Il “povero” Sud Italia tra fondi strutturali e l’identità negata

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Il rapporto Svimez 2015 (fa riferimento all’anno 2014) descrive un Sud povero, senza lavoro né infrastrutture. Il disarmante -9,04 per cento di crescita (dal 2001 al 2014) pone questa parte d’Italia alle spalle pure della Grecia e, come scrive Gian Antonio Stella su Sette del Corriere della Sera, il Sud è stato doppiato perfino da Cipro ed Estonia. E` pur vero che si tratta sempre d’indagini statistiche e – considerando l’alta percentuale del lavoro nero e dell’evasione fiscale – i dati non sappiamo quanto corrispondano alla realtà. Nel rapporto si legge che il Mezzogiorno nel 2015 è in leggerissima ripresa, mentre Stella nel suo articolo afferma anche che per capire bene il Sud Italia occorre frequentarlo; il giornalista sostiene che la cattiva politica locale ha agito sotto copertura della classe dirigente romana. Sempre su un altro inserto – questa volta si tratta de Il Venerdì de La Repubblica – Raffaele Oriani si chiede se il Sud riuscirà a non perdere i soldi dell’Europa. Per il Mezzogiorno sono stati stanziati venti miliardi di euro dei ventotto destinati all’Italia; i fondi strutturali sono quelli del 2007-2013 e vanno spesi entro il 31 dicembre 2015 pena la loro destinazione ad altre aree e iniziative. Secondo Oriani, che cita i due economisti, Guido De Blasio ed Emanuele Ciani, questi soldi non serviranno a niente, né a debellare la disoccupazione e neanche a creare grandi opere pubbliche. Molti di questi fondi, a causa del folle campanilismo, probabilmente sono stati destinati a piccoli lavori (tipo il rifacimento dei marciapiedi), si legge sempre nell’articolo. Non sappiamo spendere oppure lo facciamo in maniera sbagliata senza una strategia ben definita. Ora chiedersi il perché sicuramente aiuta ma entrare soltanto nel cuore delle cause è inutile. Ci proviamo comunque.

Diversi sono i fattori alla base, ma più di tutti c’è l’incapacità del Meridione di essere veramente se stesso e, quindi, di far leva sulle sue secolari contraddizioni per trarne un vantaggio collettivo. Il progresso così come lo intendiamo oggi non si adatta alla mentalità dei popoli al Sud del Mondo che hanno un’altra cultura e un altro modo di intendere la vita. A questo si aggiunge un fatalismo esasperante che affonda le sue radici nella storia e dunque in anni di dominazioni; persiste una sorta d’immobilismo perenne che costringe i meridionali – o meglio una parte dei meridionali – a non agire perché alla fine ci si arrangia sempre, in un modo o nell’altro. Questa forma mentis, di per sé negativa, se incanalata bene potrebbe essere la chiave per la svolta di tutto il Meridione. Purtroppo nella seconda metà del secolo scorso è stata messa in atto un’industrializzazione selvaggia, innaturale, spesso per fini clientelari, e di conseguenza abbiamo rinnegato i nostri antichi saperi e con essi tutta la nostra tradizione secolare.

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Lo abbiamo fatto in nome di uno sviluppo che si sta rivelando fallimentare per l’Occidente, salvo poi apprendere che tutto ciò che è naturale (o meglio biologico) oggi lo si paga a caro prezzo e che una fetta sempre più cospicua di laureti o diplomati del Nord sta tornando alle proprie radici, cioè all’agricoltura biologica come si legge sullo speciale d’attualità uscito su D de La Repubblica. Corsi e ricorsi, dunque, con un’unica grande certezza: la Natura non passa mai di moda! I nostri genitori e i nostri nonni contadini volevano figli impiegati, architetti, ingegneri, operai, insegnanti, perché «il posto, quando è fisso, nessuno te lo leva», dicevano. E, per ottenere quel lavoro sicuro, si è tentato l’impossibile a volte calpestando la propria dignità in nome di un machiavellismo deleterio e certamente non lungimirante. Il mondo cambia. L’economia oscilla facendoci penare e tremare ma oggi più di ieri, per crescere, dobbiamo rispettare noi stessi e ciò che siamo intimamente. Altrimenti la partita è persa in partenza! Il Sud non l’ha fatto e oggi ne paga le conseguenze, eppure si può ancora rimediare, basta volerlo e impegnarsi quotidianamente ciascuno nel suo piccolo per una missione nobile e comune.

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