“Gomorra. La serie” e quel finale “sospeso”: la recensione

Gomorra Sky“Gomorra. La serie” – andata in onda su Sky Atlantic e Sky Cinema 1 dal 6 al 10 maggio – ci ha tenuto con il fiato sospeso per ben dodici puntate, facendoci parteggiare di volta in volta in volta per l’uno o l’altro personaggio, fino a quando non ci siamo accorti che stavamo facendo il “tifo” per i “cattivi”, perché nessuno nella serie televisiva si salva; anche se alla lunga il male perde sempre. Infatti, i gesti violenti, che danneggiano altre persone o addirittura intere comunità, ricadranno sulle generazioni future. I camorristi sono dei moderni Don Rodrigo, ma a differenza di quest’ultimo non si pentono sul letto di morte, perché nella Camorra non esiste pentimento. In “Gomorra. La serie” c’è un filo piuttosto sottile tra il Bene e il Male: il primo è forse rappresentato dal popolo minuto che nulla può contro la criminalità organizzata, la quale recluta anche gli adolescenti, portandoli sul patibolo. La morte di Danielino e l’omelia del prete in chiesa, in occasione dei funerali dello scugnizzo, ci fanno conoscere la psiche della Camorra, che non ha limiti, né moralità alcuna, ma solo molte contraddizioni. Le nuove reclute, a differenza dei veterani, non hanno più “o’ rispetto” per gli anziani del clan. Lo vediamo nelle ultime due puntate, quando i giovani dei Savastano uccidono senza pietà alcuni membri della fazione più anziana, con una follia omicida senza precedenti e facendo scoppiare così una guerra fra generazioni. Il colpo di scena arriva però verso la fine dell’undicesimo episodio quando gli uomini di Ciro Di Marzio (detto l’Immortale) uccidono donna Imma. Poi, nell’ultima puntata è ancora l’Immortale (Ciro nel frattempo ha cominciato a “lavorare” con Salvatore Conte) che spara a Genny. Intanto Don Pietro Savastano – che sta per essere trasferito in un’altra sede perché considerato incapace di intendere e di volere, – è liberato da Malammore. Finisce così la prima serie di Gomorra, un successo televisivo che s’ispira al romanzo di Roberto Saviano e che è stato esportato in cinquanta Paesi. Il finale “sospeso” preannuncia un seguito, come poi si legge nei titoli di coda.

Nonostante gli indici d’ascolto e gli apprezzamenti della critica, molte sono state le polemiche; per alcuni le scene di violenza potrebbero indurre a legittimare e a considerare quasi normale un fenomeno come quello della Camorra; per altri invece la serie mette in risalto solo gli aspetti negativi dell’Italia e in particolare del Mezzogiorno, ignorandone le caratteristiche positive. Sta di fatto che quanto visto in “Gomorra. La serie” trae spunto purtroppo dalla realtà, come dimostrano un articolo di Antonio Corbo (pubblicato sul numero del 6 giugno del Venerdì di Repubblica e intitolato “I bamboccioni della Camorra”) e i trafiletti, spesso quasi invisibili, dei giornali locali.

Maria Ianniciello

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