Finazzer Flory: “Diciamo basta all’Italia della muffa”

MASSIMILIANO FINAZZER FLORYMassimiliano Finazzer Flory è attore, regista, autore, curatore di rassegne teatrali e incontri culturali. Dall’alto della sua pluridecennale esperienza in ambito culturale, la sua spiccata sensibilità ai temi inerenti alla difficile situazione italiana rende i suoi spettacoli particolarmente seguiti e degni di attenzione. Il suo percorso artistico, umano e professionale è, dunque, incentrato su una concezione attiva e propositiva,  della parola cultura.

 

Massimiliano, quali sono, secondo lei, le parole chiave che racchiudono una possibile nuova prospettiva per la Cultura in Italia?

La Cultura deve racchiude la capacità di riconoscere ciò che eravamo e la possibilità di rappresentare ciò che vorremmo essere. La cultura implica sempre un doppio movimento: da un lato si scava all’interno della memoria e dall’altro si continua a cercare nei meandri della capacità dell’immaginazione.

Da quale idea nasce la rassegna intitolata “Il Gioco serio dell’arte”, nel corso della quale ha già incontrato Paolo Sorrentino e Gabriele Salvatores, e che vedrà il prossimo appuntamento il 3/02 con Carlo Verdone?

L’idea nasce dal concetto che l’arte è un’esperienza  totalizzante, non ci può essere arte senza cinema,letteratura, pittura, architettura, racconto e dunque parola. Tutto si tiene per chi è alla ricerca, c’è la bella frase di Cervantes, grande autore spagnolo, che descrive bene le sue riflessioni proprio in merito alla ricerca:« Il cammino è più grande della locanda»… Ecco cos’è il “Il gioco serio dell’arte”: i nostri incontri sono dei cammini: non cercano locande, cercano sentieri ininterrotti.

Emozionante….

Emozione è una parola straordinaria, Se pensiamo all’etimo della parola, la nostra mente viene subito indirizzata all’immagine di un cuore che batte, quindi l’emozione è legata alla vita, al cuore che batte per passione, per errore, per speranza …questo è il terreno su cui ci piacerebbe gettare una ghianda, per scoprire magari domani una quercia.

Quali sono state le più grandi soddisfazioni e le più grandi problematiche che ha riscontrato durante la sua esperienza di Assessore alla Cultura per la città di Milano?

La soddisfazione è una sola: quella di servire il prossimo, essere utile alla gente e lasciare qualcosa che serva alle generazioni successive. La struttura a cui tengo di più, è, in particolare, il Museo del ‘900 a Milano perché esso rappresenta il luogo della nostra identità.

E Napoli?

Ho un rapporto particolare con Napoli, è la mia seconda città… ognuno di noi dovrebbe avere un po’ di Napoli dentro!

“Grande serata futurista” è il titolo del suo spettacolo teatrale dedicato al futurismo. In che modo si farà interprete di quell’epoca?

Questo è uno spettacolo molto importante per me e lo porterò in tante città italiane: il 25/01 siamo a all’Arte Fiera di Bologna, poi saremo a Venezia il 29/01 e il 31/01 a Napoli mentre a febbraio saremo al Teatro Piccolo di Milano ed è tutto esaurito da giorni! Lo spettacolo, attraverso la voce di Marinetti, si muove in due direzioni: da una parte celebriamo un funerale, il funerale dell’Italia decrepita, di questa nostalgia opprimente, di questa cultura livellatrice, di questa Italia delle vecchie zie, di questa Italia che adora la morte, di questa Italia della muffa, l’Italia della crisi, l’Italia del suicidio. Dall’altra parte, però, il futurismo crede nella vita, quindi non c’è il solito cinguettarsi dell’agonia come fanno tutti, c’è anche il sole….il “sole facchino”, come direbbe Marinetti.

Cosa ci porta il “sole facchino”?

La speranza, il desiderio, l’immaginazione senza fili, la passione per il record, la concorrenza delle energie. Questa Italia del vecchio deve lasciare spazio all’avanzamento dei giovani…

Magari…

Per farlo bisogna tornare a credere che il progresso dell’Italia sia più importante di sé stessi, bisogna tornare a credere nella sovranità della fantasia, bisogna ritrovare il piacere della lotta, si badi bene, non il dovere della lotta, bensì il piacere di lottare per qualcosa!

Tra marzo e maggio porterà “Pinocchio. La storia di un burattino” in Giappone ed in Cina. Cosa la lega a Collodi e come spiega la scelta di portare lo spettacolo in Oriente?

Pinocchio è un pezzo di legno che diventa umano grazie all’amore del padre, ecco cosa mi lega a Collodi, si tratta di un omaggio alla figura del padre, al mio e a quello di tutti noi. Pinocchio è una grande storia, il protagonista deve rendersi conto che egli è soltanto un mezzo per arrivare alla verità, la libertà fine a sé stessa, ci conduce alla menzogna.

Come mai porterà questa storia in Oriente?

Perché Pinocchio è il secondo libro più letto al mondo, perché è un’icona italiana di un altro grande patriota conosciuto in tutto il mondo e sarebbe veramente da idioti non presentare cose italiane note nel mondo! A volte l’Italia non si rende conto, o non capisce, quale sia l’idea che il mondo ha di lei… inoltre se Pinocchio è popolare, ebbene riprendiamolo per mano e facciamo di questo pop, qualcosa di chic, trasformiamo questa storia popolare in qualcosa di esemplare!

E i Promessi Sposi?  

Questa operazione intende fare in modo che si conosca all’estero il più grande capolavoro della letteratura italiana. Perché i russi sono conosciuti grazie a Dostoevskij, perché i francesi sono conosciuti grazie a Proust? Perchè i tedeschi sono conosciuti grazie a Goethe? Perché gli spagnoli sono conosciuti grazie a Cervantes? Perché quei paesi hanno lavorato sulla loro letteratura in modo che venisse conosciuta all’estero! E noi? Niente! Quindi questo lavoro rincorre esattamente questo obiettivo. I miei “Promessi Sposi”, però, non sono soltanto Renzo e Lucia, sono la cultura e l’economia…

Ecco, questo è il matrimonio che s’ha da fare: rimettere insieme la nostra cultura con l’economia di altri paesi.

Raffaella Sbrescia

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