate, cambi di ritmo, colpi di coda di chitarre graffianti. Sorprese, insomma. Tutto l’album è praticamente identico dal primo all’ultimo minuto. Che da una parte risulta perfetto (ahinoi) per fare pilates o yoga oppure semplicemente buttarsi sul divano la sera dopo un giorno pesante. Così come sicuramente lo è per i fan incalliti di Mark Knopfler. Ma per tutti gli altri, consigliamo di tenete sempre a portata di mano un thermos di caffè bollente.

Poi, è chiaro, se ci si concentra sulle singole canzoni, queste sono quasi tutte dei piccoli gioielli che galleggiano tra folk e country, con melodie delicate e arrangiamenti ridotti all’osso. Ma il problema è che descrivendone una, anche presa a caso, si sa esattamente come sono le altre dieci: tempo lentissimo, chitarre acustiche ed elettriche vellutate, voci sussurrate, toni melliflui, atmosfere ultra rarefatte. Fine. Punto. Anzi no, perché Knopfler sembra intestardirsi nell’aggiunta (del tutto inutile) di almeno un paio di minuti in coda alle canzoni, disperdendo in un eccesso di prolissità tutta la bellezza insita nei pezzi. Un’ora di questa musica sarebbe più che sufficiente per coccolare le orecchie di chi ascolta. Ma le diverse versioni in cui il disco è stato fatto uscire (cd, cd deluxe, lp e deluxe limited edition) vanno da un minimo di un’ora e mezza a un massimo di oltre due ore. Un toccasana, per chi soffre d’insonnia.

Mark-Knopfler

 

Ma saremmo dei disfattisti se ci concentrassimo solo su questi aspetti. “Tracker” è un album che affonda le sue radici nel folk degli anni ’70, infischiandosene delle mode del momento e tracciando un suo preciso percorso. L’unità narrativa di fondo è solida, il disco omogeneo e centrato su un mood preciso di atmosfere rilassate, tipiche del Knopfler solista. Non è ricco di colori né di spunti memorabili, anzi: è un’opera piuttosto monocorde e ripetitiva. Ma tutti i brani che l’ex voce degli Straits suona e produce sono delle splendide storielle infarcite di slide guitars e armoniche, su cui il cantato è in realtà più simile a un parlato che arriva dalle seconde file, sommesso. La classe compositiva è intatta, i richiami alle ballate di “Brothers in Arms” inevitabili. Si passa dal duetto vocale con Ruth Moody di “Wherever I Go” all’intreccio tra blues e country di “Skydiver”, dal singolo “Beryl” (unica canzone in cui si incontra un classico quattro quarti rock) a “Broken Bones”, oscuro e cadenzato, fino alle pennellate di folk celtico della open track “Laughs and Jokes and Drinks and Smokes”.

Il successore di “Privateering” del 2012, insomma, se la cava senza incantare. Anche se da un Ufficiale dell’Ordine dell’Impero Britannico (carica conferitagli nel 1999) ci si aspettava qualcosa di più.

 

Paolo Gresta

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