Mafia Russa: la storia sulla pelle

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Una scena del film La promessa dell’Assassino

Il nostro tempo è divenuto una grande incognita: problemi politici, economici e sociali si innestano tra le pieghe di equilibri geopolitici sempre più precari. In questo clima di incertezza, caratterizzato da preoccupazioni legittime e pressanti è molto più facile non accorgersi delle ombre che gravitano intorno a noi, di cui si parla meno, poiché non legate all’attualità di questi mesi. Eppure queste ombre esistono, sono cresciute negli anni e proliferano proprio nelle fasi di precarietà e debolezza del sistema, dello Stato, organizzandosi in fitte reti che ricoprono, attraverso affari illeciti, quasi tutto il pianeta. E’ la mafia, l’antistato per eccellenza che approfitta dei varchi, dei vuoti di potere e autorità per penetrare nei gangli della società e minarla dall’interno, assoggettandola alle proprie logiche. Si sente parlare poco della mafia russa, eppure essa è riuscita a creare salde ramificazioni anche in Italia. Per arginarla e tentare di sconfiggerla, tenendo sempre presente che di piovra dai mille tentacoli si tratta, proprio come le più conosciute Cosa Nostra americana e siciliana, è necessario studiarla, capirne origini, meccanismi e, non ultimi, i simboli. Di solito, quando sentiamo parlare di mafiosi provenienti dall’attuale Federazione Russa o, più in generale, dalle ex repubbliche sovietiche, immaginiamo degli uomini di inaudita ferocia e, soprattutto, ricoperti di tatuaggi che difficilmente mostrano in pubblico. Cinema e letteratura ci hanno permesso di sbirciare dal buco della serratura di un universo parallelo al nostro, di solito invisibile, codificato da leggi rigide e suddiviso in gerarchie perfettamente strutturate. Sono certa, che leggendo queste poche righe, vi sarà subito venuto in mente il libro di Nicolai Lilin, “Educazione Siberiana” (Einaudi, 2009) e il film omonimo tratto da questo romanzo. A dire il vero gli esempi sono molteplici, tutti con una componente romanzesca da non sottovalutare ma, allo stesso tempo, dotati di grande impatto visivo, intellettuale e basati su una notevole ricerca storica e sociologica. Il libro di Lilin rientra in questo filone, come pure dei film interessanti come “La Promessa dell’Assassino” (Eastern Promises), pellicola eccellente sotto ogni punto di vista, diretta dal genio David Cronenberg nel 2007 e nella quale il ruolo giocato dai simboli della mafia russa, tra cui i tatuaggi, è l’asse portante della storia emotivamente disturbante, narrata con una crudezza e una profondità senza pari. C’è anche un altro film piuttosto sottovalutato da noi, “Taken. Alla ricerca di Sophie Parker” (da non confondere con la saga “Taken” interpretata da Liam Neeson) in cui i tentacoli della mafia russa si insinuano nel traffico di esseri umani, nello specifico di ragazze scelte per la loro avvenenza, rapite e ridotte al ruolo di schiave sessuali. Esistono anche numerosi documentari sul fenomeno della mafia venuta dal freddo, ma oggi non ci interessa parlare della qualità delle pellicole citate, nemmeno capire se il romanzo di Lilin sia frutto di assoluta verità o meno (le polemiche, in questo senso, non si sono mai placate del tutto). Se vogliamo comprendere di più della mafia russa dobbiamo, prima di tutto, coglierne l’essenza trascritta nei tatuaggi, elemento comune a tutti gli esempi suddetti e, poi, tenere sempre in considerazione il fatto che spesso le opere letterarie e cinematografiche tendono, per evidenti motivi di narrazione, a creare intorno al male una specie di aura di mistero tanto inquietante quanto “attraente”; la vita vera, lo sappiamo, è ben altro e non spetta al regista o al film stesso farcelo capire, ma alla nostra capacità di giudizio.

Perché dovremmo interessarci alla mafia russa?

Prima di rispondere devo segnalare un’esattezza che io stessa, per semplice comodità, ho commesso: con “mafia russa” si intende un insieme non omogeneo di organizzazioni criminali provenienti dalla Federazione Russa; si parla, addirittura, di circa novemila cosche a tutt’oggi attive in Russia. Esistono, inoltre, anche gruppi mafiosi a livello locale nelle aree delle ex repubbliche sovietiche e spesso perfino gli organi di polizia fanno fatica a dare delle stime esatte sul numero di affiliati. Nella lingua russa la mafia è nota come Organizacija, ma è utilizzata anche la parola mafija. L’Organizacija, che racchiude tutti i gruppi criminali russi, è ricchissima, gode di appoggi ai più alti livelli della società in Europa, Stati Uniti e America Latina e le sue attività “di punta” vanno dal traffico di droga a quello di armi, dalla prostituzione al riciclaggio, fino all’estorsione. Ci riguarda da molto vicino, poiché non pochi dei suoi esponenti hanno scelto l’Italia per accrescere i loro affari illeciti e organizzarne di nuovi. Nel nostro Paese i “centri di potere” sono soprattutto a Milano, Roma e nelle Marche. L’Italia è considerato un posto in cui poter riciclare denaro sporco attraverso il settore imprenditoriale, nello specifico immobiliare, ma anche grazie a operazioni finanziarie di alto livello. La presenza della mafia russa nella nostra penisola è accertata dalla metà degli anni Novanta, quando l’attenzione della giustizia italiana e dei media si concentrò sul boss Jurij Esin e sul traffico di droga che gestiva, oltre alle speculazioni finanziarie facilitate da amicizie influenti. Rimini è, senza dubbio, una delle città preferite dai capi criminali russi e l’esempio più importante e tangibile della capacità di “apparente integrazione” o, per meglio dire, di mimetizzazione di questi. E’ proprio sulla riviera romagnola, infatti, che questi mafiosi riescono a far muovere enormi somme di denaro grazie alla compravendita di locali notturni e attività imprenditoriali in genere, soprattutto nel settore turistico, nascondendo dietro questa normalità di facciata la vendita di droga (anche sintetica), il traffico di donne provenienti dall’Est e, purtroppo, destinate a prostituirsi, ma anche la ferma volontà di conquistare il mercato del turismo russo verso l’Italia. Non solo: la mafia russa favorisce e questa questione è molto attuale, l’immigrazione clandestina per reclutare nuovi affiliati o per esercitare, su chi si trova in condizioni di svantaggio, ulteriori soprusi.

Una scena del film Taken. Alla ricerca di Sophie Parker
Una scena del film Taken. Alla ricerca di Sophie Parker

Come è nata la mafia russa?

Finora abbiamo visto la camaleontica capacità dei boss russi di uniformarsi all’ambiente circostante, di non sembrare pezzi fuori posto nel puzzle sociale, pur essendolo di fatto, di vivere nello Stato pur rispettando le “leggi criminali”. Questa è una delle caratteristiche principali della Organizacija; presentarsi come una sorta di veleno incolore e insapore che, una volta entrato nell’organismo, lo infetta poco a poco, senza che nessuno riesca a capirne la causa se non quando è troppo tardi. La mafia russa, però, ha una lunga storia alle spalle, che si può dividere in due momenti storici distinti: prima e dopo la caduta dell’Unione Sovietica. Le prime alleanze criminali nacquero proprio a causa delle difficili condizioni economiche e sociali nell’Urss degli anni Trenta. La pianificazione economica comunista, infatti, aveva reso molti beni di prima necessità praticamente introvabili se non sul mercato nero. In questo frangente si crearono i primi sodalizi mafiosi, benché i gruppi non avessero ancora una vera struttura e un’organizzazione ben delineata. Queste gang riuscirono a prendere le redini dello stesso mercato nero, approfittando del clima corrotto che si era creato in quegli anni, fino ad arrivare alla vera e propria creazione di un impero economico sotterraneo e parallelo a quello ufficiale dello Stato. Furono in grado di fortificarsi, di dilagare tra le maglie della società, a tutti i livelli, partendo dai gulag in cui Stalin li rinchiudeva per arginare i loro traffici. Fu proprio in queste prigioni, dunque, che nacque la figura del mafioso russo così come la conosciamo e il fenomeno della Organizacija. I gulag divennero il campo di addestramento di questi personaggi, il loro personale rito d’iniziazione per entrare a far parte dell’organizzazione criminale che li avrebbe fatti arricchire e dato loro lo status di uomini potenti, oltre che pericolosi. La prigione “formò” anche un’altra figura entrata nell’immaginario collettivo, quella dei Vory v Zakone, ovvero i “ladri nella legge” in russo di cui tanto parlano cinema e libri. Il vor diventa tale solo dopo lunghi anni di “apprendistato” criminale e di galera ed è la skhodka, cioè un consiglio presieduto nei gulag da altri ladri, capi ovviamente, a deciderne l’ammissione. Un po’ come accade nella mafia siciliana, l’aspirante vor viene presentato all’assemblea da due vory ed è tenuto a rispettare un codice di leggi che lo alienano completamente dalla società. Con la caduta dell’Unione Sovietica si assistette al passaggio da un’economia di stampo comunista e, quindi, basata sulla pianificazione, a un’economia di mercato, con conseguente privatizzazione di industrie e, in generale della proprietà dello Stato (quest’ultima fu una delle conseguenze della perestrojka di Gorbaciov). Alla liberalizzazione economica seguì la pesante inflazione, accompagnata da una situazione burocratica già complessa e dal fenomeno della corruzione in costante ascesa. Di questa condizione nuova, spaesante e piuttosto incerta approfittarono uomini d’affari con capitali già consolidati, tra cui gli stessi membri della Organizacija, che riuscirono molto velocemente a inserirsi nei punti strategici del nuovo Stato, grazie alla capacità di manipolazione e al ricatto, alla collusione, al denaro, alla corruzione, all’acquisto di banche e industrie. Uomini al di fuori della legge ma perfettamente in grado, come abbiamo visto, di nascondersi dietro alla facciata dell’ineccepibile legalità “conquistata” con le regole della nuova economia russa e mondiale.

 

Mafia russa, regole e tatuaggi: la storia scritta sul corpo

mafia-russa-storia-sulla-pelleGli affiliati alle organizzazioni mafiose russe non rispondono a un vertice unico, cioè a una sorta di “cupola” come accade, per esempio, nella mafia siciliana. Questa è una peculiarità della organizacija: più “teste” e più “tentacoli” che si spartiscono, non sempre pacificamente, i mercati illegali più appetibili. I documenti che gli studiosi del fenomeno possiedono riportano le regole dei Vory v Zakone a cui ogni membro deve attenersi, pena la morte. I vory sono, nella scala gerarchica mafiosa, al più alto gradino e il loro codice ha molte analogie con quello rispettato dai mafiosi siciliani o da Cosa Nostra americana: il ladro nella legge non deve, in alcun modo, avere contatti o aiutare le istituzioni o il governo, qualunque sia l’orientamento politico. Può contare solo sulla “famiglia” mafiosa e non può partecipare ad alcuna attività che riguardi la società. Insomma il vor deve vivere, da un punto di vista ideale, al di fuori della società e delle sue leggi, evitando qualunque tipo di coinvolgimento in essa. Di solito ha dei luogotenenti che svolgono il “lavoro sporco” per lui, poiché tutti i ladri hanno uguali diritti e doveri, considerandosi una sorta di casta, di ordine che risponde a determinati principi e li pone al di sopra di qualunque altro criminale. Le caratteristiche principali richieste per diventare un membro della Vory v Zakone, oltre gli anni di carcere, sono il coraggio e la ferocia; non è tollerabile mostrarsi deboli, vili, perché ciò significherebbe violare le regole e, dunque, subire la pena comminata ai traditori, ovvero la morte. La ricchezza accumulata da questo potente e grande gruppo è a disposizione degli affiliati, che possono usarla per se stessi e per i loro affari, dal momento che, almeno in teoria, non sarebbe ammesso il possesso di beni comunemente inteso. Fin dall’epoca dei gulag i ladri nella legge erano riconoscibili attraverso due elementi: il disprezzo del lavoro e i tatuaggi. Su quest’ultimo punto film e romanzi si sono sbizzarriti; il tatuaggio criminale non è una peculiarità riconducibile solo alla mafia russa (pensiamo alla Yakuza giapponese, per esempio), però è evidente che ogni organizzazione criminale ha dei propri simboli che non possono essere confusi. Vediamone alcuni, sperando che una conoscenza, seppure parziale, di questi segni, possa indirizzare la scelta di coloro che stanno pensando di farsi un tatuaggio verso altri disegni che nulla abbiano a che fare con un mondo che definire controverso è puro eufemismo. Per dirla in parole povere, perché non riconsiderate l’idea del tatuaggio di un fiore, tanto per fare un esempio, o di scritte in una lingua che conoscete? A quanto sembra si evitano molti inconvenienti. Il primo vero studio di classificazione dei simboli incisi sulla pelle dai mafiosi russi è del criminologo Arcadij Bronnikov, che ha analizzato e fotografato quelli dei detenuti nelle prigioni sovietiche dal 1960 al 1980. Da questa ricerca è nato un libro molto interessante, “Russian criminal tattoo police files” (ed Fuel, 2014). E ora cerchiamo di “leggere” questi simboli:

stelle sulle spalle: usati dai vory indicano che il possessore ha scalato tutti i gradi della “carriera” criminale, diventando un capo autorevole;

mostrine sulle spalle: indica la contrarietà, la ribellione allo Stato ed è un tatuaggio, anche in questo caso, fatto sui corpi delle autorità criminali che intendono accentuare il loro ruolo di comando che nessuno può mettere in dubbio;

diavoli sulle spalle: rabbia e odio contro il sistema e la prigione che è “strumento” punitivo della società;

pugnali sulle spalle: detenuto per omicidio;

teschio e tibie incrociate sulle spalle: indicano un ergastolano;

manette al polso: intende una pena detentiva piuttosto lunga, cinque anni di solito;

sirena sul torace: detenzione per molestie a minori. Come si può intuire, chi ha questo tipo di tatuaggio in un carcere non appartiene a un alto livello gerarchico e non è ben visto dagli altri detenuti;

occhi sul petto: hanno un significato particolare, poiché intendono che il criminale “tiene d’occhio la situazione”, vede e sa tutto, ha una certa autorità;

rosa sul petto: indica una pena molto lunga, circa venti anni;

chiese, monasteri, angeli e, in generale, i simboli religiosi: sono un chiaro segno di lunga appartenenza al mondo dei ladri nella legge e di rispetto per il loro codice d’onore (il numero di cupole può il numero di condanne);

croce ortodossa accompagnata da armi: anche questo è un simbolo di identità e appartenenza al mondo criminale;

ragno, serpente o farfalla: dipendenza da droghe;

stelle sulle ginocchia: chi le porta rispetta solo se stesso e i suoi pari e non si inginocchierà mai di fronte a nessuno, né qualcuno potrà sottometterlo;

volto di tigre: odio e aggressioni nei confronti dei poliziotti;

dollari, lettere “US”: indicano che il criminale predilige lo stile di vita degli affiliati a Cosa Nostra americana;

pirata con pugnale tra i denti e acronimo IRA: avversione, disprezzo per i galeotti che collaborano con la legge;

volto di Lenin: alcuni detenuti ritenevano che nessuna guardia avrebbe mai osato sparare sul volto di Lenin, così se lo facevano tatuare come simbolo di protezione;

campane: chi le porta tatuate sul petto ha quasi finito di scontare la pena;

croci sulle nocche delle dita: rappresentano il numero di condanne ormai scontate;

 

I criminali si fanno anche tatuare delle scritte particolari; la fenya è proprio il linguaggio segreto dei ladri nella legge, composto da molti tipi di espressioni, ognuna con un significato. Tale “idioma criminale” non è omogeneo, ma varia a seconda dell’attività criminosa svolta quindi, per esempio, i narcotrafficanti hanno un proprio “vocabolario” diverso da quello dei ladri.

Vi sarete, forse, chiesti come venivano realizzati questi tatuaggi; dimenticatevi strumenti sterilizzati e ambienti a prova di germi. Le condizioni igieniche delle prigioni erano pessime, lo strumento un rasoio elettrico adattato allo scopo e, per liquido colorante, un pigmento fatto con urina (del detenuto da tatuare, per ovvie ragioni igieniche) e gomma bruciata, secondo quanto ci dice Bronnikov. Per i tatuaggi fatti sulle palpebre, si usava addirittura mettere un cucchiaio sotto la palpebra stessa, proprio per evitare di danneggiare il bulbo oculare. Inutile dire che questi procedimenti molto brutali non solo erano dolorosi, ma si portavano dietro una notevole quantità di infezioni e rischi di cancrena. Abbiamo dato uno sguardo, superficiale per ragioni di spazio e di complessità dell’argomento, al mondo della mafia russa. Una galassia parallela, che vive nell’ombra e sa mimetizzarsi alla perfezione perfino “alla luce del sole” e, per questo, rappresenta un pericolo ancora più subdolo, che non vediamo neppure arrivare fin quando esso stesso non decide, purtroppo, di palesarsi in tutta la sua crudeltà.

Francesca Rossi

 

Bibliografia e sitografia

Arcadij Bronnikov, “Russian criminal tattoo police files”, Fuel, 2014;

Pino Scaccia, “Mafija. Dalla Russia con ferocia”, Round Robin Editrice, 2014;

Limes, “Come mafia comanda”, 2/2005;

Cesare Martinetti, “Il Padrino di Mosca. La scalata al potere della mafia nella nuova Russia”, Feltrinelli, 1995;

Nicolai Lilin, “Educazione siberiana”, Einaudi, 2009;

Le mafie dell’Est puntano al cuore dell’Europa

http://www.eastonline.it/public/upload/str_ait/522_it.pdf

documentario in sei parti, in italiano, sulla mafia russa (trasmesso dalla televisione svizzera LA2) https://www.youtube.com/watch?v=W6wWzZQPalI

http://www.theguardian.com/artanddesign/gallery/2014/sep/18/decoding-russian-criminal-tattoos-in-pictures

http://www.corriere.it/esteri/08_ottobre_01/mafia_russa_cartelli_messicani_48ba1c2a-8fc5-11dd-83b2-00144f02aabc.shtml

Intervista a Pino Scaccia sul blog “L’Angolo Russo”,

La mafia russa secondo Pino Scaccia

 

 

 

 

 

 

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