Enzo Iacchetti: «Ecco perché chiedo scusa a Gaber»

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Insolita, divertente e affollatissima conferenza stampa di Enzo Iacchetti e i suoi musicisti al Teatro Lo Spazio di Roma ieri sera, per presentare il suo spettacolo “Chiedo scusa al Sig. Gaber”, in scena dall’8 al 28 aprile 2014. Una vera anticipazione dello show, con quattro brani dell’indimenticato Gaber, splendidamente rivisitati (e con quale voce!) da Iacchetti e la sua Witz Orchestra. Dopo averci divertito con “Torpedo blu”, “Barbera e champagne” e “Il Riccardo”, il disponibilissimo Enzino (che festeggia nella Capitale i 35 anni di carriera) ha risposto alle tante domande dei giornalisti presenti, terminando la sua miniprova con “Se ci fosse un uomo”. Siamo riusciti a ottenere un incontro a tu per tu, al termine della conferenza, e a porgli qualche domanda.

Iacchetti4Iacchetti, partiamo dal titolo. Perché chiede scusa a Gaber?

Ma sai…quando pensammo anni fa a questo show, le perplessità erano tante. Si pensava che contaminando con altri motivi le canzoni di Gaber come facciamo noi, si mancasse di rispetto alla memoria di Giorgio. Ma io ho fatto questo spettacolo, permettendomi, insieme a Toni Sorano, Marcello Franzoso, Loretta Califra e Fabio Sorano, di stracciare gli spartiti di queste canzoni e di ricomporli, inserendo queste contaminazioni. I giovani si sono interessati molto, vengono a vederci ragazzi che non sanno chi è Giorgio Gaber. In pratica, io sono in missione per conto di Giorgio. Quindi, inventai il titolo, come per mettere le mani avanti. Ma poi è andato tutto bene, piacque a tutti, il titolo però è rimasto quello!

Prima volta a Roma, in un piccolo teatro come Lo Spazio. Come mai questa scelta?

Essendo ricco di famiglia, non ho voglia di affrontare i pubblici dei grandi teatri, anche se siamo stati in posti con migliaia di persone, in tutta Italia. Quando ho conosciuto i proprietari di questo teatro (130 posti, ndr), sono venuto a vederlo e mi sono detto che è un posto che anche a New York vorrebbero avere. Dove chiunque può suonare dal vivo e dove probabilmente i giovani possono esprimersi più facilmente che altrove. Ma questi teatri oggi chiudono! Il Ministero della Cultura non esiste più, non finanzia più. I soldi arrivano solo agli Stabili, solo all’opera lirica. Invece la nostra cultura, così come ci aiuta a salvare dal fondo del mare i bronzi di Riace, dovrebbe aiutarci a salvare posti come questo! E soprattutto i colleghi che hanno una certa popolarità come la mia, dovrebbero aiutare queste strutture a non morire! Mi auguro che sia pieno tutte le sere in cui noi saremo qui, perché in questo modo riesco a creare otto posti di lavoro, compresi i musicisti e i fonici. A me non interessa guadagnare qui, guadagno dove mi pare, soprattutto in televisione per esempio.

iacchettilocandinaFacciamo un passo indietro. Lei esordisce nel 1979 al Derby di Milano. Un locale che è stato una fabbrica di talenti divenuti poi famosi come Francesco Salvi, Giorgio Faletti, i Gatti di Vicolo Miracoli, Giobbe Covatta. Come si spiega che certi locali riescano a produrre artisticamente così tanto? E’ come con i vini, sono grandi annate, oppure questo è dovuto a determinate condizioni sociali in un dato momento storico?

Oddio, a quell’epoca non è che ci fossero così tanti locali che sfornavano i comici eh! A Roma c’era il Bagaglino, a Torino il Centralino, da noi a Milano il Derby Club. Forse anche qualche osteria di Bologna, ma allora si guardava più alla qualità! Non c’erano tanti comici in un locale, viaggiavano sempre gli stessi, proprio perché scelti grazie alla loro bravura e gli veniva dato spazio fino a quando diventavano famosi. Quindi, questo è il motivo per cui si concentravano tutti i nomi che lei citava nella domanda.

Secondo lei, il teatro canzone in Italia è finito con Gaber?

No, questo no. C’è chi lo sa fare bene, chi meno bene, nessuno sa farlo come lo faceva Gaber, io per primo, però il teatro canzone è una realtà italiana che anche tramite la Fondazione Gaber, con l’aiuto della sua famiglia, si sta cercando di continuare al meglio.

Cambiano i tempi, i modi di esprimersi. C’è qualcuno a suo parere che possa essere avvicinato, oggi, alla personalità di Gaber?

(ci pensa un po’, ndr) No, non c’è!

Lei che lo conosceva bene…che uomo era Giorgio Gaber?

Un uomo gioioso, di un’educazione… di un’umiltà impressionante. Io sono cresciuto con dei miti, che quando poi li ho conosciuti da vicino sono crollati miseramente, intendo dire come esseri umani. Dico sempre che bisognerebbe apprezzare solo l’arte di tanti artisti. Con Giorgio non è stato così. Era una persona di grande dolcezza. Dopo la sua morte ci sono state manovre da parte della destra e della sinistra per cercare di accaparrarsi la sua immagine…ma lui era di nessuno. Un grande uomo, gentile.

Come sta messa la satira in Italia?

Bene, direi. Ma sì, dai, siamo un Paese ancora abbastanza libero in questo senso. Ogni tanto arrivano le querele lo stesso, ma il diritto alla satira esiste e viene utilizzato, tante volte anche nei tribunali; ci sono Paesi più bacchettoni del nostro, checché ne dicano. Poi, anche in questo caso, c’è chi la fa bene e chi no.

Lei ha fatto anche tanto teatro. Neil Simon, Mel Brooks, Woody Allen. Ma gli autori italiani?

Ci sono, ci sono! Ho fatto due tournèe con Giobbe Covatta, con un lavoro di Francesco Brandi, giovane commediografo, che ha vinto il Premio Solinas. Adesso farò la regia di un musical, scritto da un altro giovane italiano… no, no, ci sono gli autori italiani.

Vorrebbe fare più teatro oppure è soddisfatto così?

Mi piacciono tutte le discipline di questo mestiere. Teatro, canto, televisione, il comico, il drammatico, il cinema. Ecco, devo dire che un po’ di amarezza ce l’ho, in quanto il cinema non mi ha mai considerato molto, questo sì…

Iacchetti, questa è la domanda finale che rivolgo a tutti. C’è ancora un sogno alto, anche apparentemente impossibile, che le farebbe battere forte il cuore? Spari alto, altrimenti non vale!

(sorride sornione, ndr) Ah, mi basterebbe una nomination all’Oscar come miglior regista!

Paolo Leone

 

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