8 marzo: la festa delle donne e l’essenza del femminile

Cos’è diventato l’8 marzo per l’universo femminile? Cosa rappresenta la Festa delle Donne oggi? Di sicuro potremmo definirla un momento conviviale, persino spensierato, di incontro con le amiche ed è giusto che sia così; è il ricordo di un sacrificio tutto femminile ed è doveroso ricordarlo; è una giornata dedicata interamente alla parte di umanità che ha dovuto lottare, soffrire, perdere tutto e finanche morire pur di veder riconosciuti diritti e rispetto a lungo negati. Le donne, però, sono sempre state l’anima del mondo, il principio della vita e le depositarie di una saggezza troppo a lungo inascoltata. Le loro doti, paradossalmente, sono diventate, troppo spesso, armi usate contro di loro; la Storia è piena di esempi in tal senso. Abbiamo davvero raggiunto la parità? Oppure si tratta solo di una facciata patinata, di un documento scritto in bella grafia ma vuoto nei contenuti? Tutte noi, ancora oggi e ogni giorno, affrontiamo sfide, raccogliamo successi e fallimenti, combattiamo, ci esaltiamo e ci demoralizziamo forse più degli uomini. Il motivo è semplice: su di noi ricade il peso della realtà con tutti i suoi problemi, le sue disuguaglianze e i suoi personaggi vestiti di maschere d’oro ma privi delle orecchie per sentire ciò che non funziona e della bocca per dare risposte soddisfacenti. Eppure noi donne non molliamo. Certe volte capire come riusciamo a dare il meglio nonostante le avversità è davvero un bel rebus, ma siamo ancora qui e l’8 marzo può essere un giorno per ripartire. La festa delle donne può l’occasione per mettere un punto e ricominciare di nuovo. Cosa abbiamo sbagliato e da dove possiamo ripartire? Fatto questo bilancio sarà, magari, più facile capire qualcosa in più di noi stesse e dell’ambiente che ci circonda. Per fare il punto della situazione possiamo contare sull’aiuto e sulla spiccata intelligenza di tre donne eccezionali e di grande determinazione: l’esperta di crescita personale Lucia Giovannini, che tiene corsi di crescita personale in Europa e Asia da venti anni, l’antropologa Michela Zucca, autrice di saggi come “Storia delle Donne” (Ed. Simone, 2010) e la saggista, specializzata in Women’s Studies, Cinzia Giorgio, autrice di “Storia erotica d’Italia” e “Storia pettegola d’Italia” (Newton Compton, 2015). Tre scrittrici, romanziere e saggiste, che ci condurranno per mano nella storia dell’emancipazione femminile dal matriarcato a oggi, rilevando i passi falsi e i risultati ottenuti. Ognuna ha dato a questo articolo un contributo straordinario: Lucia Giovannini ci farà scoprire il percorso delle donne dal punto di vista antropologico e psicologico; Michela Zucca ci donerà la prospettiva storico-antropologica e Cinzia Giorgio quella storica e attuale. Potete già notare come i loro percorsi esistenziali e di ricerca s’intreccino tra loro e non vi sia un vero distacco, benché ognuna abbia una diversa specializzazione e un particolare percorso di studi. Le discipline di cui si occupano, del resto, non vanno intese come “compartimenti stagni”, poiché esiste una complementarietà impossibile da sottovalutare in ambito scientifico. Lucia Giovannini ha una storia davvero incredibile: «Prima di iniziare questo percorso di crescita, ero una modella – racconta -. La cosa più bella di quel mestiere era la possibilità di girare il mondo, conoscere tante persone e fare mille esperienze. Era anche molto ben pagato, ma a un certo punto ho iniziato ad annoiarmi, a sentirmi stanca e arrabbiata. Avevo bisogno di cambiare vita. Era necessario trovare un equilibrio e cambiare lavoro mi ha concesso di trovarlo e stare meglio con me stessa. Non è stato facile». Un racconto di vita coraggioso. Quante di noi avrebbero avuto la determinazione per abbandonare il sentiero di un destino che sembrava già scritto e buttarsi letteralmente nell’ignoto? Eppure il successo, spesso, non è come ce lo raccontano: «Capii che volevo aiutare le persone ad amare se stesse, gli altri, tutti gli esseri viventi che abitano la Terra. Il successo, del resto, ha diverse facce, non c’è una sola definizione. Il denaro, che spesso associamo al successo, per me è un mezzo, ma non un fine. La vera felicità sta nel trovare i propri talenti e svilupparli», dice. Chissà perché, però, tutti resistiamo al cambiamento, ne abbiamo paura. Perfino le donne che non riescono a rendersi conto del potenziale che possiedono: «Di solito tutti abbiamo paura del cambiamento e dell’ignoto, per esempio la fine di una relazione, o di un lavoro. In tutti questi casi abbiamo bisogno di uscire dalla nostra zona di comfort e questo ci spaventa».

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L’8 marzo dovrebbe ricordarci questa nostra unicità, anche perché, a quanto pare, le più timorose nei confronti della vita siamo noi: «Le donne, in particolare, hanno delle paure “extra”: dire ciò che pensano, imporsi, chiedere del tempo da dedicare a se stesse. Quest’ultima esigenza è quella che crea più sensi di colpa. Certo, oggi la situazione è migliorata, ma molte donne tendono a coltivare il mito di “Wonder Woman”. Bisogna essere perfette non lamentarsi, fare mille cose in poco tempo. Non solo: alle donne, ormai, è richiesto anche di essere sempre giovani e “belle”. Questa bellezza, però, si basa su modelli e aspettative irrealistiche», dichiara la Giovannini. La società ci impone di essere in un certo modo, noi donne, per la maggior parte, subiamo passivamente e i risultati sono evidenti come precisa la Giovannini: «Agli uomini si chiede il successo nel lavoro, alle donne, invece, di essere madri, mogli, lavoratrici perfette e senza nemmeno una ruga. Non solo: aspettarsi il successo lavorativo esclusivamente dagli uomini è discriminante per l’altra metà del cielo. Facciamo un esempio: quando una coppia aspetta un bambino si chiede sempre e solo alla donna come farà a conciliare lavoro e maternità – dice -. Dal punto di vista dell’emancipazione femminile in Italia siamo piuttosto indietro. Rinunciamo a essere noi stesse, ma non è sempre stato così e il matriarcato ne è una prova, un argomento che dovremmo approfondire senza pregiudizi. Lucia René ha scritto il libro, non tradotto in Italia, “Unplugging the Patriarchy”, in cui dice che nelle società matriarcali noi donne abbiamo lasciato il potere agli uomini per farglielo sperimentare. L’iconografia che vede Iside con Horus in braccio e poi la Madonna con il Bambino ne è il simbolo; la donna è sul trono che, un giorno, l’uomo occuperà da solo. Insomma, abbiamo perso la nostra autorità matriarcale, ma stiamo recuperando la sorellanza». La solidarietà femminile è un tema spinoso. Sentiamo e leggiamo di una maggiore necessità di coesione e le nostre ospiti ci spiegano perché abbiamo perso un valore tanto importante: «In passato, infatti, l’organizzazione della società patriarcale ha reso le donne dipendenti dagli uomini. Potevamo sopravvivere solo avendo accanto un uomo e, per questo, ci siamo messe una contro l’altra. Oggi questa dipendenza non esiste più, eppure nel nostro DNA ve ne è ancora una traccia», sostiene Lucia Giovannini. Le cose stanno cambiando e tutti notiamo una sorta di “dilatazione” del tempo, sia nella vita maschile che in quella femminile, che ci permette di sfruttare in modo diverso le nostre risorse, benché lo stress e l’ansia non siano affatto diminuiti, al contrario. «Oggi sicuramente abbiamo più strumenti, più libertà e conoscenze a disposizione per farlo e, in aggiunta, una aspettativa di vita più lunga – continua Lucia Giovannini -. Ormai noi donne viviamo, mediamente, dieci anni come “fanciulle”, trenta anni nel ruolo di “madri” e più di trent’anni come “donne sagge”. Il periodo della menopausa, in cui il sangue smette di fuoriuscire e crea vita all’interno di noi, infatti è quello della saggezza, della creatività, dell’energia che aprono le porte a un gran numero di possibilità».

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Una cosa è certa: se vogliamo vivere il nostro tempo con una maggiore tranquillità dobbiamo imparare a star bene con noi stesse non solo in un singolo giorno di festa; l’8 marzo, anche per questo, non può diventare l’unico momento dell’anno in cui alle donne sia concessa un po’ di “libertà” dalla quotidianità. Dovremmo avere più cura di noi stessi e Lucia Giovannini ci spiega come: «Io consiglio una tecnica che si chiama “vaso dei successi” ed è un antidoto che serve a mostrarci tutte le nostre piccole vittorie, ogni cosa che abbiamo fatto bene. Prendete un vaso, scrivete dei biglietti con tutti i successi della giornata, anche quelli che vi sembrano minuscoli come, per esempio, prendere più tempo per passeggiare, o negoziare un aumento sul lavoro. Ogni volta che dubitiamo di noi stesse, peschiamo un bigliettino dal vaso e rileggiamo ciò che siamo state capaci di fare». Noi donne possiamo creare il nostro tempo, il nostro destino, anche se viviamo in una società che tende a sottovalutare le donne, ponendole, come è accaduto a Lucia Giovannini, in situazioni lavorative in cui è necessario “dimostrare di valere”: «La difficoltà principale è stata quella di essere presa meno in considerazione rispetto agli uomini. Spesso anche nel mondo della crescita personale per qualche motivo si tende a dare più credito agli uomini, soprattutto in paesi come l’Italia. Forse perché storicamente nelle aziende in Italia i livelli più alti sono occupati da uomini, ci si aspetta una leadership di polso». Ci fanno credere che l’aggressività sia un valore, un modo per farsi rispettare. Eppure l’approccio più femminile alla vita e al lavoro, più morbido, non ha nulla da invidiare a quello maschile e, probabilmente, funziona meglio. Qual è, allora, il senso della Festa delle Donne  nella società contemporanea? Ci risponde Michela Zucca: «Il consumismo che ruota attorno all’8 marzo non mi piace, soprattutto perché questa celebrazione nasce da un sacrificio delle donne che chiedevano semplicemente una giornata lavorativa di otto ore. Pensiamo che oggi, alle donne, vengono richieste più di otto ore di lavoro, senza contare quello da fare in casa. Il lavoro flessibile, poi, è tutto fuorché “mobile”. Per molte donne il lavoro è socialità e un’occasione di aggregazione».

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Per Cinzia Giorgio, «Ci sono due correnti di pensiero: quella di chi ama festeggiare l’8 marzo e quella di chi ritiene che la donna dovrebbe essere festeggiata tutti i giorni. Io mi propendo per una via di mezzo. La Festa delle Donne potrebbe essere un’occasione per rivedere delle vecchie amiche, non c’è nulla di male in questo. In questo giorno ricordiamo un evento funesto ma, nello stesso tempo, anche un atto di forza e coraggio delle donne che chiedevano migliori condizioni di lavoro». L’imminenza della festa ci pone anche davanti a quesiti scomodi, frutto di situazioni terribili come il femminicidio. Non tutti, infatti sono d’accordo con l’uso di questo termine e i motivi sono tutt’altro che trascurabili: «Questo termine non mi piace. Dal punto di vista filologico e semantico non lo trovo corretto, anzi, mi pare piuttosto brutto. Parliamo di un omicidio, di un fatto di sangue che coinvolge, prima di tutto, una persona. Il genere è secondario. Quel che conta, comunque, è che le donne denuncino e che si faccia un’adeguata prevenzione», sostiene Cinzia Giorgio. Michela Zucca, invece, non la pensa così: «Il femminicidio è un omicidio di genere, così come fu la caccia alle streghe. Le vittime, in entrambi i casi, sono in maggioranza donne». Queste questioni riguardano il femminismo odierno, oltre che l’intera società. Per alcuni, addirittura, il femminismo pare essere sorpassato, ma le nostre ospiti sono di diverso avviso: «C’è ancora bisogno delle femministe, molte cose sono cambiate grazie a loro. Forse bisognerebbe rivedere alcune posizioni, ma è anche vero che, se queste donne non avessero alzato la voce, oggi non avremmo le libertà di cui godiamo», sottolinea Cinzia Giorgio che aggiunge: «Il femminismo ha mille ragioni d’essere, ma dovrà saldarsi con la lotta di classe. La ricchezza, infatti, è concentrata nelle mani di pochi, mentre la massa resta in povertà». Semmai noi donne – spiega Cinzia Giorgio – dobbiamo imparare a coalizzarci, a confrontarci, non a farci del male. Non c’è più bisogno di competere per ottenere l’attenzione di un uomo». La solidarietà femminile e l’uguaglianza, che tutte e tre le autrici hanno sottolineato era un valore fondamentale nelle società matriarcali: «La società matriarcale è egualitaria. Nel mio ultimo libro dedico un capitolo a delle nuovissime ricerche americane sulla “fascia delle case bruciate”, che si basano sulle teorie di Marija Gimbutas riguardanti Kurgan. In questa cultura la donna godeva di una buona posizione e la popolazione viveva in case claniche. Quando una di queste abitazioni raggiungeva i settanta/ottanta anni, veniva data alle fiamme, dopo essere stata sacralizzata posizionando attorno a essa delle statue della Dea Madre. L’incendio doveva ristabilire l’equilibrio nel villaggio. Tradizioni di questo tipo sono tipiche del matriarcato». Le donne, oltre a recuperare la coesione, devono imparare a lottare insieme: «Contrariamente alle donne, gli uomini combattono e fanno carriera politica. Non solo: le donne non hanno mai davvero lottato. Con il potere bisogna fare i conti, si prende con la lotta e, nello stesso tempo, è una grande responsabilità», afferma Michela Zucca. Le nostre antenate hanno usato tutti i mezzi a disposizione per riuscire e questa libertà di scelta l’hanno pagata cara, come ci spiga Cinzia Giorgio: «Ho sempre ammirato figure come quella di Giulia, figlia di Augusto o Cleopatra. Hanno forse usato il corpo per raggiungere i loro obiettivi? Io direi piuttosto che non avevano altra arma e, comunque, tale affermazione non è del tutto vera. Queste donne hanno fatto quel che volevano, per questo sono state denigrate. Quando una donna diventa indipendente si dice, in modo spregiativo, che “usa il corpo”. No, è sbagliato. Per completezza, poi, bisognerebbe aggiungere che anche molti uomini lo hanno fatto, ma di loro non si parla». Del resto gli uomini, con la femminilità, o meglio, con la saggezza femminile, hanno sempre avuto un rapporto ambivalente. Cinzia Giorgio ci aiuta a capire cosa sia la femminilità e perché il mondo maschile tende a giudicarla in modo controverso: «Credo esista un tipo di femminilità per ogni donna. Ogni donna è femmina, anzi, non capisco perché spesso il termine, “femmina”, venga usato in modo spregiativo. Io, al contrario, lo trovo molto bello e adatto, per nulla offensivo, poiché racchiude il lato istintivo, animalesco e quello materno, dolce, altruista delle donne, sempre pronte ad aiutare gli altri. Non penso esista una sola definizione di femminilità. Gli uomini forse ci temono ma, nello stesso tempo, sono affascinati da noi donne perché nel tempo abbiamo imparato a fare anche tutto ciò che sanno fare gli uomini e questo ci ha messe in una posizione scomoda. Avevano paura della saggezza, delle conoscenze, soprattutto in ambito erboristico, delle donne. Gli uomini amano e temono la femminilità, un continuo “odi et amo” per dirla con Catullo».

©Patrizia Tilly – Fotolia.com

L’8 marzo, dunque, potrebbe diventare anche una festa dedicata alla scoperta di modelli femminili del passato o contemporanei. Conoscere le vite di donne che hanno combattuto e non sempre vinto può aiutarci non solo a sentirci meno sole nella nostra lotta, ma anche a trovare ispirazione per risolvere i problemi individuali e collettivi: «Amma, la sacerdotessa indiana degli abbracci che si occupa di moltissime opere umanitarie. Da molti è anche considerata una santa. Poi c’è Jane Goodall, la scienziata degli scimpanzé e la scrittrice Louise Hay, donna acuta, indipendente e molto saggia. Il segreto che accomuna tutte loro è la passione, il coraggio di andare oltre, di buttarsi, perfino di fare cose considerate fuori dagli schemi. Sono donne che non piegano la testa». Molto diversa è la fonte di ispirazione di Michela Zucca: «I miei modelli femminili sono le donne di montagna, che hanno sempre gestito la famiglia mentre gli uomini si trovavano fuori casa. Nel 1943 furono anche le donne a portare avanti la guerra di liberazione, mentre gli uomini combattevano al fronte. La Resistenza sarebbe stata impossibile senza la presenza delle donne. Queste ultime, già abituate a decidere, si sono schierate compatte, senza fare storie, al fianco dei rivoltosi, procurando loro cibo e un tetto sotto cui stare. A tal proposito c’è un libro che vorrei segnalare: il titolo è “L’Uomo Seme”, scritto da Violette Ailhaud (ed. Playground, 2014), ambientato nelle montagne della Savoia, nel 1852». Il modello femminile di Cinzia Giorgio è Maria Maddalena. «A lei sto dedicando molte delle mie attuali ricerche. È stata l’unica donna a scrivere un Vangelo, la sua fede e la sua forza sono straordinarie», sottolinea la Giorgio. «Studiandola mi sono resa conto di che donna meravigliosa fosse. Inoltre è stata scelta per annunciare la Resurrezione, la Pasqua. È una santa, ma una santa “umana”, una donna. Ci sono tantissimi altri modelli, più di uno per ogni epoca, da Veronica Franco a Jane Austen, fino alla Arendt e a Margaret Mitchell, la vera Rossella O’Hara. Faccio fatica a scegliere, sono troppe», racconta. L’8 marzo, giorno della Festa delle Donne, è il momento per celebrare l’essenza femminile in tutte le sue sfaccettature. Certe volte essere donne è dura ma, per parafrasare un’altra grande donna come Oriana Fallaci, è una sfida che per nulla al mondo dovremmo temere di affrontare.

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