Giancarlo Fares a Todi con Emigranti, l’intervista

giancarlo-fares-todi-emigranti Giancarlo Fares, uno dei migliori registi del teatro italiano e apprezzatissimo attore, torna al prestigioso Todi Festival, giunto alla ventinovesima edizione, con un testo di Slawomir Mrozek, drammaturgo polacco scomparso nel 2013: “Emigranti”. Insieme a lui, sulla scena, Marco Blanchi. Fares, da tanti anni insegnante di tecniche teatrali e di narrazione, ha lavorato e studiato con alcuni tra i più grandi nomi del teatro italiano e internazionale, e partecipato a diverse produzioni televisive e cinematografiche, affermandosi come uno dei nomi più importanti nel teatro di narrazione. Lo abbiamo raggiunto a pochi giorni dal debutto al Todi Festival, dove sarà in scena il 28 e 29 agosto prossimi, nella Sala delle Pietre.

Giancarlo Fares, anche quest’anno al Todi Festival (l’anno scorso con la regia de L’ipocrita, di Cerami, con Antonio Grosso), stavolta anche da attore. Le chiedo subito come e perché siete andati a scovare un testo del 1974, di un autore non molto rappresentato in Italia?

Io e Marco Blanchi volevamo recitare assieme. Ci conosciamo da molti anni e abbiamo fatto molti spettacoli, ma non avevamo mai condiviso il palcoscenico. Mrozek è un autore che avevamo affrontato dieci anni fa e ci era rimasto nel cuore. Il testo è bellissimo e i personaggi sono splendidi.

Un regista importante come Lei, come si trova a dirigere se stesso oltre che il suo partner in scena, Marco Blanchi?

Facile lavorare con Marco. E’ un attore straordinario. E ci vogliamo bene. Più difficile auto-dirigersi. Ho faticato all’inizio, ma poi, anche grazie all’aiuto delle mie collaboratrici Vittoria Galli e Viviana Simone, sono riuscito a lavorare al meglio in entrambi i ruoli.

Un testo come “Emigranti”, pur se scritto in epoca che sembrava lontana fino a pochi anni fa, è drammaticamente attuale. Il teatro, in questo caso, cosa fa? Ricorda, espone, racconta o il suo ruolo è qualcosa di diverso in un momento storico come quello che stiamo vivendo?

Il teatro è sempre memoria collettiva e specchio del presente. Noi diamo agli altri uno spunto di riflessione nascosto dal rito. Il tema dello spettacolo ci riguarda da vicino, gli emigranti non sono gli altri, purtroppo torniamo a esserlo noi.

Avete adattato qualcosa nel testo per renderlo più attuale?

Si qualcosa è cambiato. Piccoli interventi e soprattutto il linguaggio del mio ruolo che è diventato con inflessione dialettale. E’ stato necessario per creare ulteriore distanza tra i due personaggi.

faresRegisticamente, in che direzione ha lavorato?

Ho cercato di assecondare le esigenze del testo e degli attori. È’ stato un lavoro di incontri e mediazioni. Tra testo e attori e tra attori stessi. In più è stato importante il lavoro di Alessandro Calizza, che ha realizzato scenografie essenziali e metaforiche. Molto efficaci.

Ho letto che Lei ha molta considerazione del primo destinatario di un lavoro teatrale, che è il pubblico. Non ama il teatro che si parla addosso…si può fare cultura anche senza annoiare, quindi…

La cultura non è noiosa. E’ il modo di interpretarla che la rende tale. Il pubblico è il giudice supremo. Ricordo l’Amleto di Peter Brook a Parigi. La lunghissima fila fuori del Teatro. Pubblico eterogeneo. Spettacolo fruibile nel quale non mancavano momenti di meravigliosa ilarità. Il riso è un momento di comunione nel buio di una sala. Ci si rende conto di essere con gli altri. Ci si prepara insieme alla tragedia.

Perché il Todi Festival è così importante, dal suo punto di vista? E’ un trampolino o una vetrina?

Il Festival di Todi è trampolino e vetrina allo stesso tempo. Alcuni nomi noti fanno debuttare qui i loro spettacoli. E giovani compagnie hanno la possibilità di mettersi in mostra. Questo grazie alla lungimiranza di Silvano Spada (il direttore artistico – ndr). E alla bravura di tutti i suoi collaboratori. Ad esempio quest’anno, gli spettacoli sono gratuiti. Grandissima idea in controtendenza rispetto alla crisi culturale. Uno splendido rilancio simbolo di vitalità.

Lei ha insegnato a molti ragazzi le tecniche teatrali e di narrazione. Le chiedo: quanto sono importanti le storie, e quindi l’arte di saper raccontare, e che idea si è fatto delle giovani leve in teatro?

La narrazione è la prima forma di teatro conosciuta. Un uomo che racconta ad un altro. Le storie raccontate intorno al fuoco. Bisogna saper raccontare per fare gli attori. L’attore è un comunicatore. In Italia abbiamo giovani molto bravi. Il problema sono i Talent e tutte le illusioni che nulla hanno a che vedere con l’artigianato del nostro lavoro. Un mestiere che come tutti gli altri richiede fatica, applicazione, passione e possibilmente doti specifiche.

Vedremo questo spettacolo nei teatri durante la prossima stagione?

 Sicuramente a Roma, al Teatro dell’Orologio dal 26 Ottobre all’8 Novembre. Poi ci saranno altre date ma sono tutte in via di definizione.

 

Paolo Leone

 

Si ringrazia l’ufficio stampa Rocchina Ceglia.

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