Bersani e quei 40 voti per ottenere la fiducia

Bersani in conferenza stampa
Bersani durante una conferenza stampa

Ieri il presidente della Repubblica ha conferito a Pierluigi Bersani il compito di formare un nuovo Governo. Il leader del Partito Democratico dovrà verificare l’esistenza di un sostegno parlamentare certo, soprattutto al Senato.

«L’incarico che sto per dare costituisce il primo passo del cammino che dovrà condurci al più presto al raggiungimento dell’obiettivo. Dico “al più presto”, perché il Paese è premuto da problemi che esigono la nascita di un esecutivo e l’avvio di una normale e piena attività legislativa, al di là dei provvedimenti urgenti che il governo dimissionario riterrà di adottare ed è in grado di adottare», ha precisato il Capo dello Stato durante il suo lungo discorso. La situazione parlamentare non è delle migliori per il Partito Democratico e per tutte le forze che sostengono Bersani.  Alla Camera il Pd ha 293 seggi, ottenuti grazie ai premi di maggioranza, il Sel 37, Misto 27, il Movimento 5 Stelle 109, il Pdl 97, la Lega 20, Civica Monti 47. A Montecitorio Bersani dunque avrà certamente la fiducia. Il problema è il Senato, dove il Pd ha 106 seggi, il Movimento 5 Stelle 53, Misto 10, Grande autonomia e libertà 10, Autonomie 10, Civica Monti 21, Lega 17 e Pdl 92. A Palazzo Madama sono, dunque, 35-40 i voti che potrebbero impedire al segretario di creare un governo.

Bersani intanto dichiara di voler proporre un esecutivo aperto, innovativo e sobrio, con molti esponenti della società civile. Secondo alcune fonti, tra questi figurerebbero la giornalista Milena Gabanelli, autrice di Report, Oscar Farinetti, inventore di Eataly, l’ex direttore di Confindustria, Giampaolo Galli, e il giurista Stefano Rodotà. Tra i nomi certi Fabrizio Saccomani, direttore generale di Bankitalia, al ministero dell’Economia. Nomi che potrebbero convincere il M5S, anche se i deputati e i senatori grillini hanno più volte ribadito che daranno la fiducia solo a un Governo monocolore, ovvero formato dagli esponenti del Movimento. Il leader del Pd potrebbe anche dunque optare per una sorta di alleanza con le altre forze politiche, in primis con il Pdl. D’altronde Berlusconi ha affermato più volte di essere favorevole a un Governissimo. Ma il gioco per il Pd non vale la candela, in quanto in caso di nuove elezioni le forze progressiste perderebbero il consenso di una parte dei loro elettori. Dopotutto la storia ci insegna che i Governi di minoranza non hanno mai avuto vinta lunga. Andando indietro nel tempo, ricordiamo il De Gasperi VIII nel 1953 che restò in carica solo 32 giorni. L’anno successivo fu la volta dell’esecutivo guidato da Fanfani che cadde dopo soli 23 giorni. Durò invece un po’ di più il terzo governo Andreotti, nel 1976, quando il leader della DC ottenne la fiducia parlamentare grazie all’estensione dell’opposizione; l’esecutivo in quel caso durò un anno e sette mesi. Il rischio di tornare alle urne è, dunque, molto alto. E quindi il segretario del Pd dovrà andarci cauto e ponderare sulle sue scelte, ma non troppo a lungo.

Maria Ianniciello

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